Rilevare e riaprire un ristorante storico dopo più di dieci anni di chiusura è sicuramente una scommessa, ma può diventare un sogno bellissimo. È quello di Giuliana Borga, in sala, e Davide Gatti, cuoco, moglie e marito, più di trent’anni di esperienza nella ristorazione, che dal 2023 hanno aperto un’accogliente osteria tradizionale piemontese.
Hanno scelto Castagnole Monferrato (Asti), le dolci colline del Ruchè, nel Monferrato Astigiano per realizzare il loro sogno: da un anno e mezzo hanno riaperto i battenti dell’Osteria “Il Ruchè”. Si viene qui per mangiare la schietta cucina piemontese di tradizione e si percepisce subito la simpatia ed il calore dei titolari per fare stare bene gli ospiti, appena messo piede nell’intimo bar che vi accoglie.
Una sala a mattoni a vista, piacevole, tavoli ben distanziati per una quarantina di commensali e, dietro le vetrate, due storici “infernot”, aperti nel tufo, con una serie di antiche bottiglie di Ruchè e antichi attrezzi di campagna. La musica di tutte le epoche, in sottofondo, crea armonia.
Davide, questa Osteria di paese è stata chiusa per 10 anni e nel 2023 avete deciso di riaprirla al pubblico. Con quali propositi?
“Innanzitutto riportare la cucina della tradizione sul territorio, cercando di offrire alla gente prodotti del luogo e, d’accordo coi produttori della zona, di qualità. Una cosa a cui tengo moltissimo, però, è quella di dare al pubblico piatti ancora autentici ma a costi equi. Mi metto nei panni della famigliola con bambini (io ne ho tre, sotto i 15 anni) che, se viene a mangiare in Osteria deve spendere una cifra onesta. Il cibo, a qualsiasi livello, deve essere accessibile a tutti. Anche i vini proposti in carta, e mi riferisco soprattutto al Ruchè, devo avere prezzi onesti.
Quali sono i principi della tua cucina?
“Voglio fare riscoprire i sapori d’un tempo, qui da noi si mangia la schietta cucina piemontese e monferrina, non troverai mai piatti che seguono i canoni della cucina innovativa. Prediligo un’ottima pasta e fagioli, una trippa con le patate, un coniglio al vino bianco. Al mattino ho sempre la visita di mia mamma che non è mai stata cuoca ma riesce a darmi dei consigli per portare in tavola i piatti della nonna”
Quale è stato il tuo percorso? Tu sei alla soglia dei 50 anni ma hai già percorso tanta strada prima di arrivare fino a qui. Ti sei sempre occupato di cibo ma sotto diverse angolazioni
“Ho frequentato la Scuola Alberghiera ad Agliano d’Asti e, appena uscito, ho mosso i primi passi, aprendo ad Asti la Delizia in Corso Alessandria, una gastronomia che c’è ancora adesso. Io sono per la semplicità tra i fornelli, mi piace il piatto che porto in tavola senza stravolgerlo, non sono per i gusti estremi. Se prendo come esempio l’insalata russa, la preparo come faceva mia nonna: faccio bollire patate, carote, piselli, li mescolo assieme a due verdurine all’aceto, per conferirgli un tantino di agro e un po’ di maionese. Il piatto è pronto, basta così. È la materia prima che conta. Sono per la cucina dei sapori piuttosto che per quella dei colori. I pittori culinari non vanno per me. Ahimè molte volte abbiamo davanti un piatto preparato alla perfezione, una tavolozza di colori, ma non sappiamo cosa stiamo mangiando. Bisogna prestare attenzione alla conservazione del cibo”
Chi sono stati i tuoi maestri?
“Beh devo moltissimo ai miei insegnanti della Scuola Alberghiera, sono stati davvero dei maestri: il professor Chiriotti e il prof. Rolando Castiglione. Mi hanno insegnato veramente tanto; ci facevano operare tanto in cucina, oltre a fornirci le basi culturali. Ho fatto l’aiuto cuoco presso un ristorante di Castel d’Annone, ho lavorato a Santena presso l’Hotel dei Cacciatori, lì ho imparato tanto; poi l’Hasta Hotel di Asti e il Nuovo Falcone di Castell’Alfero. Ho fatto anche l’esperienza del pizzaiolo che ti forma sulle lievitazioni, sulle cotture… un bel po’ di gavetta. Il mestiere del cuoco mi appaga: se lo fai con passione, con piacere, ti da soddisfazioni. Un mestiere, nella vita, ci vuole; se lo fai bene ti gratifica molto.
