Sapori speziati, profumi inebrianti, una cultura culinaria le cui origini si perdono nella notte dei tempi: affascinante, avvolgente, sfaccettata, la gastronomia indiana sa dire la sua su ogni fronte, a cominciare da piatti iconici come i cibi al curry per finire con i tanti dolci tipici. Ricette secolari che negli anni sono state modificate a seconda della disponibilità degli ingredienti e i tanti influssi culturali. La tavola indiana fa parlare di sé anche quando si tratta di street food: ecco alcuni dei cibi da passeggio da non perdere.
Vada pav, i panini simbolo della working class
Le varianti di frittelle di patate nel mondo sono moltissime. Anche l’India ha la sua versione, con le vada, tortine a base di patate lesse, cipolla, peperoncini verdi, coriandolo e diverse spezie, immerse in una pastella a base di farina di ceci e fritte. Si possono gustare da sole, ma la loro migliore espressione è nel vada pav, un soffice panino nato grazie al commerciante Ashok Vaidya negli anni ’60. Il politico Balasaheb Thackeray in quel periodo fece appello agli abitanti del Maharashtra affinché diventassero degli imprenditori, investendo nella ristorazione come stava già avvenendo al Sud del Paese. Vaidya creò allora un chiosco fuori la stazione di Dadar, tra le più importanti di Mumbai, dove vendeva le vada e il poha, il riso schiacciato ed essiccato, accanto a un chiosco di omelette. Un giorno, provò a inserire le frittelle di patate all’interno dell’omelette, aggiungendo del chutney al ripieno, ricetta vincente che lo ispirò a creare un panino farcito. Col tempo, il vada pav divenne il tipico snack della classe operaia, perché facile da fare, sostanzioso ma soprattutto economico: la popolarità dello spuntino crebbe sempre di più, e ancora oggi si possono trovare molti stand di street food specializzati in questa ricetta semplice ma deliziosa.
Samosas, i triangoli speziati
Fagottini di pasta sottile dall’aroma inconfondibile, ripieni di verdure, fritti, irresistibili: i samosas sono con buone probabilità il più celebre dei cibi da strada indiani, diffusi in molti altri Paesi del Medio Oriente con le dovute variazioni locali.
Una forma primordiale dei samosas era il sanbosag, citato nei testi persiani del primo Medioevo, mentre altre fonti scritte parlano di sanbusak o sanbusaa, piccoli triangoli ripieni di carne macinata consumati dai mercanti ambulanti, che li portavano con loro nelle bisacce per avere un pasto veloce, nutriente e pratico.
Sembra che sia stato proprio grazie ai mercanti che i samosas sono arrivati dall’Asia Centrale al Nord Africa, passando poi per l’Asia dell’Est e del Sud. In India, comunque, approdano grazie ai cuochi mediorientali emigrati per lavoro durante il sultanato di Delhi.
Oggi si trovano perlopiù in versione vegana, ripieni di patate e altre verdure cotte e profumate con diverse spezie, ma in origine erano prodotti con la carne, come ritrovato anche negli scritti di un viaggiatore marocchino del Medioevo, Ibn Batuta, che racconta: “I sambusak sono un insieme di carne macinata, mandorle, pistacchi, cipolla e spezie, messo all’interno di una busta sottile di grano fritta nel ghee”.
L’uso del ghee in India
A proposito di ghee: è un ingrediente fondamentale nella cucina indiana, un burro chiarificato – fatto scaldare affinché l’acqua e le proteine del latte si separino – nato per via delle alte temperature del Paese, che in passato non permettevano una conservazione ottimale del burro classico. Quello chiarificato, infatti, si manteneva più a lungo, ed è così entrato poi di diritto in moltissime ricette, oltre che nella mitologia induista: la leggenda narra che Prajapati, signore delle creature, lo inventò strofinandosi le mani, per poi gettarlo nelle fiamme e dare vita alla sua prole. È per questo motivo che, ancora oggi, gli induisti versano il ghee nel fuoco come segno di buon auspicio durante i matrimoni o altre occasioni speciali.
Chaat, lo spuntino per sconfiggere il colera
Della pasta speziata fritta condita con ingredienti diversi: mai come nel caso del chaat, le variazioni sono moltissime. Secondo i racconti popolari, la pietanza sarebbe nata durante la dinastia Mughal, in particolare durante il regno di Shan Jahan, famoso per la creazione del Taj Mahal: secondo la leggenda, anche il chaat è una sua invenzione, nata per far fronte all’epidemia di colera del Cinquecento. L’acqua era contaminata al tempo e non poteva essere consumata direttamente, così il fisico di corte Hakim Ali suggerì di mescolarla al tamarindo, il coriandolo, la menta e del peperoncino per eliminare i batteri. Non ci sono fonti certe, comunque, circa l’origine del chaat, ma la ricetta è arrivata fino a oggi, chiamata così probabilmente per via della sua bontà: chaat significa “leccare” e sembra che le persone impazzissero così tanto per questa specialità al punto da leccarsi le dita. Oggi i chaat si consumano come antipasto o spuntino, e sono delle palline fritte simili a pastelle lievitate, condite con verdure, erbe aromatiche, spezie e accompagnate da salse piccanti, presenti anche in versione dolce.
di Michela Becchi by Gambero Rosso