La conversazione con Gaia Gaja, realizzata nei giorni dell’ultimo Wine 2 Wine a Verona, apre una nuova stagione di interviste del podcast https://wineinternetmarketing.it/ su temi di comunicazione, innovazione e sostenibilità nel settore del vino, curate da Stefano Labate.
In accordo con l’autore pubblichiamo per i nostri lettori l’intervista già postata anche su su Millevigne. (http://www.millevigne.it).
“Prima parlavamo di cantina, di legni, di macerazioni e di lieviti, oggi abbiamo spostato l’attenzione sul cambiamento climatico. Le difficoltà che da qualche anno abbiamo registrato in vigna ci hanno fatto capire, una volta di più, che il vino si fa prima di tutto in vigna.”
Gaia Gaja riflette su una questione sempre più centrale nel mondo del vino. Gaia è figlia di Angelo, e rappresenta, con Rossana e Giovanni, la quinta generazione di un nome che continua a posizionare il Barbaresco a livello internazionale. Per tutta la sua famiglia, la ricerca e le nuove pratiche in vigna sono, da tempi lontani rispetto a qualunque recente trend biodinamico-organico-naturale, al centro del modo di essere e produrre vino.
Gaia Gaja, che cosa sta succedendo nelle vigne?
Notiamo l’innalzamento delle temperature in ogni parte dell’anno. La cosa è buona ma solo entro un certo limite. Può dare vini più strutturati, meno verdi e più morbidi e bevibili ma le temperature alte in tutte le stagioni sono un problema. In inverno non consentono alla vigna di ripulirsi dalle malattie e dai funghi. In primavera favoriscono il proliferare degli insetti, in estate e in autunno portano le piante ad aumentare la fotosintesi e quindi più zucchero e minori acidità a vini che rischiano di non avere l’eleganza e la delicatezza di una volta. Con un agosto e un settembre molto caldo la sfida è riuscire a rallentare l’accumulo di troppo zucchero, che porterà poi alcol eccessivo, ma consentire comunque la maturità fenolica del frutto.
Che cosa si osserva?
Mi ha colpito un fatto. La tignola, un insetto che dobbiamo combattere in vigna perché attenta alla sanità dei grappoli, in Piemonte, di solito, è presente con sole due generazioni ogni anno, mentre in Puglia si riproduce quattro volte. Ecco: adesso la tignola in Piemonte si comporta esattamente come se fosse in Puglia, si riproduce con la stessa frequenza. Per non parlare di altre problematiche, nuove o sempre più aggressive: il moscerino suzukii, i funghi che portano il mal dell’esca, la flavescenza dorata.
Ricordo Angelo Gaja parlare di clima già molti anni fa.
Abbiamo cominciato a parlarne in casa verso la metà degli anni Novanta. La prima annata calda è stata quella del 1997 e da lì sono cominciati tanti piccoli accorgimenti. La prima modifica fatta è stata alla parete fogliare. In Langa siamo abituati a un Nebbiolo che ha bisogni di molto tempo per maturare e quindi di una parete molto alta di foglie. Ebbene l’abbiamo abbassata, spettinata, con una gestione diversa e grappoli più protetti dal sole, cimando meno e accapannando di più per non stimolare la pianta a fare nuove foglie con un aumento di zuccheri ulteriore.
In che modo oggi guardate alla vigna?
Bisogna stare attenti alla densità troppo alta dei vigneti o alla produzione di uva per pianta troppo bassa che va a concentrare ulteriormente l’accumulo di zuccheri e la pesantezza di un vino. Oggi quando si ripensano i vigneti bisogna pensare non solo all’esposizione ma anche alle altitudini, al tipo di varietà dell’uva e dell’impianto.
Barbaresco, Bolgheri e Montalcino, Etna. Dal Piemonte alla Toscana e fino alla Sicilia, Gaja ha allargato il suo parco di vigneti in diverse aree in Italia. Con quale idea?
Il clima è diventato importante. Ci siamo recentemente appassionati all’Etna anche perché è una zona in cui è possibile salire. Abbiamo comprato a 800-1000,1200 metri di altezza. E si può ancora salire. Lo stesso pensiero lo abbiamo fatto fuori da Barbaresco, in Alta Langa. A Barbaresco siamo a 270 metri. In Alta Langa, a 700 metri di altezza, abbiamo acquistato un noccioleto e fatto esperimenti in quattro ettari con Chardonnay e Sauvignon Blanc, sperando di mitigare il problema dell’alcol elevato e conservare acidità. Nella zona di Bolgheri non è invece possibile salire, come nel Bordeaux: abbiamo preferito varietà tardive, il Cabernet Sauvignon e il Cabernet Franc, e abbiamo cominciato a piantare vitigni del sud, come il Fiano, abituati al caldo ma che possono oggi attecchire anche più a nord.
Il cambiamento del clima si manifesta non solo con più alcol e meno acidità ma anche con fenomeni atmosferici sempre più violenti e repentini.
Questo è davvero il problema principale. Immaginati lo stress di una vite nel 2017: ha subito una grandinata e una gelata primaverile mai vista prima e poi un’estate molto lunga e molto secca, con 36-40° senza sosta e senza pioggia per ottanta giorni. Come fa quel terreno a mantenere umidità e tonicità? Oppure pensa alla troppa umidità. Nel 2018, in primavera, per 45 giorni abbiamo avuto ventiquattro giorni di pioggia con temperature sempre a 25-26°. Una evaporazione immensa, un ambiente quasi tropicale in cui peronospera e o oidio hanno fatto festa ed era impossibile per i contadini entrare in vigna a lavorare.