Quale è la maggiore soddisfazione per un cuoco
“È quando incontri la gente che ti conosce, che ti ha incontrato nelle esperienze precedenti, che si complimenta per un piatto assaggiato. Mi fa andare in brodo di giuggiole l’apprezzamento per quello che stai facendo in quel momento: prendiamo l’agnolotto, ad esempio. Il mio è un agnolotto quadrato, lavorato a mano. Una delle mie esperienze precedenti era stata la realizzazione della pasta fresca, in gastronomia; avevo appena 18 anni e mio padre, che aveva tanto fiuto negli affari, rilevò quel laboratorio per farmi lavorare. Lo presi e ho impiegato anche un mio compagno di studi. L’ho tenuto per 5 anni. Ho poi avuto anche l’opportunità di lavorare in Francia, nell’Alta Savoia, nel ristorante di un circolo di golf, bella esperienza.
Per te, cosa rappresenta la cucina piemontese… e i tuoi piatti del cuore?
“Per me vuol dire rispetto. È lo stesso rispetto che desidero dai clienti che varcano la soglia di questa osteria: devono rispettare il mio lavoro, perché sto portando in tavola del cibo buono, che ho preparato per loro con tanta passione, cercando in tutti i modi di soddisfare le loro aspettative. In questo lavoro ci vuole tanta dedizione, per fare le cose per bene devi impegnarti e faticare. Faccio l’esempio dell’agnolotto: quando avevo la gastronomia, io di notte andavo ad Asti, alla Bottega della pasta in Corso Volta, per imparare a fare gli agnolotti come la nonna. Un anno per imparare bene. Ancora oggi sono innamorato di questo piatto; qui, l’agnolotto e la tagliatella li faccio ancora io, a mano, partendo dalla pasta fresca. Rappresenta uno dei piatti simbolo della mia cucina, fatto autenticamente come una volta. Un’altra ricetta che mi sta a cuore è lo ‘Stinchetto di maiale al forno’, servito nel nostro menu invernale. E poi, ancora, lo ‘Stracotto d’asino con polenta”, che rimane sul fuoco almeno 5 o 6 ore, perché lo spezzatino si deve sciogliere, non deve rimanere tra i denti”
Mi stai facendo pensare ai segreti della cucina: esistono dei passaggi che solo il cuoco sa, per fare diventare il piatto un’eccellenza del gusto e del piacere?
“Non li chiamerei segreti quanto principi di cucina! Molti ristoratori, forse, a volte tralasciano i vari passaggi importanti ed essenziali nella creazione di un piatto… senza andare lontano, la preparazione di un risotto sottintende una serie di azioni tecniche che, se vengono tralasciate o eseguite frettolosamente, fanno perdere aromi, sapori, carattere al piatto stesso. Ci vuole intelligenza nel cucinare, bastano piccoli accorgimenti e tanta attenzione… ci vuole intelligenza!”
Davide, hai usato dei termini, durante questa conversazione, che mi hanno colpito favorevolmente… “rispetto” e “intelligenza”. Due parole che hanno un grande valore, che riportate nel campo del cibo assumono significati bellissimi: valore del cibo, dignità. Con le tue parole porti il cibo ad assumere un valore culturale.
Pensi che in un prossimo futuro, il cibo, la gastronomia, la ristorazione possano perdere tali significati, questi principi basilari, antichi e tradizionali, che fino a qualche decennio fa si rispettavano ancora. Credi che siamo arrivati o ancora ci sia spazio per i sapori d’una volta?
