È una sera d’estate, fa caldo ma non troppo, siete in un paesino di provincia e state andando a una sagra. Impiegate qualche minuto per trovare il parcheggio, poi vi avventurate verso il luogo dell’evento insieme a centinaia di altre persone. Sentite il frinire dei grilli e l’eco della musica di una banda di liscio: siete affamati, ma siete felici. La stagione delle sagre è decisamente alle porte, anzi ha appena iniziato a prendere il ritmo.
Una sagra è molto più di un evento
Una sagra è molto più di un evento: si tratta di celebrazioni ospitate in luoghi spesso remoti e non sempre dalla grande vocazione turistica, in cui il cibo emerge come protagonista. Queste feste rappresentano una prova vivente delle tradizioni culturali delle comunità, offrendo un’occasione unica per esplorare e festeggiare. Sono manifestazioni prettamente italiane, dalla portata enorme: per la loro natura popolare e festaiola, appianano le differenze sociali e promuovono piatti locali in tutte le salse, attirando milioni di persone e aumentando così l’indotto del territorio.
La piaga delle finte sagre, meri momenti commerciali
Tuttavia, negli ultimi anni, sono sorte sempre più manifestazioni dalla natura ambigua, ibridi tra pop-up di ristoranti esistenti e fiere di natura squisitamente commerciale. Un fenomeno denunciato già nel 2019 dalla Fipe — Federazione Italiana Pubblici Esercizi — che riportava almeno 32.000 eventi con la definizione di sagra ma che mancavano di requisiti essenziali come la promozione di prodotti tipici e il legame con il territorio, oltre a marginalità esagerate per attività temporanee che si svolgono sotto tendoni e con tovaglie e stoviglie di carta.
Le sagre in numeri: quante sono, dove sono
Ma partiamo dai numeri. Non è semplice avere dati precisi sulla quantità di sagre presenti sul nostro territorio e sulla generale affluenza di pubblico: non esistendo un registro ufficiale, è spesso complicato distinguere sagre “vere” da manifestazioni a carattere più commerciale. Inoltre, moltissime sagre di paese — quelle che portano il nome di un santo e non di un piatto o ingrediente, per intenderci — hanno una durata troppo breve e una portata iperlocale, non figurando in nessuna statistica.
Secondo le circa seimila Pro Loco italiane, le sagre sostenute da amministrazioni pubbliche, associazioni di volontariato, enti culturali, sportivi, religiosi e consorzi di tutela di prodotti locali, sono circa 20.000. La spesa totale sostenuta dalle Pro Loco ammonta a 700 milioni di euro, generando un indotto di 2,1 miliardi di euro e 10.500 posti di lavoro. Ogni anno, 48 milioni di visitatori partecipano alle sagre, di cui il 24% anziani, il 45% famiglie e il 31% giovani. In media, il 70% dei visitatori delle sagre investe 15-16 euro, contribuendo a una spesa totale dei consumatori di 540 milioni di euro. Le sagre si svolgono da gennaio a dicembre, ma la stragrande maggioranza si concentra tra maggio e settembre, approfittando del bel tempo e della voglia delle persone di uscire di casa.
Breve origine e storia delle sagre
Le sagre, da quella di San Lorenzo Martire a quella del Pomodoro Costoluto, pur con storie diverse, condividono un obiettivo comune: promuovere il territorio e la sua economia attraverso l’enogastronomia, presentando prodotti locali durante le celebrazioni. Come spiegato dall’antropologo sociale Michele F. Fontefrancesco, esperto di valorizzazione dei patrimoni culturali e sviluppo locale, sebbene oggi le sagre vengano spesso presentate come autentiche e storiche, la loro vocazione turistica è relativamente recente, risalente al XX secolo. Se in passato cibi speciali e sacri scandivano il tempo festivo, la strategia enogastronomica delle sagre moderne nasce dalla rivalutazione della campagna come luogo di radici e valori genuini, un cambiamento iniziato nel XIX secolo e consolidatosi nel XX secolo.
Il fascismo e le sagre come strumento politico
Poi venne il Fascismo, che negli Anni Venti e Trenta utilizzò il folklore e le feste tematiche per promuovere le economie locali: la Festa dell’Uva, organizzata per la prima volta il 28 settembre 1930, fu una risposta alla crisi del settore vinicolo e si basava su eventi festivi centrati sull’uva e il vino, organizzati capillarmente in tutto il paese. Questo modello prevedeva gare per la migliore offerta di vendita d’uva e cortei con vestiti tradizionali e carri allegorici. Il successo di questo modello permise la sua sopravvivenza anche dopo la caduta del regime fascista e la Seconda Guerra Mondiale. L’eredità della Festa dell’Uva — che non è l’unica origine delle sagre contemporanee, ma ne ha definito le forme attuali — rappresenta un modello in cui la promozione economica e territoriale passa attraverso eventi festivi con una forte vocazione turistica, centrati su prodotti enogastronomici, un approccio ancora attuale che continua a influenzare le sagre moderne.
Guardare alle sagre di oggi: il racconto del libro “Sagre d’Italia”
Una tipologia di fenomeno in continua evoluzione, come spiegano Giorgio Mininno e Donatella Alquati, autori del libro Sagre d’Italia (Slow Food Editore, 2023): “Quello che abbiamo notato girando l’Italia, è che l’agglomerato di oltre 40 mila sagre italiane, è in continua evoluzione. Alle sagre storiche che cercano di mantenersi inalterate negli anni, si alternano eventi nuovi, con modalità e contenuti che rispecchiano una popolazione in continua evoluzione. Crediamo che per gli organizzatori sia impossibile oggi non tenere conto di un pubblico con gusti, aspettative e necessità nuove rispetto a cinquant’anni fa. Un elemento comune riscontrato è la coesistenza di tutte le generazioni ed estrazioni sociali, sia tra il pubblico che tra gli organizzatori (e nelle cucine!). Forse questo è uno degli aspetti più inclusivi delle sagre”.
