Agostino Iacobucci non è uno chef qualsiasi. Certo, fa parte di quell’Olimpo di chef talentuosi, la cui cucina è giustamente osannata dagli addetti ai lavori, ricca di spunti creativi e basata su materie prime di primissima scelta.
Agostino Iacobucci: uno chef e il suo talento
Ma Agostino Iacobucci ha una caratteristica che non è facile trovare, nemmeno nella cucina di altissimo profilo: le sensazioni. Sì, la sua cucina è fatta di sensazioni, di suggestioni anche molto diverse tra di loro (Dio ci scampi dal monotematismo) che si alternano a velocità impressionante traducendosi in un’esperienza che, per il cliente, è un turbinio di emozioni.
Ce lo ricordiamo quando nel 2012 approdò all’ombra delle Due Torri, all’Hotel I Portici, portandosi appresso dalla Cantinella di Napoli una Stella Michelin e la fama di top chef: ricordo che all’epoca avevo compreso assai poco della sua cucina, ma ovviamente ero io quello in difetto, perché la cucina di Agostino va innanzitutto compresa a livello culturale e filosofico, prima ancora che col palato e con il ventre.
La location di Villa Zarri: un palcoscenico adeguato
Oggi questo ragazzo campano di 38 anni tutto cuore e talento, dopo cinque anni trascorsi sotto i soffitti stuccati dell’albergo trendy nel centro di Bologna e uno sabbatico impiegato a riordinare le idee, ritorna in una cornice naturalmente degna di lui: quella neoclassica di Villa Zarri, stupenda dimora a Castel Maggiore circondata da un parco secolare e che i bolognesi Doc conoscono primariamente come il luogo dove nasce il brandy storico del territorio, quello che una volta si chiamava Oro Pilla e che oggi, grazie all’imprenditorialità di Guido Fini Zarri, sotto il brand Villa Zarri è sinonimo di qualità in tutto il mondo, per il brandy e non solo.
Nasce AI, il ristorante di Agostino Iacobucci
Ed è stato proprio dall’incontro fra Guido Fini Zarri e il suo desiderio di rendere la splendida villa un luogo fruito tutti i giorni dell’anno, e Agostino Iacobucci, alla ricerca di una location all’altezza della sua cucina, che nasce AI, che ovviamente stavolta non sta per Intelligenza Artificiale – anche se di intelligenza nella cucina del nostro chef ce ne è parecchia – ma ovviamente per Agostino Iacobucci.
Un’esperienza da ospiti in una grande casa
Un ristorante che sin dall’ingresso è ampiamente esemplificativo del tipo di esperienza culinaria che vi si andrà a vivere: soffitti affrescati, lampadari in cristalli colorati, ampie finestre a illuminare l’elegante sala da pranzo, pavimenti realizzati nella tipica grisaglia delle ville bolognesi, pochi tavoli ben distanziati (prenotare è d’obbligo) per garantire anche a chi pranza da solo il massimo della quiete e un servizio dedicato.
Sì, perché il primo biglietto da visita, qui alla periferia nord di Bologna, è
l’accoglienza: tutto è perfetto, ma senza essere forzato o pomposo, quasi come se fosse un percorso naturale che ti conclude all’ineluttabile finale di piacere. E in questo luogo splendido si muove, come un leitmotiv arcano, la cucina perennemente in divenire di Agostino Iacobucci.
Le parole dello chef Iacobucci
“La cucina che voglio proporre” spiega Agostino “è una cucina rappresentativa, personale, che sia un connubio tra la mia regione di provenienza, la Campania, e quella che ormai sento come la mia terra d’adozione, ossia l’Emilia-Romagna. I piatti nascono ogni giorno da una mia filosofia, da un mio pensiero culturale, e si basano innanzitutto sulla materia prima migliore, che per il 70 per cento rappresenta il successo di un piatto. Per questo, anziché di chilometro zero come tutti, a me piace parlare di chilometro buono, perché non ha importanza quanto lontano devi andare per avere il prodotto migliore. Nei miei piatti non mancano mai i vegetali, l’olio extravergine d’oliva, gli agrumi, la frutta secca, i semi: tutti elementi di una dieta mediterranea che vengono reinterpretati in un’ottica personale”.
