Il libro di Sebastiano Costanzo racconta, attraverso 400 fotografie, il paesaggio lavico etneo: architetture magiche, antichi mestieri, i luoghi della Fede, testimoni di un tempo scomparso.
Il viaggio intenso e passionale narrato attraverso una serie bellissima e coinvolgente di fotografie in bianco e nero. Scatti che hanno fermato il tempo del paesaggio rurale dell’Etna e delle antiche attività e tradizioni che l’hanno attraversato.
Il libro vuole essere una dedica ad un’altra epoca che lascia nel lettore avanti negli anni un senso di malinconia, di nostalgia, di bellezza che sfiorisce come l’età. Ma diventa cultura, arte che si deve apprezzare, che arricchisce, curiosità ed ammirazione per le nuove generazioni. Un passato che ci è sfuggito e di cui, forse, ci siamo dimenticati.
In questo splendido volume, l’Autore, chiamato “Oliver” dagli studenti del Ginnasio di Acireale che passavano davanti alla sua bottega di ulivicoltore, pone l’accento, infatti, sulle “colpe” dell’Uomo, sulle sue dimenticanze, sulla sua natura, a volte egoista, sullo stato di abbandono di quelle meravigliose terre.
Sono andato a trovarlo, incuriosito da quella moltitudine di fotografie di un paesaggio che è un colpo al cuore, un susseguirsi di strofe di poesie d’amore che lasciano al mondo che verrà una memoria fantastica ed indistruttibile, ma che pone, anche, diversi interrogativi.
Oliver, come nasce questo libro di foto bellissime, testimonianza di un’epoca ormai distante da quella società rurale. Cosa rappresenta?
Ormai posso dire di sentirmi più maturo e non credo di essere eterno. Accorgermi di possedere molte testimonianze fotografiche che ritraggono luoghi antichi, molti ormai scomparsi, pensare che tra qualche tempo, quando non sarò più su questa terra potrebbero essere disperse se non distrutte, ha fatto nascere in me un senso di tristezza incredibile.
Mi sono detto “Sebastiano resisti, resisti, resisti: queste foto devono essere raccolte in un libro”, (come se fosse sulla scena [n.d.r.]). Se penso alla grande passione che c’è stata dietro ogni scatto, non avendo eredi, mi sono premurato di raccoglierli e oggi di pubblicarli. Una memoria per le future generazioni che dovranno conoscere, sapere, ammirare quel paesaggio.
Partiamo dalla foto di copertina: due semplici case rurali, un frutteto e milioni di pietre nere sistemate con cura: il paesaggio rurale etneo. Quanti anni sono racchiusi in questi scatti in bianco e nero?
Il libro racchiude 45 anni di storia. Quell’immagine, emblematica del territorio, rappresenta una strada in salita, contornata da muri “a crudo”, per raggiungere le abitazioni; l’ho trovata di una bellezza infinita e mi ha fatto riflettere molto: mi ha fatto pensare alla fatica degli uomini che lì hanno lavorato. Ecco spiegato perché è in bella vista, rappresenta la fatica dell’uomo!
Un racconto fotografico che suggerisce sensazioni ed affetti antichi. Il tempo si è fermato
L’origine e le motivazioni vengono da lontano. Essendo la mia mamma, ormai scomparsa, originaria di Sant’Alfio, borgo contadino etneo sopra Giarre, e, vivendo noi ad Acireale, tutte le domeniche mi chiedeva di portarla al suo paese natio per assaporarne l’aria e l’atmosfera contadina della sua giovinezza. Questo mi ha permesso di fermare il tempo attraverso la macchina fotografica. Osservavo un paesaggio di serenità, meraviglioso, di autentica bellezza, ma nello stesso tempo mi intristiva.
Perché ritorna sulla tristezza, Oliver?
Perché tutto era stato o stava per essere abbandonato, eravamo negli anni ’90. Ricordo un particolare, le parole di un anziano contadino che, vedendomi osservare malinconicamente quei muri a secco cadenti, ormai sbilenchi, mi chiese incuriosito: “Cosa ci fai in questa strada, in questa mulattiera di campagna?”. “Sono qua per fare delle foto”, risposi. E di rimando gli dissi “…e lei cosa ci fa qui?”. “Io sono il proprietario di questo terreno!”. “Come mai, allora, non fa aggiustare quel muro, non lo fa sistemare?”. “Perché non trovo nessun lavoratore capace di aggiustarlo”, rispose sconsolato.
Ecco da dove nasce la tristezza… di prima
“… e lei non ha nessuno che possa intervenire? dissi io, insistendo, incuriosito. “Si ho un figlio che ha fatto l’università e non si vuole interessare della terra, della proprietà. Vede, mio nonno aveva comprato questo terreno, mio padre lo ha coltivato, io ho raccolto i frutti, mantenendo mio figlio agli studi. Oggi, mio figlio vuole vendere tutto! È finita un’epoca, una storia di famiglia”. È da qui che nasce la tristezza, la malinconia.
Oliver, il suo libro ha 194 pagine e 12 capitoli: ci sono riferimenti agli antichi mestieri, ai vecchi palmenti, alle silenziose trazzere di montagna e tanto altro. Da cosa è partito?
