SECONDA PARTE
Dopo la pubblicazione di qualche giorno fa della PRIMA PARTE dell’intervista, assieme ad Annina e Salvatore Russo ripercorriamo ancora un po’ la storia della mitica Pasticceria di Santa Venerina (Catania) che si intreccia con la vita, le tradizioni, la gente di un tempo, non tanto lontano.
La Pasticceria rimane un luogo magico, quasi creato per il piacere di raccontare un passato, sì faticoso, ma di grande bellezza e di estrema dolcezza che domina ancora il paesaggio dolciario alle falde del Vulcano.
Davanti a me Annina che mi ha già raccontato un sacco di cose piacevoli, mi ha svelato segreti, mi ha fatto ricordare il tempo della prima giovinezza, ci ha fatti sognare. Dall’inizio dell’intervista una grande foto in bianco e nero alla parete colpisce la mia attenzione. Sicuramente gli antenati… mi faccio spiegare un po’…
“Parto dal nonno, Lucio Russo, il fondatore. Aveva aperto la Pasticceria nel 1880, quando aveva 19 anni, proprio nella stanza dove ci troviamo ora. Nella foto è già sposato con i primi 3 figli. Non abbiamo capito quale motivazione lo abbia spinto ad aprire questa bottega; lui al tempo faceva l’apprendista ebanista, il falegname. Era un uomo molto intraprendente e andò a frequentare un corso di due mesi a Catania. A quell’epoca, i ricchi avevano i cuochi in casa, facevano i dolci e ricevevano persone. Ma si affermava anche una certa cultura per cui ci si rivolgeva anche ad artigiani esterni. Questo era un territorio di gente benestante, i ricchi erano proprietari terrieri, i possedimenti erano suddivisi tra Acireale, Giarre e Zafferana. Santa Venerina, il nostro paese, apparteneva all’antico Feudo di Acireale, era un luogo importante dal punto di vista imprenditoriale. Agli inizi del ‘900 qui c’erano ben 13 distillerie, perché il territorio era tutto un vigneto collinare: 360 mila viti alla fine dell’800, con oltre 90.000 ettari di vigneti. Allora Catania era la provincia più vitata dell’intera Sicilia. Qui, avevamo anche la Casa del Vendemmiatore. Tutto questo fino agli Anni Sessanta del Novecento.
Annina, malinconia e gioia stanno attraversando la sua mente, i suoi occhi raccontano… È bellissimo ascoltare questi aneddoti, entrare nei ricordi…
“La storia recente di Santa Venerina è strettamente legata alla coltura della vite. Negli Anni Trenta venne realizzata in paese la “Casa del Vendemmiatore”, che accoglieva i lavoratori stagionali, provenienti dai paesi etnei. Qui, tra i filari si sente il profumo di salsedine che sale dal mare, laggiù, e, in autunno, dagli antichi palmenti si sprigionava l’odore del mosto che inebriava le campagne, le diverse contrade, le nostre case. La vendemmia era sempre un tempo di festa. Ci piace ricordare quel tempo perché davanti alla nostra strada passavano tutti i vendemmiatori, accompagnati dal suono della fisarmonica, dopo una giornata di lavoro. Tornavano felici nella Casa del Vendemmiatore, cantando gioiosamente. C’era il ‘capo ciurma’, che dirigeva e organizzava il lavoro; venivano tutti dai paesi dell’Etna, e poi il carretto, il mezzo di trasporto più diffuso per andare in campagna. Tante vendemmiatrici: gli uomini raccoglievano e le donne trasportavano. C’era aria di gioia, di allegria, si lavorava, si suonava e si ballava sull’aia. È stato un periodo molto bello”
Quale era l’architettura del paesaggio etneo di allora?
“Beh, l’attività del Vulcano con le eruzioni e le lave devastatrici hanno sempre definito il paesaggio di questi luoghi. Bisogna sottolineare, però, la bravura dell’Uomo, che da sempre, con enorme sacrificio, si è prodigato a conquistare terra da coltivare, creando terrazzamenti e paesaggi umani inconfondibili. Un’architettura rurale in simbiosi col territorio circostante, un insieme paesaggistico di estrema bellezza e particolare suggestione. La casa rurale, in pietra lavica o intonacata ad acquerello, coi suoi coppi, le scale esterne, cisterne, palmenti, pergolati, cancelli e cortili lastricati, aveva un significato architettonico e ambientale notevole. Una fantastica architettura che dava serenità che forse oggi, ahimè, abbiamo perso”
Tornando alla fotografia gigante, lì il vostro papà non c’è…
“Lì papà non c’è perché non era ancora nato, sarebbe poi diventato il più piccolo di 4 figli. Papà ci raccontava che litigava spesso col nonno, uomo energico, deciso, di polso: non la pensavano allo stesso modo, però. Papà frequentava il liceo ad Acireale e, quando le malelingue raccontarono al nonno che il figlio, piuttosto che frequentare la scuola passava il tempo a bighellonare, il nonno non esitò a ritirarlo dagli studi e gli fece intraprendere il mestiere di pasticciere!”.
