Ci sono uomini e uomini, storie e storie, vignaioli e vignaioli. Questo è un dialogo dove il vino dell’Etna è un mezzo, uno strumento e Salvo Foti interprete di un passato significativo, armonioso, coraggioso e di un presente in cui “anche le cose ovvie devi sempre conquistartele seppure ti spettino. Devi sempre dimostrare tu di essere onesto”
Oggi vi conduco in un luogo del cuore e vi presento un uomo che ha fatto e che continua a fare della coerenza, del coraggio, della passione e dell’attaccamento al territorio i principi fondamentali della propria esistenza. Passione, cultura, storia muovono ogni suo passo su quella terra nera dell’Etna che lui custodisce con grande rispetto.
L’uomo è Salvo Foti, titolare dell’azienda vinicola “I Vigneri”, custode straordinario di filari di vigna in mezzo a una terra “piovuta” dal cielo. Il luogo è Milo, in contrada Caselle, poche case abbarbicate sotto il fumo dell’Etna, sul versante Est che guarda il mare.
Qui, oltre al silenzio, abita la bellezza e sono arrivato qui per ascoltarlo, per parlare con lui, per dialogare di vino e di uomini. Parleremo poco di vino, ma toccheremo i tasti dell’armonia, del paesaggio, della natura, del coraggio, dell’onestà, del futuro. La prima domanda ci riporta al 1435.
Salvo, leggo sulla porta d’ingresso del Palmento “Maestranza de I Vigneri 1435 -Catania”: cosa significa?
“Questa è una data importante. A Catania, in quell’anno, venne fondata questa Maestranza, un’importante corporazione di viticoltori che crea le basi per una professionalità vitivinicola di cui protagonisti sono gli stessi viticoltori (veri professionisti del vigneto); tutto attraverso il trasferimento delle conoscenze, di simboli, di esperienze. Guardare al futuro, educare le nuove generazioni al senso della civiltà contadina viticola etnea”
L’idea della Maestranza de I Vigneri è stata quindi l’inizio del tuo percorso da vignaiolo
“Esattamente. Il modello della Maestranza l’ho fatto mio già 30 anni fa, poiché per portare avanti un tipo di viticoltura conservativa, di custodia, non meccanizzata, c’era bisogno di tanto personale, quindi i Vigneri, veri professionisti del vino e della vigna. Da questa ispirazione, ho iniziato a formare un gruppo di viticoltori (oggi sono una trentina) che vengono dati alle aziende per fare consulenza a 360 gradi. Noi ci occupiamo di tutto, dall’impianto alla vinificazione. I Vigneri non sono stagionali, sono nostri dipendenti tutto l’anno”
A questo punto, Salvo mi “porta” a circa 1300 metri, nella parte Nordovest del Vulcano, nel territorio di Bronte, in mezzo ai boschi di leccio; un luogo selvatico, incontaminato e ricchissimo di biodiversità. A 10 km dal Cratere Centrale dell’Etna e a 25 km circa dal mare Jonio. Mi racconta di un incontro casuale con un anziano contadino di montagna.
“Era il 2006, mi ero portato lì, perché tutti gli anni, in occasione del Natale, andavo su per la montagna attorno a Bronte a comprare mezzo maiale per santificarlo in cucina per i giorni di festa. Tra i boschi, sotto il pennacchio dell’Etna, mi innamorai di mezzo ettaro di vigneto ultracentenario, nascosto. Lo comprai. Da lì nacque Vinudilice, Vino del bosco dei Lecci, (leccio in dialetto diventa ilice), un Rosato che nasce tale direttamente nel vigneto: un misto di uve bianche e rosse raccolte e vinificate tutte insieme. La coltivazione del vigneto è fatta a mano e con il mulo, utilizzando prodotti naturali. In vinificazione non sono utilizzate biotecnologie. Travasi e imbottigliamento vengono svolti secondo le fasi lunari. Nelle annate in cui il vino non raggiunge, per difficoltà climatiche, un grado alcolico di almeno 11%, produco una versione spumante con metodo classico e con sosta sui lieviti, dopo la rifermentazione in bottiglia, per almeno 17 mesi. È un vino per estimatori, in edizione limitata. Le 3000 bottiglie prodotte vanno subito via, su prenotazione”
Il Rosato che ho appena bevuto non mi lascia tranquillo, mi sento inebriato, nel senso che mi fa tornare indietro nel tempo, all’epoca dell’adolescenza, quando si andava nelle campagne a raccogliere i sorbi (pianta quasi scomparsa dai versanti dell’Etna). Quel retrogusto di sorbo del Vinudilice che mi è rimasto in bocca dopo l’assaggio sembra quasi un miracolo!.
