Quella di Chiavenna, in Valtellina, è una storia antica, che si vede passeggiando per il suo centro storico, in particolare nel quartiere Bottonera, nella parte alta della città, tra le sponde del fiume Mera e Piazza Castello, che per secoli è stato il quartiere degli artigiani, con mulini, una cartiera, un maglio, due fabbriche di ovatta, diversi birrifici ed il pastificio.
Qui fin dal medioevo sono state attive diverse attività produttive che utilizzavano l’acqua del torrente come forza motrice dei loro macchinari: mulini, birrifici, una cartiera, un maglio, un pastificio e due fabbriche di ovatta.
La maggior parte degli antichi edifici ospitano oggi Enti pubblici, ma alcune testimonianze di queste antiche attività sono ancora visitabili; una di queste è il Mulino dell’ex Pastificio Moro, che ha cessato l’attività negli anni ’60, oggi destinato a ospitare una Sezione Museale di archeologia industriale.
Grazie ad una generosa concessione della ditta Moro ed all’intervento della Provincia di Sondrio e della locale Comunità Montana, si è potuto evitare che l’impianto venisse smantellato, anzi grazie ad un notevole sforzo di volontari, fra cui molti che vi avevano lavorato e ne conoscevano perciò tutti segreti, si arrivò nel 2000 ad un completo restauro filologico.
Una visita al Mulino permette di esaminare dal vivo una vera struttura industriale dei tempi andati, dall’unico motore, una turbina Riva che azionava tutti i marchingegni grazie a cinghie di cuoio su pulegge, alle varie macchine per pulire, lavare, macinare e vagliare il frumento, macchine originali delle Officine di Monza e delle Officine Reggiane, risalenti al 1930; tutto il processo è ben illustrato con appositi cartelloni esplicativi
Un esempio di archeologia industriale
Creato da Carlo Moro nel 1867, il mulino lavorava ininterrottamente giorno e notte dando lavoro a diverse persone della Valchiavenna; l’attività del mulino forniva farina per la panificazione, semola di grano duro per la pastificazione, farinaccio, tritello e crusca.
Fino a una settantina d’anni fa anch’esso sfruttava la forza motrice garantita dall’acqua del fiume Mera attraverso una rete di canali che muoveva un complesso gioco di pulegge, nastri e macine; dagli anni ’40 si è modernizzato utilizzando energia idroelettrica.
Organizzato su tre piani, i vari locali del mulino hanno ognuno una propria funzione; al piano terra c’è la sala Macchine, la sala della pulitura e quella del lavaggio dei cereali; al primo piano ci sono i laminatoi; al secondo e terzo piano vi sono i “plansister”, le semolatrici e i vari macchinari per il recupero dei prodotti secondari della lavorazione e per l’insaccaggio.
Particolarmente interessante il complesso sistema di carpenteria in legno con il quale sono costruite la mescola della farina, le tramogge e l´intero impianto di condutture che consentono, mediante elevatori, il movimento e la selezione dei prodotti semilavorati; sei le macine presenti nell’opificio, quattro delle quali risalenti a fine ottocento, e due al 1930.
Grazie ai recenti interventi di restauro e grazie ad associazioni chiavennasche di volontariato che hanno donato quasi 9000 ore di lavoro per il restauro conservativo interno ed esterno dell’edificio, il mulino è giunto pressoché intatto fino ai giorni nostri ed è in breve diventato una delle attrazioni turistiche del capoluogo valligiano, visitato anche da moltissime scolaresche.