Rosa Del Gaudo è chef e Food Blogger, oltre che fondatrice del Blog “Il Folletto Panettiere”. Si occupa, anche, di comunicazione e diffusione della cultura del cibo.
“Mi piace conoscere e trasmettere la storia che si nasconde dietro ogni piatto, per questo organizzo incontri e laboratori di cucina dove cerco di trasferire il mio amore per la buona cucina e la buona tavola”, sostiene Rosa.
Nella sua carriera ha ottenuto diversi riconoscimenti, vincendo Contest di cucina e classificandosi ai primi posti in varie kermesse culinarie.
Collabora, inoltre, con alcune testate giornalistiche di settore, curando rubriche e approfondimenti su temi di cucina.
Intervisto Rosa al Forno del Casot di Almese (Torino), nella silenziosa frazione di Rivera. Ho già intervistato la sindaca Ombretta Bertolo, poco prima.
Buon pomeriggio Rosa, alla sindaca, alla fine dell’intervista, avevo chiesto se questo fosse anche un luogo per sognare. Inizio con te con la stessa domanda…
Per me no! Io sono più pragmatica, per me è un luogo per fare, fondamentalmente. Un posto per operare dove si mettono in moto le mani più che la testa. Per lei c’è la componente sentimentale che prevale in funzione dei ricordi, per me, invece è divertimento, un gioco. Io sono arriva qua con l’idea di essere un’utilizzatrice del forno. Ho sempre avuto il desiderio di possedere un forno a legna nella mia abitazione ma non è stato mai possibile. Appena ho saputo dell’idea della sindaca mi sono detta ”che bello, così posso utilizzarlo”, un pensiero puramente pratico; poi, venendo qua, e conoscendo le persone è subentrato l’aspetto sociale, di condivisione, di amicizia con gli altri. Io cucino perché mi diverto, il giorno in cui scoprirò che non sarà più così, allora finisce tutto.
La panificazione è un momento faticoso ma anche di gioia condivisa: sei d’accordo?
Più che faticoso direi impegnativo, viste le attrezzature di cui dispone il panettiere oggi e che facilitano, di sicuro, il lavoro. Certamente la gioia nasce dalla condivisione che si vive qui al forno, ma mi sento di affermare che potrei fare il pane anche da sola e per me sarebbe, comunque, un divertimento. Con la condivisione, il divertimento diventa gioia. Io la penso così
Dal punto di vista tecnico, la cottura lunga nel forno a legna rappresenta il cibo buono, quello del tempo delle nostre nonne o bisnonne: perché Rosa?
Dal punto di vista delle caratteristiche proprie, intrinseche, il pane del forno a legna ha una consistenza, un aroma, un profumo, un sapore diverso, non replicabile. Sto sperimentando, negli ultimi tempi, che anche altri alimenti producono una resa diversa. Poi, però, mi sento di affermare che subentra, in un secondo momento, la componente ancestrale, del ricordo. Io, direttamente, non conservo questi ricordi nella mia famiglia; ricordo papà che mi portava, bambina, in uno di questi forni comunitari ma di quel tempo mi è rimasto impresso, forte, solo l’odore della brace. Però c’è un qualcosa che ti risuona dentro, piacevolmente, di quel tempo
Rosa cosa succede ad un cibo se viene sottoposto ad una cottura lenta
Beh, partendo dal pane posso affermare che non ha una cottura lenta, lì magari si pensa ai tempi di lievitazione, all’utilizzo di farine più o meno raffinate, che modificano i caratteri organolettici. Ma, parlando di altri cibi, come ad esempio la carne, si può affermare che è il suo collagene che beneficia della temperatura bassa e lunga, producendo effetti importanti sulla tenerezza, sul sapore, i profumi, il gusto, l’odore. Attualmente ci sono tecniche (CBT, cottura a bassa temperatura, LTLT, cottura lenta e a bassa temperatura, …) che vengono utilizzate appositamente, con notevoli vantaggi sensoriali ma anche nutrizionali (limitazione dell’ossidazione dei grassi insaturi e proteine, riduzione del rischio di batteri indesiderati, allungare i tempi di conservazione del cibo in frigo, riduzione delle perdite di vitamine e minerali. Se vogliamo, anche la resa dell’immagine del piatto finale migliora, e nel mondo di Instagram non è poco. “Si mangia prima con gli occhi” è un vecchio detto di cui dobbiamo tenere conto