Nel mondo del vino, molte volte si parla di vignaioli eroici. Ti senti un eroe?
“Assolutamente no, gli eroi sono altri. Sono quelli che sacrificano la propria vita e quella degli altri. Alcuni e qualcuno dei miei possiamo denominarli vigneti estremi, difficili da coltivare e di conseguenza noi diventiamo vignaioli estremi. Di eroismo non c’è niente”
Allora, parliamo di coraggio
“Coraggio è già un diverso punto di vista. Oggi si vive in un mondo che richiede di fare diverse scelte, ci vuole coraggio quindi. Se mi chiedi se mi sento un uomo coraggioso ti rispondo sì. Ma, vedi, il coraggio va di pari passo con la coerenza delle proprie idee. Il coraggio nasce quando decidi di essere coerente, in quanto la coerenza ti porta a fare scelte per le quali non esistono compromessi. Ad esempio, se tu decidi di fare un vino ‘umano’ nel rispetto degli uomini e dell’ambiente, questo ti impone necessariamente delle scelte, prendi una posizione e la porti avanti”
È ora di parlare di vini, Salvo sei d’accordo? Raccontami di questo luogo incantevole e di questi filari meravigliosi di Carricante
“Certo, questo è un luogo particolare, unico, abbiamo tutto girando su noi stessi. Da qui si osserva il mare ma se giri lo sguardo vedi lo sbuffo dell’Etna. La parte Nord, ad esempio, che non vede il mare, che non ha l’influenza della salsedine, del vento che soffia da Est, ha poi delle ripercussioni per quanto riguarda le caratteristiche e la tipicità del vino. Ci sono condizioni, qui, per cui il vino è frutto di un habitat molto particolare, per esposizione, per biodiversità, per condizioni climatiche che cambiano, per altimetria”
Il fatto di essere attorniato da questa bellezza diffusa ti aiuta nel tuo lavoro?
“Sicuramente! Questa è una bellezza oggettiva, riconosciuta da tutti quelli che ci vengono a trovare. Una bellezza che a volte scompare per via delle condizioni climatiche avverse o per colpa degli uomini che, ahimè, stanno violentando la natura. Questo è un luogo che non è facile trovare in altre parti del mondo; oltre alla vigna ci sono noccioleti, ciliegi, meli, boschi; c’è tutto un mondo vegetale che vive attorno al vigneto. Anche lui, a sua volta è circondato da bellezza, osserva il mare, scruta il fumo e si veste di cenere. Anche questo mondo assiste allo spettacolo della bellezza, e poi, ogni tanto, vede passare o fermarsi qualcuno… sono gli uomini che l’accarezzano”
Parli di noccioli, ciliegi, meli, boschi, adagiati sulla terra nera “piovuta” dal cielo: sono i caratteri del vino, che entrano nel bicchiere, è il territorio!