Come si risponde a tutto questo?
Anni fa si parlava di ‘viticoltura di precisione’ con risposte e correttivi mirati alle singole emergenze. Oggi l’obbiettivo non è più avere una viticoltura di precisione ma avere viti e suoli resilienti, che sanno reagire a caldi e pioggia estremi, alle bombe d’acqua e alle erosioni. Non è più inusuale che 100 millimetri di acqua scendano non in una settimana ma in 15 minuti: non c’è possibilità di assorbire tutta quell’acqua e intervenire.
Botanici, entomologi, professori. Avete creato una vera squadra.
Come dicevo, alla fine degli anni Novanta abbiamo ritenuto di imparare di più. Quindi alla squadra che abbiamo in vigneto – oggi sono settanta persone – abbiamo aggiunto una squadra di professori universitari, botanici, entomologi, esperti di api e di vespe. Anche l’università di Torino ci aiuta a monitorare la biodiversità di un vigneto.
E’ una parola sempre più usata, “biodiversità”. Quanto è importante per voi?
Un terreno pieno di vita e complessità organizzata è la condizione per cui è in grado di rispondere alle emergenze del clima. Immagina un vigneto pieno di materia organica, un insieme vegetale e animale che si decompone, che è il vero collegamento tra la vita e il terreno. Un terreno del genere diventa una spugna, in grado di assorbire molta più acqua, fino a otto volte quella del suo peso. E quando arriveranno ottanta giorni di siccità e calore forse riuscirà a mantenere più umidità di un terreno povero.
La biodiversità dunque come risposta al cambiamento climatico?
Non solo. La biodiversità è anche una risposta all’erosione. Con le radici il terreno resiste meglio a una bomba d’acqua, e se ha erbe diverse sarà meno alla mercé di erbe infestanti e di erbe che consumano molta acqua, come la gramigna. Con gli entomologi abbiamo visto che la biodiversità di un vigneto ricco di erbe e materia organica è quattro volte superiore, per esempio per specie di insetti, a quello coltivato convenzionalmente. E infine la biodiversità può essere anche rimedio verso malattie serie. Dalle nostre trappole in vigna abbiamo rilevato che il portatore della flavescenza dorata, è sempre meno presente: non sappiamo ancora spiegare perché ma evidentemente ha trovato degli antagonisti.
E’ possibile fare a meno della chimica?
Purtroppo il cambiamento climatico abbassa la biodiversità e certi ambienti, come quello delle Langhe di monocultura, pongono problemi alla biodiversità.
E’ però possibile allontanarsi dai prodotti chimici e avere alternative a rame e zolfo. Contro l’oidio, esca e la tignola si possono impiegare efficacemente degli antagonisti.
In Toscana, a Bolgheri, abbiamo scoperto che rilasciare due insetti a maggio e giugno ha risolto il problema delle cocciniglie, molto meglio che un prodotto chimico. Un vigneto ricco e biodiverso ci aiuterà sempre più a fare a meno anche di questi interventi.
Cambiamento climatico, sostenibilità e biodiversità sono anche parole chiave dello storytelling dei produttori per intercettare consumatori che sembrano sempre più sensibili a questi messaggi.
Non so davvero quanto questi temi guidino le scelte di consumo. Di certo siamo tutti più attenti alla nostra salute e a quella della natura. Bisogna però anche registrare che i prodotti chimici di oggi evolvono. Inoltre, anche inserire insetti su un terreno per non ricorrere ai pesticidi introduce un’alterazione di quell’habitat. Un vigneto non sarà mai un ambiente naturale. In natura non troverai mai, per caso, seimila viti piantate insieme nello spazio di un ettaro. L’uomo è il trait d’union tra la vite e il territorio che lo circonda.
C’è però anche un problema di sostenibilità economica per la filiera delle aziende del vino italiano. Ricordo, per esempio, l’attenzione di Angelo Gaja alla questione della redditività delle terre. Possiamo dire che, mentre altri problemi restano aperti, si aggiungono ora queste nuove sfide sul cambiamento climatico che in vigna richiedono studio ed esperimenti, diverse competenze, tecnologia. Nuovi costi. Da dove si comincia?
Da un’attitudine intanto. Sappiamo che dobbiamo essere più sostenibili e avere una attenzione al cambiamento climatico. Non si tratta per forza di acquistare macchinari e tecnologia costosa. Certamente la sostenibilità deve essere economica. Consideriamo che un vigneto sano, che si rigenera da solo e non ha bisogno di fertilizzanti chimici, in equilibrio e con meno vigore – parliamo sempre di vini di qualità, doc e docg – è un vigneto che ci darà anche meno costi. Meno concimi chimici, meno benzina, meno trattamenti ripetuti con i trattori. Una maggiore attenzione alla biodiversità, stando attenti a non trasformare le nostre vigne in orti troppo vigorosi, che possono dare altri problemi, è una attitudine che può nel lungo termine portare a risultati economicamente sostenibili.
A cura di Stefano Labate