“Il fico d’India è pronto per il futuro. È una pianta che impatta zero sull’ambiente e sopporta meglio di tante altre la siccità: per produrre un kg di frutto necessita di circa 20 litri di acqua all’anno, quindi una quantità minima rispetto ad esempio ai 60 litri necessari per produrre un kg di arance o gli 80 litri d’acqua che occorrono per produrre 1 kg di mele. Considerata infine la sua commestibilità e il suo valore nutritivo, il fico d’India è destinato a diventare una delle piante più importanti del prossimo futuro”.
L’affermazione è di Salvatore Rapisarda, presidente del Consorzio di Produttori Ortofrutticoli Euroagrumi, nella trasmissione “I frutti del Vulcano”, dedicata al Fico d’India e alla ciliegia dop, andata in onda su 7Gold nell’ambito della trasmissione “La Natura dal campo alla tavola – Storia delle eccellenze italiane” condotta da Cristiano Riciputi.
Monopolio siciliano del fico d’India
La Sicilia, a livello europeo, ha l’esclusiva sulla filiera produttiva del fico d’India e detiene il monopolio del mercato italiano e oltre il 90% del mercato comunitario; questo grazie alla superficie complessiva di circa 7mila ettari. Le aree di produzione che presentano un miglior grado di specializzazione degli impianti sono San Cono (Catania) e l’Etna, per un totale di oltre 6000 ettari. Poi vi sono altre due aree minori: Rocca Palumba (Palermo) Santa Margherita di Belice per altri 1000 ettari totali.
“I cambiamenti climatici – ha precisato Rapisarda – hanno indotto molti agricoltori a optare per questa coltivazione che non ha esigenze idriche particolari. Il fico d’India è sempre più apprezzato non solo in tutta Italia, ma anche in Europa e siamo arrivati ad esportarlo anche negli Stati Uniti”.
Inoltre è utilissima anche contro gli incendi, per evitarne la propagazione. In passato gli agricoltori piantavano sui confini due file di fico d’India, distanziate di qualche metro l’una dall’altra, per creare una barriera tagliafuoco. Questo perché le pale di tale pianta sono una riserva d’acqua e il fuoco trova un forte ostacolo nella sua avanzata.
Questa pianta proviene dalle Americhe, ‘scoperta’ da Cristoforo Colombo. Sarebbe più corretto quindi chiamarla fico d’America, o fico del Messico, ma Colombo pensava di aver raggiunto le Indie e per questo il nome è rimasto inalterato fin da allora.
“Del fico d’india non si butta via niente – ha proseguito Rapisarda – in quanto si può usare tutto: dai fiori si fanno tisane e infusi; con i cladodi si può produrre energia o anche ricavarne una farina da miscelare con quella del grano; il frutto tal quale si consuma fresco o trasformato; i semi sono straordinari anche nella cosmesi, con un olio che ha caratteristiche cicatrizzanti e benefiche per la pelle. La composizione dei terreni insieme agli aspetti climatici, condizionati dall’incontro delle influenze mediterranee e montane, conferisce alle produzioni frutticole della zona grandi qualità organolettiche. Proprio in questi giorni infatti i coltivatori sono alle prese con la scozzolatura, che consiste nel far cadere i primi fiori per lasciare che crescano sulla pianta solo i frutti migliori. “Questi verranno raccolti a fine luglio e addirittura fino a fine ottobre, quando matureranno i ‘bastardoni’ che saranno molto più dolci e saporiti – ha affermato Antonio Accordino, coltivatore di fico d’India da ben 25 anni”.
La Ciliegia dell’Etna Dop
La trasmissione ha affrontato anche un’altra eccellenza siciliana dell’agro alimentare che nasce dall’unicità di questo terreno vulcanico: la ciliegia dell’Etna Dop chiamata anche “Ciliegia di Don Antoni” o “Mastrantonio”.
“E’ una coltivazione di alto livello – ha affermato Rapisarda – con quantitativi piuttosto limitati. Le vendite avvengono per lo più localmente o al massimo in Sicilia, mentre è piuttosto difficile avere quantitativi sufficienti per i mercati del nord d’Italia”.
Carmelo Spina, presidente del Consorzio della Ciliegia dell’Etna Dop, ha sottolineato: “La nostra è una ciliegia con una Dop unica ed esclusiva in Italia. È caratterizzata dal crescere sul terreno vulcanico, l’escursione termica le dà una colorazione, sapore e croccantezza particolari. La coltivazione, da 300 metri fino a mille metri di altitudine, è promiscua in tutte le pendici dell’Etna. La maturazione avviene fra giugno e agosto”.
La puntata ha avuto numerosi contributi esterni ed uno spazio è stato dedicato a AID Oranfresh, con l’intervento del titolare Salvatore Torrisi, che ha spiegato come si costruiscono, realizzano e installano le ventole antibrina contro il gelo primaverile. Si tratta di sistemi innovativi che aiutano a rimescolare l’aria calda presente nello strato di inversione, verso l’aria fredda stazionaria depositatasi sulla vegetazione scongiurando cosi danni alle colture. L’azienda in questo settore sta effettuando una grossa ricerca nel settore aerospaziale per la progettazione delle eliche che sono fondamentali per l’ottimizzazione dei modelli ed è sempre alla ricerca di novità da introdurre sul mercato dando così la possibilità alle aziende di ottenere gli incentivi previsti dalla normativa Industria 4.0.
Il fico d’India a tavola
Non poteva mancare, nel percorso dal campo alla tavola, lo spazio dedicato agli chef. Presenti Nicola Dell’Aquila di Adrano che ha realizzato le brioche con succo di pala di fico d’India riempite con granita al fico d’India, e lo chef Giuseppe Nicotra con una ricetta gourmet per preparare un’insalata e le cotolette a base di cladodi (le pale) di fico d’India.