“Vedi, l’Etna, all’interno del clima isolano che è già molto particolare, riesce a creare un microclima esclusivo, differente da luogo a luogo. Sul Vulcano, secondo me, piuttosto che di ‘vini diversi’ dovremmo parlare di ‘territori diversi’. Mi spiego: se voglio bere uno spumante di primissimo livello bevo Champagne, bevo un territorio. L’Etna ha tanti territori: ha la Borgogna, lo Champagne, Bordeaux… da noi, il vigneto parte quasi dal livello del mare e arriva ai 1200, 1300 metri di altitudine, su versanti diversi, su suoli geologici differenti, con condizioni pedoclimatiche che cambiano da zona a zona, con suoli a maggiore o minore fertilità, con altitudini significativamente variabili. Qui puoi fare tutto, devi identificare il vino con il luogo in cui viene prodotto. La Doc dell’Etna dovrebbe essere fatta in base al territorio. Il luogo diventa rappresentativo. Esempi lampanti sono Champagne, Barolo, etc. Puoi trasferire il vitigno, le conoscenze, le persone, ma il luogo non lo puoi trasferire. Non puoi portare il palmento Caselle di Milo in Borgogna!”
Se ti dicessi “Uomini, Territorio e Vini”, tre termini che ami, e ti suggerissi di fare una classifica del cuore, come li metteresti?
“Prima di tutto metterei il territorio, il terroir. Questo non l’ha deciso l’uomo, lo può scoprire, sì, ma non lo può inventare. Subito dopo c’è il vitigno, che è legato intimamente al territorio. Più è forte questo legame, più il vitigno ne diventa costituente fondamentale. I nostri vitigni, infatti, sono talmente ancorati al nostro territorio che, se si allontanano da qui, non riescono più ad esprimere il loro massimo carattere, la loro personalità. Poi c’è l’uomo: ma è proprio l’ultimo dei tre? No! In fondo, è anche il primo, perché è lui che sceglie il territorio, seleziona il vitigno adatto a quel luogo. E poi, sono il vitigno e il territorio che selezionano l’uomo, che a questo punto diventa custode di tutto. L’uomo forse non si rende conto di questo scenario, del meccanismo, e nasce un senso di amore-odio tra l’uomo e la vite, perché, se da un lato c’è la vendemmia, il momento della raccolta, il sapore della degustazione, tutti momenti di felicità, dall’altro, devi dedicare l’anima per portare avanti la vite, pianta selvatica e capricciosa: devi seguirla, accudirla, custodirla, volerle bene, accarezzarla, educarla”
Ora Salvo stappa una bottiglia di “Etna Rosso I Vigneri” Nerello Mascalese 90%, Nerello Cappuccio 10%, da uve pestate coi piedi nel Palmento di Caselle a Milo
“Le uve di questo vino vengono pestate con i piedi qui nel nostro palmento di Caselle e il vino derivato consumato dalle famiglie de I Vigneri. Si ridà vita, così, all’antichissima vinificazione tradizionale dell’Etna, ormai quasi scomparsa. La coltivazione è sempre ad Alberello Etneo. Non ha alcuna aggiunta di lieviti e la fermentazione è spontanea. Questo è il nostro ‘vino illegale’. Non posso etichettarlo come Doc. Questo è il vino che bevevano i nostri antenati. È uno di quei vini definiti ‘vini navigabili’, che partivano dal porto di Riposto su grosse navi, costruite appositamente dai Maestri d’ascia siciliani, verso i porti del Nord Italia e Oltreoceano”. Erano i veri vini del tempo. E sarebbero stati i grandi vini di oggi se una certa burocrazia avesse permesso alcuni sistemi di vinificazione. In Francia non è così, ad esempio. Ma questo è un discorso che porta lontano. Io voglio fare il vino nel palmento e spero che altri mi possano emulare. Solo cosi i pochi, vecchi palmenti rimasti continueranno a raccontare una storia antica, la storia dei vini etnei. Vogliamo fare dei vini umani, nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente”
Parliamo allora di “vino umano”, che cos’è, cosa intendi?
