A Mestre, in via San Donà, c’è un locale particolare, situato nell’ex centrale del latte, che è diventata ora un’osteria grazie all’ostinazione ed alla “vista lunga” di David Marchiori.
«La cucina è disciplina: rispecchia l’identità radicale di un territorio», pensa David Marchiori, il poliedrico e vulcanico chef imprenditore, patron dell’Osteria Plip, l’ex Centrale del Latte di Venezia-Mestre appunto, considerata uno dei casi gastronomici di maggior successo dell’area veneziana.
Eppure lui fino all’età di 40 anni aveva fatto tutt’altro, soprattutto nell’ambito dell’economia solidale e del cosiddetto “terzo settore”, anche se la cucina è sempre stata «una dedizione quasi morbosa», ma mai una vera e propria professione.
Nel 2013 era il presidente della cooperativa Sesterzo, che gestiva il ristorante le cui sorti erano incerte, e la possibilità del fallimento dietro l’angolo. Chiese ai suoi soci di dargli carta bianca e nel 2018 l’attività fu rivoluzionata seguendo il progetto ispirato alla Città dell’Altra economia di Roma, dedito alla promozione della cultura e dell’altra economia.
Chiusa per tre mesi, l’Osteria venne ristrutturata attraverso un progetto architettonico condiviso tra Marchiori e l’architetto Filippo Novello, da sempre appassionato al tema di riuso degli spazi industriali. «Viste le caratteristiche e la storia dell’edificio – ha spiegato l’architetto, il progetto che David Marchiori aveva in mente sembrava “sartorialmente” pensato per lo spazio a disposizione: restituire all’edificio la sua vocazione di ambasciatore del territorio e dei suoi prodotti, uno spazio poliedrico votato alla cultura del cibo».
Osteria Plip, bell’esempio di recupero industriale
L’ex Centrale del Latte di Mestre è un edificio industriale degli anni Trenta, con delle caratteristiche tipologiche oggi quasi uniche per un immobile inserito nel tessuto urbano: quasi 2000 metri quadri divisi in tre ambienti, uno stretto corpo centrale su due livelli affiancato da due grandi volumi a doppia altezza. Di questi, il più grande è alto oltre sette metri ed è caratterizzato da grandi travi reticolari, che coprono un unico ambiente lungo trenta metri e largo venti completamente privo di appoggi a terra, le dimensioni di un piccolo hangar in centro città.
A livello progettuale il risultato comprende un mercato coperto, un ristorante e un auditorium che prossimamente verrà ampliato con una pizzeria, un food-lab e una gelateria.
Questi spazi hanno una caratteristica comune: l’interscambiabilità dei ruoli, occasionalmente e in funzione degli eventi proposti, il mercato può diventare ristorante, l’auditorium può ospitare aree promozionali e di vendita, e così via…
Il coraggio di cambiar vita e la capacità imprenditoriale hanno risollevato le sorti della Plip che, in alcuni anni, è passata da 2 a 21 dipendenti, quasi tutti con meno di 27 anni, portando alla crescita del fatturato fino a venti volte quello dei tre anni precedenti.
L’Osteria Plip è anche impegnata nell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati ed il personale di sala è stato scelto personalmente da Chef Marchiori per bravura e motivazione, ma anche per un’affinità di visione del cibo e della cucina.
I piatti sono piatti del territorio dice Marchioni «così come piacciono a me, li proponiamo a chi ci sceglie; nessuna forzatura nessun volo pindarico. La cucina è semplicità, freschezza della materia prima che arriva ogni giorno dalle aziende agricole e dai contadini locali, lavorazione e rispetto».
Una cucina artigianale, ma di qualità
L’osteria PLIP ha una proposta piuttosto variopinta ma cerca di muoversi su binari piuttosto rigidi quali l’artigianalità, tutto è preparato in cucina, anche il ketchup per i burger; la sostenibilità: si prediligono ove possibile le produzioni locali ed ecosostenibili.
Gli ortaggi provengono al 95 per cento direttamente dai campi di aziende biologiche locali, e sono rigorosamente di stagione, e il pescato quasi tutto dall’area mediterranea.
All’intero di questi paletti la brigata guidata da Marchiori passa dalla tradizione all’innovazione, passando per gli snack senza lesinare qualche azzardo fuori dai canoni della tradizionale concezione di osteria. «Lo scopo, continua lo Chef veneziano, oltre quello di nutrire degnamente i nostri avventori, è di incuriosire e gratificare senza scadere troppo nell’esercizio di stile».
Chef Marchiori esce dagli schemi tradizionali degli chef cercando di smontare le sovrastrutture che spesso si costruiscono intorno al ruolo apicale in cucina, riportando il tutto ad una dimensione sicuramente credibile a livello di professionalità e rapporto con le materie prime.
Scelta maniacale delle materie prime
Una radicalità nella scelta maniacale dei prodotti che lo porta a scegliere e scovare gli ingredienti che inserisce al Me.Me. Agrimercato, utilizzati poi nella preparazione dei piatti proposti.
Il menu varia continuamente anche in seguito alle numerose conferenze e consulenze che lo Chef segue a livello nazionale; il menu è ampio, ma ben ragionato, tutti i piatti sono frutto della sperimentazione del vulcanico chef, come ad esempio gli involtini primavera di bacalao con guacamole: croccantezza, delicatezza e sapore.
Oppure una golosissima interpretazione di un classico arabo: falafel di zucca con maionese speziata di soia, piatto inaspettatamente goloso.
Tra gli antipasti incuriosiscono la battuta di manzo con zabaione di parmigiano e chips di prosciutto crudo, equilibrata e gustosa; la ricciola con salicornia, oppure gli “Artisan Burger”, ovvero i burger dell’Osteria Plip la cui materia prima viene preparata nelle cucine dell’Osteria, dal pane alle salse.
La carta dei vini conta 170 etichette, spumanti, bianchi e rossi prodotti senza solfiti aggiunti o chiarificanti, che non provengono dalla coltura intensiva e rispettano i tempi della natura, tra etichette macedoni e prodotti con sole 300 bottiglie di tiratura. Ricca anche la proposta delle birre artigianali.
Il motto di Chef Marchiori è: “It’s only food and drink, but i like it”. Marchiori la dimensione ludica cerca di applicarla in tutte le sue sfaccettature professionali. «La figura dello Chef – spiega – deve essere credibile in tutte le dimensioni professionali dello stare in una brigata di cucina. La caricatura pubblica dello chef autoritario deve essere sostituita da quello autorevole e credibile sia per i clienti, sia per i propri collaboratori. La mia naturale allergia a indossare una divisa mi porta a lavorare senza il cappello. Allo stesso modo, vieto ai miei collaboratori di darmi del lei. La credibilità si misura sulle priorità attribuite nella scelta delle materie prime e nel rispetto dei proprio collaboratori e da chi sceglie di mangiare da noi. Sono i clienti i veri protagonisti e custodi del destino di un qualsiasi chef».