Poco prima hai sfornato dei pani profumatissimi, focacce, pizze… parliamo di farine
Per la mia attività di chef e di food blogger (Il Folletto Panettiere), cerco sempre delle farine di qualità, non necessariamente del territorio come quelle del Mulino Valsusa di Bruzolo, ma anche piemontesi e non. Importante è sapere la provenienza, la lavorazione. Le prerogative delle farine, ad esempio del Mulino di Bruzolo, oltre che essere a chilometro zero, sono tutte macinate a pietra e non comprendono la “00”. Sull’utilizzo di farine molto raffinate come la 00, però, non voglio demonizzarle come negli ultimi anni è stato fatto; secondo me, come in tutte le cose, ci vuole equilibrio. Probabilmente, un uso continuativo potrebbe creare dei problemi, però dipende sempre da chi la utilizza e come. La brava professionista che opera deve saper distinguere varietà, finalità della preparazione, modalità di impiego. Quello che conta nel chicco del grano non è la crusca ma il germe che deve essere preservato; l’industria lo elimina perché può causare problemi nella conservazione
Nella cucina c’è chi sostiene che sia stato inventato tutto, sei di questo parere?
Assolutamente no! Sto studiando e sperimentando cose che prima non facevo e imparo sempre qualcosa di nuovo. Non sono d’accordo con chi dice che sia stato inventato tutto. Le basi dell’arte culinaria forse si ma il resto è una meravigliosa avventura tutta da inventare
Mi viene da pensare all’utilizzo degli insetti in cucina. Nelle tue future ricette proporresti una cucina legata agli insetti?
No, non penso proprio, non per principio, ma solo perché non ne vedo la necessità. Perché non utilizzare le proteine legate ai legumi piuttosto che quelle derivate dagli insetti?
Come possiamo definire la cucina di Rosa Del Gaudo?
Sicuramente creativa, innovativa direi di no, piuttosto la etichetterei fantasiosa. Non bisogna fermarsi alle cose banali o alle cose già viste. Con questo, non voglio dire che la cucina tradizionale sia banale; può essere anche complessa. Il mio slogan è “cucina semplice ma non banale”, ci dev’essere sempre un valore aggiunto, anche quando vado a mangiare al ristorante devo trovare “unicità”. Io, anche quando prendo ispirazione dai libri che leggo, dalle riviste che sfoglio, cerco sempre di mettere qualcosa di mio, che mi rispecchia. Devo metterci la mia firma
Tu che sei un’architetta, pensi di essere avvantaggiata rispetto a chi intraprende questo mestiere partendo da presupposti culturali diversi?
Guarda, leggevo proprio oggi un post su Linkedin che riportava come, da un’indagine sul campo, sia emerso che i valori maggiormente richiesti nella selezione del personale, non solo in cucina, sono la capacità di ‘problem solving’ e ‘l’intelligenza emotiva’. Io mi sento di possedere, per capacità acquisite nel mio corso di laurea, queste competenze. È come studiare un processo, dall’ideazione alla realizzazione, procedendo con analisi dei risultati e, se occorre, affinare il sistema. Non lascio nulla all’improvvisazione, non sono volatile, devo essere rigorosa
Veniamo all’immagine di un piatto: come dev’essere, quanto conta
Qui, devo distinguere due fasi della mia carriera. Avendo iniziato come food blogger, l’immagine di un piatto contava più di ogni altra cosa; da chef, ti posso fare assaggiare quello che ho cucinato. E devo confessarti che forse la fase fotografica è quella che mi pesa di più, mi interessa molto il risultato sostanziale, poi quello dell’immagine lo affiderei a un fotografo. L’immagine dev’essere funzionale alla sostanza
Rosa, ora una curiosità: come sei passata da food blogger a chef ?