“Questa è un’esigenza. Siamo stati etichettati come produttori di vini naturali, per il modo in cui coltiviamo, produciamo, vinifichiamo. Ma, in verità, io non mi sono mai rassegnato a riconoscermi in questa categoria, e, poiché ho sempre messo l’uomo al centro del nostro lavoro, ho pensato che sarebbe stato meglio parlare piuttosto di vini ‘umani’, o se vuoi ‘artigianali’. Vini prodotti nel rispetto dell’uomo e del territorio. Se ci pensi, un vino non umano crea un circolo vizioso che si ritorce sempre sull’uomo stesso. Se danneggio l’ambiente inquinandolo con sostanze nocive somministrate nelle vigne o con il passaggio di grossi trattori tra i filari, oggi, invece di impiegare 200 giornate per ettaro all’anno ne spendo 50, 60 (l’agricoltura convenzionale è fatta tutta così), l’uva costerebbe meno e anche il vino. Ma qui subentra il concetto di coerenza di cui ti parlavo prima; e la coerenza ti porta a non scendere a compromessi; certo, diventa più impegnativa ma rimani sui binari dell’onestà, che per me è una questione culturale e caratteriale, non credi?
Salvo, produrre sui versanti dell’Etna o ad esempio sul territorio di Vittoria, nella parte Sud della Sicilia, dove si produce il Cerasuolo, c’è molta differenza o qui si fa una fatica maggiore
“Noi come I Vigneri seguiamo delle aziende anche lì. Non ci sono molte differenze, ovviamente ci sono condizioni climatiche diverse, anche pedologiche. Però chi ha fatto delle scelte, non ha fatto dei compromessi, si impone dei sacrifici, degli impegni. Quest’anno, nel 2023, la produzione è diminuita del 30%, potevamo comprare delle uve e vinificare, ma non abbiamo scelto questa strada, perché vogliamo avere il controllo di quello che facciamo. Sappiamo che questo discorso porterà ad un ricavo inferiore, pur con gli stessi investimenti, ma se fai le cose con amore è l’amore che deve vincere”
Il Vulcano quanto ti condiziona nella tua giornata lavorativa
“Sai qual è la prima cosa che faccio al mattino appena sveglio? Aprire la finestra e dare uno sguardo alla vetta: quello è il segno della croce della giornata, mi aiuta a capire se sbuffa solo fumo, se butta fuori cenere, come gira il vento, se è nuvolo o è sereno. È il punto di riferimento di ogni giorno che ti condiziona nelle attività. Se capita poi un’eruzione e sei colpito da cenere e lapilli la vita diventa molto più complicata. Non dobbiamo dimenticare che qui si vive su un vulcano attivo, quindi può succedere di tutto da un momento all’altro”
Salvo, mi stai descrivendo stati d’animo di attesa, forse anche di paura, mi puoi dire cos’è la felicità?
“Stare bene con se stessi prima di tutto e poi cercare un accordo sempre con gli altri. È qualcosa di ipotetico, se vogliamo, non è qualcosa di concreto. Io mi preoccupo di stare in armonia col mondo che mi sta attorno, uomini e ambiente. Penso di esserci riuscito, e ho trasferito ai miei due figli, Andrea e Simone, queste sensazioni, facendoli riflettere però che tutto potrebbe cambiare, che il filo si potrebbe rompere e allora dobbiamo essere contenti di quello che è successo fino ad ora. E se un giorno non ritroveranno più quest’armonia, allora meglio vendere tutto”
La vita vissuta fino a oggi ti ha dato quello che t’aspettavi?
“Forse anche di più. Io stavo per emigrare da giovane, mio padre è dovuto emigrare, mio fratello è nato in Svizzera. Quando l’Italia ha fatto la scelta industriale, sull’Etna non si viveva di tutto questo, quindi ha costretto la gente ad abbandonare la propria terra e partire. È stata una scelta politica dagli Anni Sessanta fino a oggi. Se i miei figli, ormai maggiorenni, hanno avuto la fortuna o l’occasione per rimanere qui è perché papà aveva un’attività che poteva consentire loro di continuare, ma la maggior parte dei loro coetanei non hanno possibilità di scelta e se vogliono realizzarsi devono andare via. Questa terra non è capace di trattenerti, di ospitarti”
Salvo pensa al tempo dei pantaloncini corti: cosa sognavi da bambino?
