Terra di inusitati sapori ed odori penetranti, questa stupenda zona della Bassa Padana in provincia di Parma, tra la via Emilia ed il Po, ha visto nascere e morire tante storie vere immaginarie, la più famosa delle quali quella fantasiosa di Peppone e Don Camillo, creata dalla penna graffiante di Giovanni Guareschi che, commuovendo intere generazioni di italiani e soprattutto di emiliano-romagnoli, ha raccontato le genti e gli aspetti della vita di questi luoghi nel difficile dopoguerra.
L’Emilia-Romagna, terra ricca di storia, di tradizioni, impregnata di bel canto, orgogliosa dei suoi salumi quanto del suo inimitabile formaggi parmigiano-reggiano, così come di aver dato i natali a Giuseppe Verdi, come pure di avere tante aziende importanti legate ai prodotti della terra che ne portano il nome in giro per il mondo.
Un territori appunto, che da sempre viene considerato la patria della culinaria italiana, tanto che viene ricordato come Food Walley, in particolare per quei prodotti che, più che altrove, la tradizione contadina ha saputo preservare, arricchire ed infine esportare fuori dal regno di Maria Luigia: dal parmigiano-reggiano, al prosciutto Doc, ai tanti salumi dai diversi sapori, tra i quali spicca il famoso “culatello”.
Dove poteva nascere il “Cibus” se non qui; una rassegna fieristica internazionale sull’alimentazione che convoglia a Parma migliaia di operatori del settore e che ha saputo abilmente valorizzare prima di tutto proprio i prodotti della propria terra?
Chi non ha mai assaggiato il culatello non può sapere cos’ha perso; prodotto tipico della campagna parmense e dei laboratori artigiani della zona pianeggiante verso Busseto, Brescello, Gualtieri e soprattutto Soragna e Felino, viene preparato anche da qualche industria alimentare di insaccati, seppure in quantità limitata.
La sua preparazione è molto delicata; dalla coscia del maiale, disossata a caldo subito dopo la macellazione, vengono ricavate due parti distinte: la massa muscolare che circonda il femore, utilizzata per fare appunto il culatello, e gli altri muscoli della coscia, utilizzati per fare il “fiocchetto”, altro tipico prodotto della zona, la cui caratteristica è di essere più piccolo del culatello. Durante la lavorazione vengono esportate le “rifilature” in modo da conferire ai prodotti la tipica forma “a pera”.
Il culatello è molto più magro del prosciutto ed è anche meno salato poiché parte del grasso di copertura viene “manipolato”, adattato alla forma del prodotto e la salatura a caldo limita l’assorbimento di sale al 2,5% circa. Altre spezie utilizzate per arricchire il sapore, mantenerne la freschezza nel tempo e permettere una buona stagionatura, sono il pepe, l’aglio ed il salnitro.
Dopo dieci giorni di salagione in ambiente freddo ed umido, il prodotto viene lavato, asciugato ed insaccato in vesciche di maiale o in sacchetti ricavati dagli intestini dei suini o dei bovini, dopodiché viene messo a stagionare per otto – dieci mesi.
Durante la lunga stagionatura, la parte esterna del culatello diventa piuttosto dura in quanto non è ricoperta dalla cotenna o dal grasso come nel prosciutto.
Al momento del consumo, perciò, si usa avvolgergli attorno per alcuni giorni un panno intriso di vino, proprio per ammorbidirlo, arricchendone ulteriormente l’inconfondibile arma che, una volta affettato, impregna le fette del pane – preferibilmente quello che da queste parti viene comunemente detto “montanaro”, men sapido, meno salato – con il quale si usa fare quei gustosissimi ed invitanti panini ricchi di quel particolare sapore che sa di campagna, di tradizioni secolari tramandate dai padri ai figli per generazioni i quali, seppur urbanizzati ed industrializzati, ci tengono in md particolare a tener viva l’arte del saper fare il culatello.