“La domanda è complessa. Credo non dipenda solo dai ristoratori. Dobbiamo tenere conto della domanda: se il commensale è istruito nella maniera giusta, possiede la cultura del cibo, allora sceglie i posti dove si fa quel tipo di cucina, altrimenti la strada diventa ardua. Oggi il mondo viaggia frettolosamente, la Grande Distribuzione ti presenta un piatto già pronto per essere mangiato, inscatolato e cucinato in tanti modi diversi e i consumatori prediligono questo tipo di offerta. È il cibo industriale, dove non sappiamo nulla della materia prima, dove il sapore non è la cosa che appaga di più, forse mangiamo anche plastica. Occorre scegliere realtà territoriali, anche piccole, per riscoprire i sapori di un tempo. Devo anche sottolineare, però, che, secondo me, i troppi intoppi burocratici cui è sottoposto il ristoratore fanno sì che questo deleghi, non potendo seguire con attenzione il tutto. Bisogna alleggerire i costi di gestione della nostra attività. Ma occorre anche abbassare i costi dell’’andare a mangiare fuori’ …”
Hai toccato un argomento molto interessante, l’economia del cibo… quanto costa andare a mangiare al ristorante! In questa vostra osteria che tipo di offerta proponete?
“Ecco, ti parlo del nostro Menu Degustazione, che cambia tutte le settimane: diamo sempre un piccolo assaggio di salumi nostrani, in attesa degli antipasti. Cinque antipastini come, ad esempio, l’insalata russa; la carne cruda del macellaio di Castagnole che fa pascolare le bestie qui a Scurzolengo, a due passi da noi; un paio di assaggi di formaggio locale; il peperone; due fettine di vitello tonnato. Cose semplici e buone. Una scelta tra 2 primi, agnolotti o tagliatelle o risottino al Ruchè. Un secondo a scelta, di solito l’arrosto della vena cotto per 3 ore e mezza nel Ruchè, o lo stinchetto di maiale o il guanciotto, o il coniglio al vino, a seconda della disponibilità del nostro macellaio locale. Un tris di dolci fatti da noi. Completo di acqua e caffè, il costo ammonta a 25 Euro. Il vino attinge ai migliori produttori del territorio del Ruchè, devo dire, a costi contenuti. Desidero che la gente possa entrare in questa osteria e spendere un prezzo giusto, anche consumando un solo piatto. Ho anche una saletta destinata al gioco dei bambini; l’ho allestita per dare modo alle famiglie di poter consumare un pasto con serenità”
Voi, come Osteria, partecipate al “Bagna Cauda Day” e in questo periodo al “Carpionato del mondo”, due interessanti eventi sul territorio organizzati dall’Associazione Astegiani. Che significato hanno queste partecipazioni?
“Mi piacciono perché promuovi la tua attività, la tua cucina, il territorio e le specialità delle tradizioni piemontesi. Per capire come e cosa si mangia qui, la gente deve venire, deve provare di persona”
Davide, parlami del tuo sogno nel cassetto, quello professionale intendo
“Che la nostra Osteria lavori a pieno regime, che i miei tre figli capiscano che stiamo lavorando per loro, stiamo facendo sacrifici per il loro futuro. Mia figlia più grande frequenterà il secondo anno dell’Alberghiero ad Asti e il sogno di un padre è vederla lavorare in questa osteria di famiglia. È il suo futuro; e che possa offrire anche agli altri miei figli un’opportunità da non sprecare”.
Non posso lasciare l’Osteria senza avere ascoltato le parole di Giuliana, moglie di Davide, responsabile di sala, con un sorriso così bello e beneaugurante, consigliera attenta alle cose che porterà in tavola.
Giuliana, cosa ti piace maggiormente di questo mondo?
“Sicuramente il contatto con la gente. Ho scelto questo lavoro quasi per caso. Parliamo del tempo della scuola media. Ho seguito papà (separato dalla mamma) a Genova, volevo fare l’infermiera. MI sentivo spaesata, avevo vissuto sempre in campagna. È stata la figliastra di papà, che frequentava l’alberghiero in quella città, ad instradarmi. Ho scelto quella strada. Poi, diciassettenne, ho conosciuto Davide e ho lavorato sempre con lui. Questa osteria ci appartiene, l’abbiamo voluta, anche in questo tempo difficile per tutti. Sogno un futuro fortunato per i nostri figli, spero che la figlia più grande possa lavorare presto in cucina con papà e poi al suo posto!. Noi siamo stati coraggiosi ad investire in questa struttura. Desideriamo che la gente ci segua. Qui si mangia bene. La frase di un cliente che un giorno, al tavolo, mi aveva detto: ‘sono commosso nel mangiare questa insalata russa, perché è come aver rivisto mia madre ai fornelli ed io che mangio felice’, mi aveva colpita molto… mi fa continuare a guardare al futuro con tanta speranza e ottimismo. Ce la faremo”.
Auguri per un bel futuro.