“Stavo con i miei nonni in campagna, tra galline, vitello, in mezzo alla vigna, avevano il palmento. Ero un bambino spensierato, anche felice come tutti i bambini. La mia famiglia era emigrata in Svizzera, per poter vivere lavoravano papà e mamma e io ero stato destinato all’asilo nido. Ma lì non ci stavo, mi sentivo a disagio. Venne su mia nonna per accudirmi, ma fu fatta una denuncia ‘o la nonna lavora o se ne torna a casa’. Tornò in Sicilia con me. Ricordo che alla prima elementare, a Milo, il primo giorno di scuola parlavo solo il dialetto siciliano. Quel tempo era un bel tempo, c’era maggiore sincerità, genuinità tra la gente e io mi trovavo bene in quell’ambiente rurale”
Cosa ti aspetti dal futuro?
“Guarda, vorrei continuare a vivere in compagnia dell’armonia, ma sono molto preoccupato dal clima politico in generale e sociale che si è venuto a creare. Non mi sento supportato da nessuno, il rapporto di fiducia, se mai fosse esistito, che lega lo Stato e il cittadino si è rotto, le cose anche ovvie devi sempre conquistartele anche se ti spettano: dobbiamo sempre dimostrare noi di essere onesti. Se vuoi andare avanti devi scriverti tu le regole e allora devi fare parte delle lobby”
Alcuni nomi eccellenti dell’imprenditoria del vino del Nord e non solo, negli ultimi anni sono venuti ad investire su questi versanti etnei: come giudichi questa scelta?
“Ascoltami, l’Etna c’è sempre stata, i vigneti hanno secoli di storia. Questi imprenditori si stanno spostando adesso. Non solo del Nord, anche dalla stessa Sicilia Occidentale. Perché lo fanno? Perché hanno capito che questo è un territorio importante? Però, mi viene da pensare che lo fanno solo per una questione di moda, di momento economico. Ma come tutte le mode, anche questa passerà. E allora cosa faranno? Torneranno indietro tutti? Ricercheranno un altro territorio alla moda? Se sono arrivati con buoni propositi di conservare, custodire, rispettare, allora ben venga… se questo è solo un effetto momentaneo, fammi dire un termine pesante, un ‘neo colonialismo’, la cosa mi rattrista molto perché vorrebbe dire che questo territorio continuerà ad essere sempre subalterno e condizionato dagli altri; significherebbe, ancora una volta, che è un territorio che non ha la capacità di raggiungere la sua identità. I buoni esempi devono venire da noi tutti, in primis”.
“Tutta questa bellezza che tu vedi, di cui mi parli, ha una macchia nera che negli ultimi anni è diventata insostenibile: la spazzatura su queste strade meravigliose. Una volta non c’era! e poi, voglio chiudere dicendo che manca la voglia di conoscere, di studiare, di approfondire. Il nostro è un marketing invasivo, spesso falso: la gente non vuole bere, si illude di bere questo vino territoriale. Una cosa si ama perché si cura. Custodia e cura sono essenziali e mi rifaccio a “La cura” di Battiato… lui canta ’l’evoluzione sociale non serve al popolo se non è preceduta da un’evoluzione di pensiero’. La nostra evoluzione di pensiero si è fermata con i Greci e i Romani. Quindi, tornando alla tua domanda, se certi personaggi si avvicinano a questo territorio non è perché vogliano rapinarlo, ma perché siamo noi che glielo permettiamo di fare”.
Il forte legame col territorio di Salvo Foti, assieme alla sua rigorosa visione politica e morale mi confermano alcuni presupposti che mi ero costruito nelle mente. Parlare con lui è stato come parlare con il territorio, viverne le trasformazioni e appassionarsi alla sua salvaguardia. Il suo vino è un esempio di produzione che tocca il rispetto per la qualità organolettica, per la sostenibilità ambientale e per i lavoratori: per l’umanità che produce.
Grazie Salvo, continua ad osservare quel fumo intrigante e contraddittorio, a sporcarti le mani di terra nera piovuta dal cielo, a pestare uva in quel palmento miracoloso, ad essere umano. E mentre penso a tutto questo, alle mie spalle si chiude il “cancello dell’armonia”.
Per rimanere nell’armonia, GUARDA IL VIDEO