Diplomazia climatica a Dubai in questi giorni. Slow Food: “solo soluzioni concrete incentrate sull’agroecologia e il rispetto delle esigenze delle comunità locali, soprattutto dei Paesi più fragili, possono consentire a tutta l’umanità di salvarsi”
È cominciata proprio in queste ore la Cop28 a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, e fino al 12 dicembre saranno tante le occasioni in cui si parlerà di sistemi agricoli e alimentari e delle risorse naturali sulle quali insistono, acqua e suolo in primis, biodiversità vegetale e animale.
Dopo che la Cop27 ha dedicato per la prima volta un padiglione all’alimentazione, quest’anno le politiche agricole e alimentari saranno al centro delle discussioni a Dubai. È senza dubbio un passo importante analizzare il sistema di produzione del cibo perché nel suo complesso – produzione, trasformazione, trasporto e consumo – è responsabile del 35% delle emissioni di gas serra e del 15% dei combustibili fossili bruciati.
Ma quali soluzioni verranno proposte? “Occorre un importante cambio di paradigma che costruisca un nuovo rapporto tra esseri umani e natura. La natura è il tutto e noi ne siamo una parte: non siamo superiori e non possiamo piegarla al nostro volere per il raggiungimento del mero profitto – commenta Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia -. Il rischio è che il dibattito ignori la complessità dei sistemi alimentari, le cause profonde dell’insostenibile insicurezza alimentare, gli effetti della crisi climatica che colpisce in modo sproporzionato i Paesi del Sud del mondo, così come gli squilibri di potere che genera il sistema produttivo industriale. Il pericolo è che ci si concentri su innovazioni tecnologiche che non mettono in discussione il modello lineare, industriale ed estrattivista, tralasciando soluzioni rigenerative, più universali e strategiche, come evidenzia la FAO e l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), adottate con successo da numerose comunità Slow Food in Italia e nel mondo e basate su pratiche agroecologiche”.
“Slow Food ritiene che solo le soluzioni che affrontano allo stesso tempo le sfide della sicurezza alimentare, del cambiamento climatico, della salute e della perdita di biodiversità e che includono una prospettiva di giustizia climatica dovrebbero essere presenti nei negoziati – continua Nappini –. L’agroecologia non è solo un insieme di pratiche agricole, ma una visione sistemica che integra questioni ambientali e sociali, infatti si concentra sulla biodiversità, sulla conservazione degli ecosistemi e sulle competenze e le esigenze delle comunità. È un modello che può garantire la sicurezza alimentare a lungo termine per tutte e tutti ed è riconosciuto e promosso dai movimenti per la sovranità alimentare e dalle organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite. L’ IPCC ha specificamente approvato l’agroecologia come soluzione climatica, insieme all’empowerment delle comunità locali, che può migliorare la resilienza agli effetti del cambiamento climatico. Ha anche affermato che il passaggio a diete equilibrate e sostenibili può aiutare a combattere il cambiamento climatico, e questa è anche la visione che noi di Slow Food continuiamo a ribadire con quieta e convinta determinazione “.
Le strategie incentrate sull’alimentazione sono attualmente assenti da oltre il 70% dei piani climatici dei Paesi, ma tali piani sono uno strumento cruciale per abbandonare i metodi industriali di produzione alimentare a favore di metodi di coltivazione più sostenibili, ovvero l’agroecologia. “Questo non solo proteggerebbe il pianeta, ma aiuterebbe anche ad affrontare le radici della fame, a creare posti di lavoro, a migliorare la salute e a proteggere la biodiversità, in definitiva a costruire una prospettiva futura di pace e bellezza” conclude Nappini.