Dopo il Covid, decolla il turismo enogastronomico. Le strategie di comunicazione di un settore sempre più importante per il Sistema Paese e per le aree interne. Walter Massa illustra la Case History di Terre Derthona al Festival del Giornalismo Alimentare di Torino
Partiamo da un principio: “Il turismo enogastronomico è una gran bella cosa. Essere un viaggiatore enogastronomico è una gran fortuna”. Significa scoprire un territorio, la sua biodiversità, le sue realtà, la cultura, entrare in contatto con la comunità locale, capirne le dinamiche.
“L’Italia è il Paese al Mondo più gradito per il Turismo enogastronomico. C’è una grande voglia di Italia e le prospettive sono molto incoraggianti. Lo scenario è positivo“, dichiara Roberta Garibaldi, Amministratore Delegato ENIT – Agenzia Nazionale del Turismo e Autore del “Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano”.
Stamattina abbiamo una presenza significativa al Festival del Giornalismo Alimentare di Torino, un personaggio un po’ ribelle ma altrettanto importante nel mondo del vino, della cultura e del Paesaggio rurale del Tortonese, nonché filosofo e padre putativo del Timorasso. Parla, come Presidente, della Strada del Vino e dei Sapori dei Colli Tortonesi, oggi Terre Derthona.
La parola a Walter Massa, che ha il merito di avere rilanciato un territorio grazie alla riscoperta di un antico vitigno che stava scomparendo, il Timorasso, e di un vino che riscuote un successo in tutti i Mercati del Mondo.
“Partendo da quel vino, posso affermare che oggi, di quel vino, si produce circa un milione di bottiglie. Ma voglio anche ricordare che nel 1988, il primo imbottigliamento della vendemmia 1987 aveva prodotto soltanto 560 bottiglie. Il Timorasso, raro vitigno autoctono, appartiene a quel Piemonte che sta a ridosso dell’Appennino Ligure, nelle colline a sud di Tortona (Alessandria). Questo vitigno ha avuto una grande storia produttiva fino alla seconda guerra mondiale, prima che la fillossera distruggesse i vigneti di tutta Europa. L’attuale successo del Timorasso poggia su alcuni punti fondamentali: un nuovo stile di vinificazione, l’interesse della stampa e il dialogo tra produttori. L’intuizione che il Timorasso per esprimersi avesse bisogno di almeno un anno sulle proprie fecce nobili, stesse condizioni di affinamento dello Champagne, è stata determinante”.
“La riscoperta del Timorasso è avvenuta in un momento storico in cui il mercato era pronto ad accettare vini costosi, poiché coltivare il Timorasso, e tradurlo in vino, è molto più costoso di molti altri vini bianchi. Il Timorasso è un vino difficile. I mezzi di comunicazione, stampa, riviste, guide a valenza nazionale, tra il 1995 e il 2010, gli hanno dedicato molta attenzione, interesse che oggi è diventato patrimonio della stampa internazionale”.
“Io che per passione o per necessità mi sono sempre occupato di cose che mi circondano, piuttosto che orientarmi di quella politica fredda dei Consorzi di Tutela del Vino, indispensabili ai viticoltori, ho preferito occuparmi della Strada dei Vini e dei Sapori dei Colli Tortonesi. Da quando sono diventato Presidente, la prima cosa che ho fatto è stata cambiare il nome, chiamandola Terre Derthona, nome latino che in epoca romana identificava Tortona e il suo circondario . Un cambiamento forte e logico perché Tortona ha un terzo di territorio di pianura tra la bassa valle Scrivia e la bassa val Curone, un agro importantissimo, perché proviene da lì una grossa varietà di ortaggi nel nostro Paese”.
“Questo agro che vive con l’acqua della Liguria, l’aria della Lombardia, il vento dell’Emilia e poggia sulla terra del Piemonte, in cui si intreccia l’inflessione ligure e quella lombarda, in cui si fa lo slalom tra la radice linguistica piemontese e quella padana, ha vissuto infiniti passaggi, storici e culturali, tra guerre, definizione di confini politici ed ecclesiastici, strade del sale, valli senza sbocchi. Un altro terzo è situato nella parte appenninica che arriva fino a 1700 metri s.l.m. con epicentro Caldarola; infine, ancora 35 comuni di collina ove alberga la viticoltura, ovvero i Colli Tortonesi. Sarebbe stato “comodo” avere una Torre di Pisa o un Colosseo o l’aver dato i natali a Vasco o a Valentino Rossi per attirare l’attenzione mondiale. Abbiamo dovuto far ‘fuoco con la legna dei nostri boschi’ che oggi ci ripaga di questi sforzi”.
“Con la presa di coscienza dell’importanza del turismo legato ad agricoltura, paesaggio, territorio, ambiente, cultura, sport, relax, si è capito che l’area a valenza enogastronomica che fa capo alla città di Tortona era impropriamente denominata ‘Colli Tortonesi'”.
Ci sono elementi dell’identità territoriale, culturale e produttiva di luoghi diversi: il Formaggio Montebore, il Tartufo bianco d’Alba dei boschi di San Sebastiano, la Fragola di Tortona, la Meliga ottofile, la Ciliegia di Garbagna, la Pesca di Volpedo, la Frutta della val Curone, il Cece della Merella, il Salame Nobile del Giarolo, le Fagiolane della Val Borbera o gli Orti della Valle Scrivia, solo per citarne alcuni”.
