Il Borlengo è una sottile cialda, composta da acqua, farina e uova, che viene servita calda, ripiegata e condita con un battuto di lardo e/o pancetta, aglio e rosmarino a cui va aggiunta una spolverata di Parmigiano Reggiano.
La ricetta attuale, indicata nel disciplinare, oltre agli ingredienti per la “colla” composta di farina, acqua e sale, prevede l’uso facoltativo di uova e un condimento (cunza o concia) preparato con lardo e/o pancetta, aglio e rosmarino, a cui va aggiunta una spolverata di Parmigiano Reggiano.
Una ricetta semplice che richiede però una grande abilità nella cottura, da effettuarsi su una larga padella in rame stagnato chiamata “sole”.
Un’abilità che è oggi possibile apprendere presso la Scuola Internazionale del Borlengo della Pro Loco di Guiglia, località dell’appennino modenese, dove dal 1967 si svolge annualmente la Sagra del Borlengo.
Un po’ di storia
L’origine storica del borlengo risale al tardo medioevo, quando per far fronte alla carenza di farina si usava aggiungere una maggiore quantità di acqua all’impasto del pane. Nasceva così una sorta di cialda sottilissima e trasparente, quasi un cibo per burla, da cui il nome attuale “borlengo”.
Il Borlengo si considera nato a Guiglia nel 1266, ai tempi di Ugolino da Guiglia, durante l’assedio che questo condottiero subì rinchiuso nel suo Castello di Montevallaro ad opera dell’esercito della famiglia degli Algani, Guelfi modenesi, capitanato da Nisetta degli Osti, Ruffo dei Rossi, Pepetto dei Trenta e da Crespon Doccia.
Ugolino e la famiglia dei Grasolfi, che presidiavano il maniero, si arresero il 4 luglio 1266 e si racconta che riuscirono a resistere parecchi giorni in più grazie a certi impasti cotti di farina e acqua insaporiti d’erbe assomiglianti a grandi ostie. Un impasto che con il passare del tempo veniva man mano aggiunto di acqua. In questo modo il rapporto acqua e farina squilibrava ogni giorno di più a favore dell’acqua fino a produrre un pane sottilissimo e trasparente, quasi una burla, uno scherzo per gli assedianti che credevano di riuscire in breve tempo ad avere ragione di Ugolino e i suoi.
Cibo per “Burla” quindi da cui “Burlengo” (con la “u” anziché con la “o”) che i pochi superstiti avrebbero diffuso in tutto l’Appennino.
Un cibo povero ma gustoso
Il Borlengo è stato sempre considerato un cibo povero e, d’altra parte, gli ingredienti indicano che non poteva essere diversamente. Occorreva, infatti, poca materia prima; poca farina che costava molto, e molta acqua che non costava nulla.
La tradizione di fare i borlenghi veniva tramandata di padre in figlio, di famiglia in famiglia e nella miseria dei secoli passati questa preparazione culinaria era una risposta alla fame: durante l’inverno in particolare il camino era acceso e le braci erano sempre a disposizione per essere disposte sotto il “sole”, ovvero la particolare padella in rame stagnato dove venivano cotti. Un tempo infatti si cuocevano nel camino e anche nelle cucine economiche.
A Guiglia si ricordano mitici borlengai che andavano nelle case a fare i borlenghi, degli specialisti, dotati dell’attrezzatura necessaria, ed era una festa; si radunavano da una o dall’altra famiglia un gruppo di persone, poi si chiamava il borlengaio.
Il Borlengo fino a qualche decennio fa era poco conosciuto fuori dalla stretta cerchia del territorio tradizionale di produzione fino a quando vennero istituite una serie di manifestazioni per valorizzare questo particolare cibo, tra queste si ricordano: il Borlengo d’oro manifestazione nella quale i borlengai dei vari paesi si contendevano la palma del migliore, la Sagra del Borlengo in calendario annualmente a Guiglia fin dal 1967, la Scuola Internazionale del Borlengo della Pro Loco di Guiglia. Ed è proprio grazie a queste iniziative che il Borlengo, riscoperto da alcuni decenni, ha ormai raggiunto una popolarità che, per la prima volta dopo tanti secoli di storia, sta uscendo dal ristretto confine del territorio tradizionale di produzione.
Il Borlengo, che deve essere consumato caldo, deve avere un colore giallo paglierino, una consistenza friabile, sapore e aroma caratteristico derivante dalla “cunza” ovvero dal condimento che viene posto al suo interno. La classica presentazione del Borlengo è di spicchio di cerchio pari a circa un quarto delle dimensioni del “Sole”, la padella in cui viene cotto.
Nei paesi del crinale bolognese il Borlengo assume il nome di Panzanella, ma la sua composizione è la stessa di quello del modenese.