Nell’ultimo decennio, socialmente e storicamente, il nome dei Borbone e, in generale, del Regno di Napoli ha subito una sempre più marcata riabilitazione. Da dinastia autoritaria e arretrata, quasi legata ancora all’ancien regime, che ha dovuto cedere il passo alla modernità unitaria, la storiografia mondiale l’ha ampiamente rivalutata: oggi si parla di un regno florido, dagli usi e costumi evoluti rispetto al resto d’Europa, con sovrani illuminati e moderni.
Una riscoperta che, come spesso accade, si è estesa alla vita di tutti i giorni passando, immancabilmente, per la tavola, centro della vita in ogni epoca. Così, mentre il Re Nasone, Ferdinando IV, assurge al ruolo di eroe popolare nella moderna concezione, l’enogastronomia riscopre il suo vino preferito: il Pallagrello.
Nel dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, del 1797, così veniva esaltato il “Pallarello”, come volgarmente detto, prodotto principalmente nelle zone di Piedimonte Matese: “I vini di questa contrada sono eccellenti, e sono de’ migliori del Regno così per la loro qualità e natura, come per la grata sensazione che risvegliano al palato. Vanno sotto il nome di Pallarelli e sono stimatissimi nei pranzi”. Ancora oggi, nel comune casertano, è presente una lapide posta dal re Ferdinando nel 1775 per elogiare le vigne locali.
Il nome dell’uva deriva dal latino “pilleolata”, che significava “piccola palla”, stessa etimologia dell’attuale “pillola”. Gli acini sono, infatti, molto piccoli e possono essere sia bianchi che rossi. Proprio per questo motivo il vino poteva essere prodotto in entrambe le versioni.
Pallagrello, il Vino del Re
Ferdinando IV serviva il Pallagrello in ogni banchetto, al punto che venne presto ribattezzato “Vino del Re”. Addirittura, il sovrano arrivò ad emanare un decreto per vietare il transito nelle zone adibite alla coltivazione delle vigne di Pallagrello, per non turbare o far rovinare il prodotto.
Un vino che richiese il lavoro persino dell’architetto della Reggia di Caserta, Luigi Vanvitelli; Ferdinando IV gli commissionò la Vigna del Ventaglio, una rivoluzionaria struttura ammirabile ancora oggi presso il Real Sito di San Leucio: una vera e propria vigna, a forma di ventaglio con dieci raggi, dove ogni raggio conteneva un’eccellenza vinicola del Regno. Inutile dire, che fra le dieci eccellenze, figurasse il Pallagrello del Re.
La fortuna del vino, però, finì insieme alla Regno delle Due Sicilie. Poco richiesto, confuso con altri vini locali dal nome più altisonante, finché gli ultimi vigneti furono devastati da infestazioni di oidio e filossera arrivando quasi all’estinzione.
Salvato grazie al WWF
I piccoli acini di Pallagrello sarebbero scomparsi per sempre, se agli inizi degli anni ’90 il WWF non avesse insediato un’oasi di recupero ambientale proprio in quelle zone, salvando fauna e flora del territorio e riportandole a nuova vita. Per quasi 30 anni le vigne sono sopravvissute come realtà autoctone, ma solo l’interesse di Mauro Felicori, al tempo direttore del sito della Reggia di Caserta, ha riportato in vita il vino del Re con un’opera di vera e propria archeologica enologica. Lo scopo del direttore non era solo quello di far riscoprire un sapore del passato, ma anche e soprattutto portare di nuovo lustro alle produzioni locali che un tempo erano lustro e vanto nel mondo.
Nel febbraio del 2018, appoggiando il progetto di Felicori, il Ministero dei Beni Culturali dispose “l’affidamento a titolo oneroso per il ripristino, coltivazione e gestione dell’antica vigna borbonica” in favore dell’azienda agricola Tenuta Fontana. L’affidamento comprendeva anche il marchio “Vigna di San Silvestro-Reggia di Caserta”, posta alle spalle del Parco della Cascata della Reggia.
Da allora l’azienda sta svolgendo un lavoro capillare di ricerca sul territorio ribattezzato “vigna del re”. Rilievi e analisi sono stati svolti per comprendere la tipologia di terreno e le modalità di trattamento. Le coltivazioni vengono effettuate esclusivamente con metodi biologici, il tutto per ricreare lo stesso sapore di quasi tre secoli fa, senza alterarlo con elementi moderni.
Così, il Pallagrello tanto caro al re Nasone, “Stimatissimo nei pranzi”, per citare ancora il dizionario del 1797, potrà viaggiare nel tempo ed arrivare con lo stesso sapore regale sulle comuni tavole moderne.