Se ti dicessi per caso, forse, non mi crederesti. A parte gli scherzi, quando ho aperto il blog, sapevo già cucinare; ho iniziato a frequentare corsi, studiare libri più tecnici, perché, inizialmente, pensavo di tenere io i corsi di cucina. Questo pensiero, supportato dalla passione che mi ha sempre accompagnato nella vita, mi ha permesso di acquisire la consapevolezza che su quel tema avrei potuto lavorare anche a livello professionale, come chef, e sono entrata in questo mondo. Mi sento sicuramente più realizzata come chef e le soddisfazioni sono tantissime, ogni giorno
A questo punto ti chiedo se ti senti appagata e quali sono le tue abitudini alimentari
Assolutamente no, io sono molto ambiziosa e caparbia, non mi sento affatto arrivata. Guai ad arrivare a capolinea. Mangio in modo assolutamente normale, al ristorante preferisco la pagina degli antipasti e dei primi. Non sono una fanatica dei secondi piatti, al ristorante almeno. Non sono da trattoria o da piola, non più almeno, soprattutto se sono nel mio Piemonte. La cucina piemontese tradizionale l’ho già provata tutta. Mi devono sorprendere gli abbinamenti di sapori. Al posto del vitello tonnato, in un locale, come antipasto, metterei una ‘farinata con broccoli, pecorino e aceto balsamico al fico”, oppure “le uova con carciofi e il cioccolato”. Ho in testa il “patè di fegato con la liquirizia…”
Oggi, qual é l’ingrediente per cui diventi matta e la spezia di cui vuoi sempre sentire l’aroma!
Ti sorprendo, forse. È la farina, un po’ contagiata dal posto dove ci troviamo, perché è la base per fare tante cose. Senza di lei le cucine non si aprirebbero. La spezia di cui mi sono innamorata l’ho scoperta negli ultimi tempi e si chiama “Ras el Hanout”, originaria del Marocco, un’armonia perfetta tra piccante, dolce e fruttato, detta “regina della drogheria”, un mix di spezie con rosa canina, cumino, coriandolo, cannella, zenzero, 3 tipi di pepe, boccioli di rosa,…
Infine, desideri che questo forno…
… non chiuda mai, perché è una bella idea, un’iniziativa lodevole che sta creando una ricaduta sulla comunità; stanno nascendo nuovi pensieri. Se vuoi che ne dica uno, ho in mente un progetto che ho visto realizzare in un comprensorio di scuole a Mondovì: “Creazione di un ricettario di cibi antichi”. Lì erano stati i bambini che avevano intervistato le nonne, le anziane zie, la vicina di casa per farsi raccontare le antiche ricette che realizzavano un tempo nelle loro cucine. Penso che quest’idea si possa portare qui, al forno del Casot. In pratica, si tratta di coinvolgere i bambini delle scuole del territorio e farsi raccontare da loro delle ricette, interfacciandosi col mondo dei “grandi”. Oltre a progettare un ricettario straordinario, fatto da tante mani, il progetto raggiungerebbe alcuni obiettivi: avvicinare i bambini al mondo del cibo attraverso la cucina, cosa che si sta perdendo, e abituarli a mangiare cibi che, non preparati da loro, non assaggerebbero mai. Viene superata la paura del cibo, innata nel bambino. Attraverso la forma del gioco si accosterebbero ad una alimentazione sana. E poi, tante altre ricette al Casot…, così il Forno potrebbe diventare anche luogo di cultura, avvicinando le nuove generazioni, così come la sindaca auspicava nell’intervista precedente.
Il rintocco delle campane della vicina Chiesa di Santo Stefano ci rammenta che il tempo… vola… è ora di andare. Vado via da questo luogo mentre tutt’intorno diventa incanto, magia.
Grazie Rosa, hai detto che questo, per te, non è un luogo per sognare… ma lo è per farci sognare!!!