In Romagna, sulle colline che sovrastano l’abitato di Castrocaro Terme e Terra del Sole, si trova Villa Bagnolo, azienda vitivinicola con un’ottima produzione di Sangiovese, Albana e Cabernet.
La posizione della tenuta, 300 metri sul livello del mare, è di quelle privilegiate, su di un incantevole colle dell’Appennino Tosco-Romagnolo protetto da una corona di rocce argillose, i Calanchi, dai quali girando lo sguardo si può vedere tanto il mare che l’intera Romagna.
Il territorio è stato calpestato fin dalla notte dei tempi; lungo la strada che sale oltre la possente rocca medicea che porta al podere, sono state rinvenute tracce di insediamenti risalenti a ben 2.500 anni fa.
La prima testimonianza scritta sul luogo è datata 1371 con la “Descriptio Romandiolae”, il più importante documento esistente sulla Romagna medievale, dove Villa Bagnolo viene descritta come “villa dei sedici focolari” del contado di Castrocaro.
Custodi di questo lontano passato, si sono conservate sino a oggi una piccola chiesa dedicata a San Tommaso, con il suo campanile a vela e un’imponente croce celtica risalente all’anno Mille.
Vito Ballarati, dal tessile ai vini
La viticoltura di Villa Bagnolo è molto più recente ed è nata dall’iniziativa di Vito Ballarati, un eclettico imprenditore lombardo del settore tessile il quale, alla fine degli anni ’90, ceduta l’attività, si è ritirato in Romagna, prima ad Imola poi a Castrocaro Terme acquistando la tenuta per realizzare un rifugio lontano dalla città, dove potersi rilassare in compagnia di famiglia e amici.
Il dolce far niente non è però nella natura di quest’uomo, il quale oltre che imprenditore è anche inventore, pittore e cuoco e ben presto, grazie anche al fortunato incontro con un vignaiolo del posto, forte della propria passione per l’enologia, decide di tuffarsi nello studio e nella pratica della viticoltura e delle tecniche di vinificazione. Avvalendosi di specialisti agronomi ed enologi e comincia a produrre vini sperimentando tecniche di produzione moderne e non invasive, con dedizione, sacrifici, intuizioni, studio, ricerca e non poco denaro.
Villa Bagnolo, Un terreno vocato alla viticoltura
Dopo la ristrutturazione del podere e l’acquisto di 40 ettari di terreno, su 16 dei quali vengono impiantate viti di Sangiovese, Albana, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, comincia a produrre vini legati strettamente al territorio che li genera.
Il terreno è particolarmente vocato alla viticoltura, composto com’è da argilla, limo e sabbia, in percentuali perfette per ottenere una produzione di qualità. Anche il clima assolato, con la brezza di mare che si combina all’aria di montagna, contribuisce a mantenere le viti asciutte, sane e resistenti.
“Produciamo vini certificati Doc e Docg che sono lo specchio della terra in cui nascono, afferma Ballarati, nel rispetto dell’ambiente, attraverso metodi che racchiudono tradizione e innovazione, per dare vita a un prodotto il più naturale possibile; austeri ma di carattere, eleganti e generosi di aromi, i nostri vini devono esaltare i sapori del territorio e deliziare il palato di chi li sceglie”.
Dopo il duro lavoro in vigna, nel pieno rispetto delle caratteristiche del suolo e delle diverse stagioni che si avvicendano, anche i processi di affinamento e imbottigliamento vengono effettuali nella tenuta, prima di raggiungere le enoteche e le tavole di molti ristoranti ed alberghi romagnoli.
“Abbiamo ricercato con cura il giusto equilibrio tra intensità delle coltivazioni e resa per ettaro, dice ancora Ballarati; eseguiamo la potatura verde delle chiome a fine primavera/inizio estate, in modo che i grappoli siano ben arieggiati ed esposti in modo adeguato ai raggi del sole. Anche la vendemmia avviene seguendo metodi tradizionali: le uve vengono raccolte a mano rispettandone il naturale ciclo di maturazione; selezioniamo i grappoli con attenzione prima di avviarli alla vinificazione nell’adiacente cantina”.
In cantina tecnologia e tradizione a braccetto
La cantina di Villa Bagnolo unisce due anime: la tecnologia più innovativa e la tradizione più autentica; dopo la raccolta e la pigiatura delle uve, il processo di fermentazione avviene utilizzando lieviti autoctoni in speciali fermentatori inox molto bassi, di forma rettangolare, con una grande superficie che permette estrazioni molto efficienti, progettati e costruiti da una società del gruppo.
Il vino destinato a lungo invecchiamento viene inviato in grandi botti di rovere da 30 ettolitri, secondo la tradizione italiana, che danno vini di carattere, consistenti, pieni nel gusto ed eleganti d’aroma.
I vini di Villa Bagnolo, parte dei quali raggiungono enoteche, cantine e ristoranti di mezzo mondo, ottenendo anche numerosi riconoscimenti, vengono oggi commercializzati per un 50% circa nell’area romagnola.
Vito Ballarati qualche anno fa diede vita assieme ad altri colleghi agricoltori e vignaioli del posto al Consorzio “Appennino Romagnolo” per la valorizzazione dei prodotti tipici locali.
Il Consorzio era stato costituito per l’apertura in Romagna di punti vendita dedicati che, secondo una logica di filiera corta, avrebbero dovuto vendere i prodotti e le etichette dei consorziati.
Tra questi prodotti c’era “Giove”, l’innovativo Sangiovese superiore di collina realizzato dall’unione di 34 aziende riunite nel consorzio, che dopo un iniziale successo suscitando l’interesse di numerosi buyer internazionali, ha subito un inaspettato ostracismo oltre che dai grandi gruppi vinicoli, compreso quelli consortili, cooperativistici e associativi.
L’accantonamento del progetto ha portato molta amarezza e disillusione nella vita di Ballarati, che ne era stato il più accanito sostenitore ed il vero “deus ex machina”, tanto da indurlo ad abbandonare quest’attività cui ha dedicato con passione e sacrifici economici e di tempo della sua lunga vita.
Anche se, visto che per la valorizzazione dei prodotti tipici locali si stanno creando ovunque situazioni molto simili perché il mercato ed i consumatori questo vogliono, prodotti freschi, genuini e di filiera corta, forse potrebbe anche ripensarci.
“Credo che qualcuno, nei posti dove si prendono le decisioni, dovrebbe ripensarci, perchè tutti i problemi delle cantine di collina sono rimasti invariati se non proprio peggiorati, aggiunge il vulcanico Vito In quest’area, per esempio, nonostante una forte concorrenza, con il nostro lavoro abbiamo ottenuto risultati importanti”.
“La cosa più sconfortante, afferma a conclusione del suo ragionamento, è vedere che commercializzare il Sangiovese Dop e gli altri vini romagnoli al di fuori della Romagna è difficilissimo; nel milanese e non solo, pochissimi locali ce l’hanno nella Carta dei Vini; è un tema su cui chi di dovere dovrebbe porsi delle domande e cercare delle soluzioni le quali, mi rendo conto, saranno anche abbastanza costose, di medio-lungo respiro, ma è l’unico sistema per non fare morire i piccoli produttori delle colline romagnole”.