La cerca e la cavatura del tartufo in Italia sono patrimonio dell’umanità Unesco. La notizia si attendeva in questi giorni ed è arrivata, con esito positivo: il comitato dell’Organizzazione mondiale per l’educazione, la scienza e la cultura, che si riunisce a Parigi, ha inserito questa pratica tradizionale così radicata nel nostro territorio nella lista dei beni culturali immateriali da tutelare.
La presentazione ufficiale della candidatura era stata avanzata dalla Farnesina nel marzo 2020, ma l’iter per arrivare al riconoscimento era iniziato ben prima, 8 anni fa, dall’istanza delle associazioni dei tartufai ai ministeri della Cultura e dell’Agricoltura. Un mese fa gli esperti mondiali – tra cui l’unico italiano, Pier Luigi Petrillo – incaricati di esaminare le proposte da parte dei diversi Stati, avevano dato a maggioranza parere positivo. E nei giorni scorsi è arrivato il sigillo definitivo, che si attendeva altrettanto favorevole.
Tartufo, un patrimonio secolare
Il tartufo è cultura e identità perché racconta un patrimonio che da secoli caratterizza la vita rurale di ampie porzioni d’Italia: “Si tratta di una tradizione secolare tramandata attraverso storie, aneddoti, pratiche e proverbi che raccontano di un sapere che riunisce vita rurale, tutela del territorio e alta cucina – si leggeva nella candidatura – La pratica riunisce conoscenze vaste, incentrate sulla profonda conoscenza dell’ambiente naturale e dell’ecosistema, ed enfatizza inoltre il rapporto tra uomo e animale, riunendo le abilità del tartufaio e quelle del suo cane“.
In Italia sono una decina le principali specie di questo fungo ipogeo; i più celebre è il Tartufo bianco di Alba, Tuber Magnatum Pico nel nome scientifico.
In Italia sono moltissime le località che celebrano il tartufo con celebebbime sagre primaverili ed autunnali: da Sant’Agata Feltria, in Montefeltro ad Acqualagna nelle Marche, da Alba nelle Langhe a Dovadola nel forlivese, da Montefabbri in provincia di Pesaro Urbino a San Miniato in Toscana, da Pietralunga, Norcia e Spello in Umbria a Savigno e Sasso Marconi nel bolognese, da Marsicovetere e San Chirico Raparo, in Basilicata, a Laconi, in Sardegna, solo per citare quelle più note.