La catastrofe del 79 d.C. ha immortalato per sempre quelli che sarebbero stati gli ultimi istanti di vita di un’intera città, cristallizzando nel tempo azioni quotidiane in modo che noi potessimo apprenderle e poi raccontarle.
Le scoperte nel sito antico di Pompei si susseguono in maniera incessante
La nuova straordinaria scoperta a Pompei è un Thermopolium intatto con ancora i resti delle pietanze nelle pentole in coccio: dal capretto alle lumache e persino una sorta di “paella” con pesce e carne insieme, del vino “corretto” con le fave e pronto per la mescita e altri alimenti che venivano venduti in strada. Infine, un grande bancone con immagini affrescate in maniera talmente realistica da sembrare un’istantanea di quasi duemila anni fa, ci mostra una coppia di oche germane, un gallo, un grande cane al guinzaglio e una ninfa marina a cavallo, conferendo all’ambiente un aspetto evocativo.
Lava, cenere e lapilli hanno fatto scomparire la città, ma al contempo è proprio grazie a questo evento disastroso che luoghi, edifici, dipinti e affreschi raffiguranti i momenti degli eccessi e stravaganze, gli alimenti conservati nelle anfore di creta o carbonizzati, impronte di coltivazioni, il rituale del convivio inteso come esperienza gastronomica multisensoriale sono riusciti a sopravvivere intatti nei secoli, facendo acquisire al sito un’importanza unica.
I nuovi ritrovamenti hanno offerto un nuovo scorcio di storia sulle abitudini culinarie dei romani, mostrando come le usanze antiche non fossero così diverse dalle nostre, arricchendo le testimonianze pervenute a noi grazie agli scritti di autori come Apicio, Seneca e Plinio.
Non solo un sito di arte e cultura ma un vero e proprio inventario
Il Thermopolium era il luogo di ristoro nell’antica Roma e la parola latina per banchettare è convivium, che indica il “vivere insieme”. Sappiamo quindi che Pompei è stata tra le prime città a elaborare il concetto di ristorazione moderna: lungo le strade numerosi termopoli offrivano ristoro agli avventori che potevano consumare cibi e bevande rapidamente, è quindi considerato l’antenato del moderno ristorante o di quella che identifichiamo come “tavola calda” in grado di offrire un’esperienza di street food.
Dagli studi più recenti si evince che i ricchi pompeiani fossero dei veri buongustai: erano un popolo con prevalenza di commercianti che molto spesso si spingeva lungo la costa e verso il mare e adorava arricchire le pietanze con nuove spezie e alimenti provenienti da luoghi misteriosi e lontani, la loro cultura alimentare infatti ha subito innumerevoli contaminazioni dall’Africa e dall’Oriente.
I datteri di Babilonia, insieme al miele, rappresentavano spesso il dessert, il piatto conclusivo dell’esaltazione dei sensi sui triclini: una volta disossati venivano farciti con noci, pinoli o pepe, successivamente salati e poi fritti.
Molto amati erano i fichi usati anche come condimento per il loro sapore dolce. Le olive invece venivano coltivate sui monti Lattari, raccolte direttamente da terra, venivano conservate sotto sale o aceto e ne ricavavano inoltre un olio molto aromatico.
Nel I secolo a.C. a Pompei si potevano contare decine di forni perfettamente attivi
Sulle tavole dei pompeiani non poteva certo mancare il pane, un’abitudine sopravvissuta per quasi duemila anni. Seppur considerato un alimento delle classi povere, è di fondamentale importanza per le più recenti scoperte; ritrovando resti carbonizzati e antiche macine in pietra lavica, siamo in grado di stabilire che la forma e la composizione fossero simili se non identiche a quelle attuali. Era costituito da un frumento più raffinato del grano usato dai primitivi e anche da orzo.
Oltre al pane e alle delizie più elaborate, la cucina di Pompei spaziava molto sulle verdure. Dai reperti emerge un largo consumo del cavolfiore coltivato solo negli orti di Pompei antica. Considerato una specialità, veniva soprattutto mangiato crudo o lessato in grandi quantità perché molto leggero.
Nei campi pompeiani trovavano spazio anche diversi tipi di lattuga, broccoli, cetrioli, carote, rapa e basilico usato anche come erba medicinale. Gli asparagi crescevano selvatici nelle campagne della città e l’imperatore Tiberio ne era particolarmente ghiotto.
Piatti tipici e ricette di più di duemila anni fa
L’eruzione del Vesuvio non ha solo distrutto ma ha anche preservato, infatti sono stati rinvenuti semi carbonizzati di melone, fave, piselli, ceci e lenticchie. Plinio il Vecchio classificò circa mille piante commestibili e diversi tipi di frutta fresca come mele, melograni, cotogne, pere, uva e prugne. Anche i frutti che venivano conservati tramite essiccazione per il lungo inverno come sorbe e pesche che si credeva avessero potere curativo, oltre la larga diffusione di noci, nocciole, mandorle, pinoli, perché protetti dal guscio, alcuni resti sono stati scoperti nelle antiche case.
Tra i piatti tipici a base di pesce consumati abitualmente a Pompei ce n’è uno che ancora oggi domina le tavole della nostra cucina: le alicette fritte alla scapece. Le alici venivano fritte e una volta tolte dal fuoco dalle abili massaie erano condite con aceto caldo. Un condimento molto apprezzato dagli abitanti veniva ricavato dal pesce azzurro tipico delle coste partenopee: Il Garum, una salsa ottenuta dalla fermentazione in sale delle parti di scarto e interiora di diverso tipo, un procedimento molto simile a quello della diffusissima colatura di alici odierna.
La tradizione culinaria pompeiana ci ha lasciato inoltre la famosa ricetta della ricotta fresca raffigurata in molti affreschi e un piatto tipico a base di carne: le polpette avvolte nell’omento, ovvero la rete di maiale.
Il vino degli antichi romani
Durante le esplorazioni archeologiche sono stati rinvenuti i calchi di numerosi vitigni, recentemente innestati nella stessa posizione a Villa dei Misteri. La produzione del Pompeiano Rosso IGT è servita per riqualificare la Villa che di recente ha aperto le porte al pubblico per offrire una delle visite più suggestive, degustando un delizioso nettare dal colore rosso rubino intenso e il profumo complesso e persistente, con note speziate e di frutti rossi.
Altri reperti di inestimabile valore storico vengono da Ercolano, Oplonti e Castellammare di Stabia, anche questi luoghi hanno restituito infatti affreschi che mostrano scene conviviali, impronte di coltivazioni e resti di cibi in perfetto stato di conservazione.
Siamo quello che mangiamo, di conseguenza le antiche usanze sopravvivono in noi diventando parte della nostra storia arricchendoci continuamente.