“Era necessario dare a questo areale un nome realmente identitario. Il Timorasso, con Derthona, oggi è legato indissolubilmente al territorio di origine e viaggia per il mondo. Guardando indietro sappiamo dove e come andare avanti: i nostri campi, vigne, boschi, frutteti, orti, allevamenti, si sono alleati ad una ristorazione colta che funge da ufficio turistico, punto di incontro, colturale e culturale e ambasciatore del territorio. Tornano i riti produttivi del pane ottenuto da grani antichi, dei salumi che l’aria del ‘marin’ (la brezza che arriva dalla Liguria), trasforma in “Nobile del Giarolo”, delle pesche fresche e sciroppate di Volpedo, prodotti che mutuano il coraggio di osare e la forza comunicativa che arriva dal vino”.
“Stiamo sviluppando le tre stagioni della frutta. La frutta fresca è sulle nostre tavole da adesso finché ce n’è; ma con la frutta fresca no si va più da nessuna parte. Se invece si ha l’opportunità di sciropparla, metterla sotto vetro e promuoverla, questa arriverà su tutti i mercati del mondo e farà sorridere tutto il territorio”.
“Abbiamo, ancora, due brand ambassador: Fausto Coppi per affermare un effetto outdoor e Giuseppe Pellizza da Volpedo per un’impronta culturale che, se non altro, ha dato a noi che lavoriamo nei campi e ci occupiamo della terra la forza per dire a tutti ‘ci siamo anche noi’; non siamo quelli che prestano il proprio fianco agli altri”.
“Ma quello che succede nel tortonese vale per tutta la nostra penisola: valli, vallette, colline, bricchi che hanno voglia e diritto di emergere, hanno qualcosa da offrire. Per fare questo dobbiamo dare più forza alle Strade del Vino, dei Sapori e aggiungerei ‘dei Saperi’: ha più valore fare quattro chiacchiere con il contadino, con l’oste, col bottegaio di un piccolo borgo piuttosto che andare dietro a tante carte patinate”.
“Bisogna incentivare di più il turismo e l’agricoltura; per stare ai vertici mondiali l’Italia ha bisogno di un contributo dalle sue grandi risorse. Vedere l’Appennino spopolarsi non ha senso!”.
Per finire, voglio citare Francesco Guccini, re dell’Appennino: portiamolo tutte le sere in televisione, per farci raccontare una pillola al giorno, come hanno fatto le canzoni di De Andrè, che hanno capito la questione dello spopolamento e dell’abbandono della terra. Non parliamo solo di Bronte come Pistacchio, di Tropea come Cipolla, di San Daniele come Prosciutto! Ci sono altri prodotti che popolano altri borghi secondari ma dipinti da una Bellezza antica, e allora attraverso queste Strade scopriamo l’Altra Italia contadina, ogni paese ha le sue bellezze e bontà da offrire”.
Guccini scriveva:
Ho visto
la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente…
Nel 1967, il povero Luigi Tenco, mio conterraneo:
… la solita strada bianca come il sale,
il grano da crescere, i campi da arare;
guardare ogni giorno se piove o c’è il sole,
per saper se domani si vive o si muore, …
oggi, di grandissima attualità!
“Aiutateci a portare questa voce nei palazzi che decidono altrimenti andremo a mangiare bustine. Bisogna sapere raccontare il territorio, incontrare quella gente nascosta, dialogare con loro. E il turismo enogastronomico deve servire a quello“. In ultimo, una provocazione: “Perché non far pagare una quota alle agenzie immobiliari a favore dei Consorzi di Tutela, che, con la loro attenzione ai luoghi, valorizzano l’intero patrimonio immobiliare?”.
A margine dell’incontro
Walter, chi vorresti incontrare sul tuo cammino tra le Terre Derthona?
“Risponderei dicendo che non voglio incontrare gli ‘imparati’. Voglio incontrare gente che a me dia qualcosa della loro esperienza di vita, che accetti qualcosa da me e che abbia le orecchie aperte per sentirsi dire che il vino non è uno status symbol ma che è una cosa buona. E per essere una cosa buona deve essere chiuso col tappo a vite, ad esempio, soprattutto il vino bianco. Sembrano stupidaggini, ma sono anche queste cose che fanno il territorio”.
“In Sicilia non c’è solo la Valle dei Templi da visitare; il Frascati è un grande vino italiano, come quello prodotto ad esempio da un grande vignaiolo come Luigi De Sanctis; a Orvieto non si fa il vino solo per i pullman turistici da un 1,5 euro alla bottiglia, rivenduto, rubando, a 10 euro, ma si produce un ottimo vino, etc… Da me, sulle mie Terre vorrei un turista colto che abbia un appuntamento, con la voglia di mangiare sempre una fetta di salame, di dialogare e di conoscersi. Mi aspetto il messaggero che dica ‘andate su quei Colli, non rimarrete delusi e non perderete del tempo’”.
Bravo Walter