A proposito di papà, l’occhio mi cade sulla “Tortina Paradiso”, fiore all’occhiello della vostra Pasticceria. Muoio dalla curiosità di conoscerne la storia vera
“Devo tornare indietro nel tempo e parlare sempre di lui, sì di nostro papà, sottolineando la sua lungimiranza per quei tempi: è una storiella intrigante… volendo sfruttare i tuorli d’uovo che avanzavano dalla lavorazione della pasta di mandorla, per cui necessita solo l’albume, (le uova allora erano preziose… non c’erano quelle d’allevamento, non esistevano i congelatori… ricordo che mandava i ragazzini presso le masserie, col paniere, per acquistare le uova fresche dai pollai della zona), pensò di fare la versione in piccolo della Torta Paradiso, che producevamo già. Utilizzò l’uovo intero, per affievolire una certa asprezza, e aggiunse una percentuale di burro che arrivava da lontano, da Reggio Emilia, ricordo, in casse di legno, in treno, perché qui non si conosceva ancora. Stiamo parlando di 70, 75 anni fa. Il marchio è registrato. Rivendevamo la Tortina anche a Catania, ad Acireale, a Zafferana, a Giarre, a Riposto. Dentro c’era e c’è tutto il magnifico profumo della terra di Sicilia”
Oggi l’attività di Pasticceria è in mano a chi?
“A me e a mio fratello. Fino a poco tempo fa c’era anche l’altra nostra sorella, Nevia, ma è salita in cielo da poco tempo. Quando nel 1965 nostro papà morì, lei prese il pennello in mano e cominciò a dipingere la nostra Pasta Reale. Non aveva seguito alcuna scuola, era una dote che possedeva dalla nascita… ha realizzato parecchi capolavori. Papà moriva il 20 marzo, all’improvviso, poco prima di Pasqua, lasciando incompiuti tanti agnelli pasquali… lei adottò il pennello e cominciò a dipingere gli occhi agli agnellini, la cosa più complicata. Si perfezionò poi, prendendo lezioni per qualche giorno da Mantegna, un Maestro di pittura in questo senso. E vennero fuori così veri e propri capolavori, opere d’arte straordinarie. Ricordo anche l’Isola Bella di Taormina fatta di pasta reale e dipinta perfettamente; anche un pezzo di case antiche con la piazza del nostro paese, Santa Venerina. Ma la devozione per Santa Venera la portò anche a realizzare il fercolo della Santa col prete sopra, perfettamente somigliante. Mani d’oro, cara Nevia!”
I racconti di Annina mi fanno provare gioia ma anche commozione, è un piacere ascoltarla. Ma vorrei chiudere la bellissima chiacchierata con una dedica, voglio toccare il cuore: cosa rappresenta per voi, Annina e Salvatore, la Pasticceria Russo
Risponde Annina: “Io dico di solito che siamo votati come i monaci a questo mestiere; la nostra vita privata non esiste, esiste solo il lavoro. Anche se non è una bella cosa io vivo sempre qua, tra queste meravigliose dolcezze”.
Il fratello Salvatore condivide il pensiero e aggiunge che “fino a qualche anno fa la pasticceria non chiudeva neanche durante la pausa pranzo; si viveva chiusi qui dentro. Tutti e cinque siamo nati qui dentro, siamo stati sempre innamorati di questi profumi, di questo lavoro. Quasi una missione!. Si andava a scuola e nel tempo libero si veniva qui ad aiutare. Anche il fratello maggiore, che lavorava in banca, ha lasciato il suo lavoro dopo 13 anni per dare una mano a noi. Siamo stati una famiglia unita con un solo obiettivo: portare avanti il lavoro del nonno e di papà. Sono passati quasi 150 anni e, forse, ci siamo riusciti!”
Sono profondamente inebriato dall’armonia e dalla serenità che mi avvolgono. Lascio due persone meravigliose, due lavoratori esemplari e aggiungerei di diritto Nevia, che ci guarda da un altro Paradiso: Annina e Salvatore conservano ancora questa passione antica, orgogliosi e felici. Lascio con un po’ di commozione questo luogo che fa battere forte il cuore e due persone autentiche, deliziose e dolcissime come quella Frutta Martorana di tanti colori che continua a farmi sognare. So che ci rivedremo… davanti a una granita di mandorla macchiata caffè accompagnata da un fantastico cornetto alla mela cotogna, un “peccato” che commetto ogni volta che varco questa soglia di felicità. Grazie di cuore.