L’orto: un grande progetto di autoproduzione
E per questa esperienza Agostino ha puntato su un importante progetto di autoproduzione orticola che ha mosso i suoi passi diversi mesi prima dell’apertura del nuovo ristorante: un orto che da principio si è avvalso del contributo di un gruppo scelto di agricoltori del territorio, ancora oggi fornitori quotidiani della materia prima fresca e stagionale, ma che già sta dando i propri frutti, con una produzione propria di erbe aromatiche e piccoli frutti, e che nel giro di due anni conferirà al ristorante la totale autosufficienza.
Un team giovane e d’esperienza
E qui risiede la differenza tra un ristorante normale e un grande ristorante come è questo: una location di estremo fascino, dove lo chef è libero di esprimere tutte le proprie potenzialità supportato da un team giovane eppure già esperto, con quattro addetti alla sala capitanati dal maitre Fabio Valente e dal sommelier Iacopo Gerussi, e sei collaboratori di cucina, alcuni dei quali lavorano con Agostino anche da dieci anni, in poche parole una squadra vincente. E ovviamente quell’ospitalità sacra che si respirerebbe se la villa, anziché un ristorante, fosse ancora una di quelle grandi case nobiliari di un tempo.
Sensazioni: dal pane agli amuse-bouche
Ma parlavamo di sensazioni, che iniziano ancora prima del pranzo con un cestino del pane – croccanti grissini all’olio EVO, taralli al pepe, ottimo casereccio – accompagnato da un burro salato di cui è difficile non fare incetta. O dalla serie di piccoli, divertenti, amuse-bouche che spaziano dall’emilianità del macaron pistacchio e mortadella alla lievità dell’airbag di rapa rossa ripieno di ricotta di bufala e pomodoro alla vaniglia, dalla finta messicanità del taco con tartare di tonno, caviale di trota e salsa alla nocciola all’oreficeria – perché di questo si tratta – del ravanello marinato con maionese all’ostrica e foglia di nasturzio, per concludersi con il contrasto di sapori generato dal cono di pasta fillo farcito con caprino, topinambur, tartare di ricciola e liquirizia.
Sensazioni: la tempesta dell’ostrica
Parlavamo di sensazioni, ed ecco l’ostrica su gelatina di Campari con sorbetto al mango accompagnata dalla foglia d’ostrica, caviale e frutto della passione, uno dei piatti signature dello chef Iacobucci: un vero incontro tra due sensazioni del tutto opposte, quella mitteleuropea, quasi baltica, dello iodio sprigionato dall’ostrica e dell’amaro proveniente dal bitter, e quella esotica, quasi caraibica, del mango e della maracuja, il tutto esaltato e potenziato da un geniale cocktail a base di vermouth e dry curaçao.
Sensazioni: sapori di Mediterraneo
Parlavamo di sensazioni ed ecco quelle mediterranee nel senso più ampio del termine del gambero viola crudo alle tre salse – rucola, yuzu e frutti rossi – con mandorle e lamponi, o della tagliatella di calamaro con gel di yuzu e fiori di gelsomino, dove il tocco esotico dell’agrume nipponico si sposa benissimo con le suggestioni nostrane.
Sensazioni: l’estate è arrivata
Parlavamo di sensazioni ed ecco la ventata di freschezza assoluta, pura al 100 per cento, de “L’Estate è arrivata”, nomen omen per un piatto che vede un pomodorino datterino farcito di ricotta, un pomodorino giallo ripieno di cremoso ai pinoli, una perla d’anguria e una di melone, corroborati da un’azzeccatissima estrazione di cetriolo, mela verde e finocchio.