Dovevo fare una selezione delle foto, raggrupparle per argomenti, allo scopo di non creare confusione. La fotografia è anche testimonianza dell’arte, compagna inseparabile del cammino dell’uomo, quindi, testimone del tempo, delle attività degli individui. Certo, nel libro fotografo momenti destinati alla pastorizia, quando il pastore, “u lattaru”, depositava il latte appena munto (“quartu o menzu litru”) dietro la porta di casa; e poi c’era il tempo della tosatura delle pecore, a primavera inoltrata, quasi una cerimonia, da cui si ricavava lana per il vestiario o per riempire cuscini e materassi.
Un altro mestiere che mi porta indietro nel tempo, il fabbro, “u firraru”: ringhiere in ferro battuto, vere e proprie opere d’arte, cancelli, letti, ferri di cavallo, a loro volta appesi ai portoni in senso di scongiuro, attrezzi agricoli e destinati alla cucina.
E poi “u falignami”, il vecchio falegname che attingeva ai boschi di castagno per costruire tavoli, sedie, porte e finestre, carretti e travi per sostenere i tetti, ma anche attrezzi per i campi: “u manicu du’ marrabbeddu”, ovvero il manico del piccone, “u manicu da’ scupa o du’ zappuni”, cioè della scopa e della grossa zappa.
Anche alcune immagini dedicate alle “vie dell’acqua”: se non c’è acqua non c’è vita, è la Santa Provvidenza! Da qui, le affascinanti cisterne nei meravigliosi cortili assolati.
A proposito di Santa Provvidenza, c’è anche un capitolo dal titolo “La Fede e i Santi”. Quale filo lo lega con gli altri argomenti trattati?
Molto semplice. Tutte le persone che a quel tempo lavoravano la terra dovevano essere sostenute da un motivo più grande della loro fatica: la Fede! Era la Via Maestra da seguire. Spesso gli incroci di campagna, specie quelli più vicini ai paesi, erano ingentiliti da altarini devozionali, “gli atareddi”, a conforto del contadino viandante e a protezione sua personale e dei frutti del suo lavoro. Ci si fermava per pregare. Così si teneva viva la fede. Si trovava la forza, l’energia per proseguire il cammino.
Quegli altarini erano un dono per quegli uomini che a piedi facevano chilometri per guadagnare un pezzo di pane. Oggi, purtroppo, quegli splendidi, semplici luoghi di preghiera sono quasi tutti scomparsi o depredati delle immagini sacre.
Scorrendo queste pagine suggestive, sono stato attratto dagli antichi palmenti, le vecchie botti di castagno, le terrazze e i costoni in pietra lavica…
Il palmento era fonte di vita per l’agricoltore: quasi tutti avevano un pezzo di vigna da coltivare e producevano il famoso ”vino padronale” per sé o per venderlo. E poi la mente vola a ricordare le vendemmie e i vendemmiatori: erano giorni di grande festa, di gioia per tutti.
Bellissimo! Cosa ricorda, Oliver, di quei giorni?
Uomini, donne e bambini pestavano l’uva a forza di piedi scalzi. Si produceva il mosto, “u mustu”, che successivamente entrava, attraverso le saiole, nelle grosse botti di legno, in cantina, “a ispensa”, per farlo diventare vino. Che bellezza vedere quelle ceste (cannistri) sulle teste delle donne, traboccanti di grappoli… fino al palmento. E poi tutti sull’aia a fare festa, a mangiare e a bere. Era meraviglioso vedere cuocere la salsiccia sulle tegole (“a sasizza supra i canali”). Si ballava, si cantava, nascevano amori, perché alcuni vendemmiatori erano forestieri, venivano da fuori paese, se la vigna era grande. Tutti lavoravano. Un mondo fantastico.
Desidero chiudere questa piacevole e affettuosa conversazione ricordando la sua mamma… forse l’artefice di tutto. Torniamo là da dove siamo partiti, da lei…
Oliver si gira, si commuove, cade una lacrima, prende la foto della mamma sulla credenza e con gli occhi lucidi e la voce interrotta, ma determinata, recita: “Mamma, come vedi, oggi ho raccolto tutte le foto che, grazie a te e al tuo peregrinare tra Aci e Sant’Alfio, e in giro dove io ti portavo a passare la domenica, insieme (con voce decisa [n.d.r.]) abbiamo fatto con la mia macchina fotografica. Mamma devi essere contenta di quello che io ho fatto perché mi hai dato la forza di realizzarlo!”.
75 anni, una mente lucidissima, un ritorno al passato con una velatura di tristezza… lascio Oliver nella sua casa di ringhiera, piena di poesia, che guarda il campanile della Chiesa di San Domenico, tra vecchi tetti che guardano “a muntagna”, l’Etna, creatore di disastri ma, anche, di tanta bellezza.
Oliver non riesce a non commuoversi: 45 anni trascorsi tra quei viottoli di sciara, scavalcando centinaia di muretti a secco per appropriarsi di luoghi nascosti ed autentici, non si possono dimenticare, non devono sparire nel nulla.
Un volume tutto da scoprire, da leggere, da sfogliare lentamente, da meditare, da amare. Si, perché l’amore nasce anche dalla memoria, dai ricordi di un passato indifeso!
Grazie Oliver, hai commosso anche me.
- Il libro di Sebastiano Costanzo (Oliver), “Le costruzioni in pietra lavica del territorio jonico etneo. Immagini e scorci di tradizioni ed attività”, edito dalla “Voce dell’Jonio”, è in vendita presso la Libreria Veritas, Via Genuardi 1, Acireale. Prezzo 18 Euro.
- Il volume è inoltre disponibile on line presso il sito dell’editore.
- Per contattare l’Autore: scrivere all’indirizzo email costanzo.oliver@alice.it