La Pitina: una vera rarità
La Pitina è un salume non insaccato, tipico della Val Tramontina, a nord di Pordenone in Friuli Venezia Giulia. Il piccolo paesino di Tramonti di Sopra, per l’esattezza, è la vera “patria” di questa specialità gastronomica.
Recentemente riscoperta (è un Presidio Slow Food) a tuttora è prodotta da pochi allevatori e difficilmente rintracciabile fuori dalla sua zona di origine.
Storia della Pitina
La Pitina nasce nelle zone più povere delle colline pordenonesi agli inizi dell’800 dall’esigenza di conservare le carni il più a lungo possibile nei mesi autunnali e invernali. Se una pecora o una capra si feriva o ammalava, essendo troppo preziosa per essere macellata senza giusta ragione, i contadini dovevano trovare il modo di consumarne le carni.
Queste, dopo essere state disossate e ripulite di tutti i tessuti connettivi, adiposi, cartilaginei e dei tendini, erano tritate finemente nella “pestadora” di legno. Si aggiungevano aglio, sale e pepe nero poi si formavano delle piccole polpette.
Poiché nelle zone montane era molto difficile riuscire a trovare le budella per insaccare, si ricorreva ad un semplice espediente: si passavano nella farina di mais per tenerle compatte.
In seguito le pitine si facevano affumicare per conservarle più a lungo e si riponevano in locali di stagionatura per una decina di giorni. Poi erano pronte per essere consumate.
La Polpettina oggi
Oggi la lavorazione non è molto cambiata, ma ora le preziose polpette (il cui peso varia dai 100 ai 300 g) sono considerate prodotto di nicchia anche per la loro difficoltà di reperimento.
Secondo il disciplinare, l’attuale composizione non cambia di molto rispetto alle origini; è un salume non insaccato composto di un 70% minimo di polpa di pecora o capra o daino o cervo o capriolo o camoscio, e di un restante 30% di pancetta di suino proveniente da animali allevati nelle aziende locali. Aglio, sale, pepe nero e vino rosso secco completano la lista degli ingredienti. Sono ammesse anche alcune erbe aromatiche.
L’affumicatura deve essere fatta con legno o segatura di faggio, carpine o alberi da frutto. Il processo può variare tra le 4 e le 48 ore.
Il prodotto viene poi asciugato e stagionato in ambienti ventilati, a temperatura compresa tra i 3 e i 18°C. La “Pitina” può essere messa in commercio solo dopo 30 giorni dall’inizio della lavorazione, intesa come data di impasto.
La squisita polpetta può essere consumata cruda, affettata come un salame, oppure la si può utilizzare per fare ottimi risotti o per condire la pasta fresca; in alternativa si può rosolare con la cipolla per insaporire minestre o scottare nel burro e servire con la polenta.