Sensazioni: triglia, totano, spaghetto
Parlavamo di sensazioni ed ecco la carnosità sugosa della triglia con lupini alla Nduja e bufala, che rimanda ai piatti casalinghi nei quali del pesce si sfruttava tutto nel migliore dei modi, oppure quella delicata e forte al tempo stesso dei bottoncini di patate e dragoncello nel brodo di totano, o ancora la magnificenza dello spaghetto di Gragnano con crostacei in bisque e agrumi rasserenati da erbe di campo di insospettabile potenza, un piatto questo che sembra fatto per accontentare chi pensando alla Campania si ferma alla pasta col pesce, ma che invece nella sua saporosità racchiude un’inventiva e una vis creativa davvero
impressionanti.
I vini bianchi in accompagnamento
Ad accompagnare il tutto una selezione di vini bianchi iniziata con un Vermentino di Gallura 2017 di Terra Sassa di ottima beva, proseguita con un altro Vermentino, stavolta toscano, il 2017 di Palistorti di Valgiano, assai più complesso, e coronata da un altro toscano, un Bianco 2017 in prevalenza Trebbiano, di Ghiaccioforte, capace di esaltare gli ultimi piatti.
Sensazioni: la tavolozza dell’agnello
D’obbligo la scelta del rosso per il secondo, una magnifica sella di agnello nostrale. Parlavamo di sensazioni: provate l’agnello, burroso e cotto a puntino nel fieno, in alternanza con l’acidità del lampone, la dolcezza del pistacchio o la grassezza del Castelmagno, senza dimenticare la tocciata finale nel sontuoso fondo di cottura della carne medesima, il tutto affiancato al carciofo in insalata, che con l’agnello è la morte sua, e abbinato al Rosso 2016 su base Morellino sempre di Ghiaccioforte, scelta quantomai felice.
Sensazioni: la nuvola del babà
Il predessert di gelato di caprese con polvere di capperi e salsa di peperone introduce all’estasi del babà. Parlavamo di sensazioni ed ecco un altro dei piatti signature di Agostino Iacobucci, il babà in tre lievitazioni con salsa di lampone e frutti rossi e panna fouettée, una vera e propria nuvola soffice sulla quale adagiarsi e sognare di poter godere in eterno di sapori così esaltanti e di suggestioni così divine.
L’attentato calorico della piccola pasticceria
Con la golosissima piccola pasticceria – financier, torta di riso degli addobbi, macaron al caffè, cannolo siciliano, marshmallow, sfogliatella ripiena alla crema Chantilly – l’attentato calorico è dietro l’angolo, ma soprattutto si capisce, se non ci si fosse arrivati prima, quanto lo chef Iacobucci sia capace di spaziare tra le diverse tradizioni – bolognese, siciliana, francese, veneta, americana – senza mai perdere di vista i sapori della sua infanzia che restano il suo faro immarcescibile.
Una cantina a cavallo tra Champagne e piccoli artigiani
Splendida la cantina, compilata con certosina dedizione dal sommelier Iacopo, che affianca una bellissima selezione di bollicine soprattutto dalla Champagne a una serie di piccoli produttori artigianali, che il nostro va a ricercare personalmente in tutta Italia nei ritagli di tempo o addirittura durante le vacanze. Con grande vantaggio per il rapporto qualità-prezzo che, a dispetto dell’ambientazione lussuosa e della cucina sontuosa, qui viene sempre considerato in maniera intelligente.
Due menu a tema e uno degustazione
A disposizione del cliente due menu ispirati alle due regioni di riferimento, quello Emilia a 58 euro e quello Campania, in prevalenza di pesce, a 68 euro, più un menu degustazione che segue un percorso sensoriale dello chef a 80 euro, mentre alla carta per un pasto normale si possono spendere sui 95 euro bevande escluse.
Dettagli trascurabili in quanto saranno cifre ottimamente spese per avere pranzato in uno dei più grandi ristoranti della vostra vita. Specialmente se vi piace di parlare di sensazioni.