Le regioni italiane ad alto contenuto di sagre
Donatella e Giorgio hanno censito finora circa 2.000 eventi, girando in lungo e in largo la penisola e documentando le sagre con alcune fotografie a corredo di questo articolo. Secondo loro, se si volesse fare una mappa termica della concentrazione di sagre lungo il territorio italiano, le zone rosse sarebbero sicuramente l’Emilia-Romagna, il Lazioe la Toscana, mentre al contrario è stato difficile identificarne molte in regioni come la Val d’Aosta e il Trentino. Una valutazione, naturalmente, da prendere con i dovuti accorgimenti. Chiedo loro che opinione abbiano delle sagre che propongono coperti da 3 €, servizi o al tavolo come al ristorante, sponsorizzazioni improbabili, in altre parole come si riconosce una sagra vera da una fake e se è opportuno informare il pubblico o lasciare che il fenomeno evolva secondo il mercato?
“Abbiamo visitato sagre sponsorizzate da grandi marchi, con un servizio impeccabile e un look pazzesco, che tuttavia riuscivano a mantenere quegli aspetti spontanei delle sagre di paese. Nel libro abbiamo preferito inserire soprattutto quelle più genuine, organizzate da comunità locali e legate ai prodotti del territorio. Se siete alla ricerca di questa tipologia di sagra, magari in un una regione che non conoscete, potete prima di tutto chiedere ai local: sapranno suggerirvi le feste migliori. Suggeriamo di fare un po’ di chilometri verso le province sperdute, e anche di addentrarsi nei siti web delle testate locali, mettendo in conto un po’ di fatica per trovare le giuste informazioni. Infine, nel decidere a quale sagra andare ricordate che se ha una comunicazione strepitosa, se l’avete scoperta grazie a un post sponsorizzato su un social network oppure se si tiene a Ferragosto in una località super turistica è probabile che non sarà esattamente un evento dal gusto amatoriale”.
AssoSagre e il tentativo di mappare le sagre d’Italia
Guglielmo Luigi Pinotti ha creato il portale AssoSagre, con l’obiettivo di mappare le sagre italiane fornendo dati attendibili e soprattutto molto aggiornati, con l’ausilio di un geolocalizzatore. Al momento sul sito sono presenti meno di 100 sagre su tutto il territorio, ma è gestito in maniera diretta e molto scrupolosa, a differenza di tanti altri portali che spesso riportano dati non aggiornati e addirittura sagre ormai defunte. “La gente oggi ha bisogno di emozioni perché vuole contatti umani ed esperienze, essendo sempre tutti indaffarati” dice Pinotti “dunque quando si va in sagra lo si fa per avere un momento conviviale, e mi sono accorto che la gente va alle sagre perché sta bene, al di là del cibo”.
Ristoratori contro le sagre? Sembra un falso problema
Secondo Pinotti, il timore di certe associazioni di esercenti che denunciano una concorrenza sleale da parte delle sagre è infondato: “C’è posto per tutti, soprattutto quando le sagre durano solo un paio di weekend. Spesso attirano talmente tanta gente che se c’è troppa fila, questa si riversa sui ristoranti, portando indotto.
Ci sono sagre che quest’anno compiranno il 50° compleanno, come quella della lumaca di Casumaro, che oltre a valorizzare l’ingrediente lumache in un modo che i ristoranti non hanno mai fatto, in genere fa dai 15 ai 20mila coperti, una quantità enorme. Gli utili di questi eventi per il 70 o 80% vanno alle società sportive — o parrocchie, onlus — che le organizzano per mantenere viva la loro attività; in questo modo, vengono sempre reinvestiti nel territorio. Certo, a volte ho fatto notare a certi organizzatori di sagre che far pagare 2,50€ una bottiglietta d’acqua è esagerato, ma sarà il tempo a dire se fanno bene o fanno male: quello che importa è che ci sia un percorso gastronomico e vengano rispettate determinate caratteristiche”.
W le sagre, ma risparmiateci il coperto
Per fortuna le sagre stanno avendo il successo di pubblico che meritano, specialmente dopo la pandemia. Sarà la voglia di socializzare, di mangiare all’aperto, di assaggiare piatti locali a prezzi più economici rispetto ai ristoranti. Per questo stona vedere spuntare patatine fritte e hamburger, ma anche la voce “coperto”. Se è vero che alcune manifestazioni si stanno armando di piatti di ceramica e bicchieri di vetro per ridurre l’impatto ambientale, alzando i costi, questi si potrebbero eventualmente caricare su altre voci, o magari istituendo un deposito per le stoviglie restituite integre.
Ho parlato con moltissimi organizzatori di sagre che negli ultimi anni si sono trovati a dover inserire il coperto per fronteggiare l’aumento dei costi, ma ho anche notato che questa sta diventando un’abitudine sconsiderata, nata dall’emulazione. L’evoluzione di un fenomeno non va arrestata e forse neanche indirizzata, ma sarebbe bello vedere l’innovazione avvenire su altri fronti. Per esempio, l’introduzione di alternative che rispettino le scelte alimentari di tutti, premiando l’inclusività, oppure una gestione più smart degli afflussi. Lunga vita alle sagre!
di Carlo Gibertini by CiboToday