Incontro con Ernestina (Tina) Blandino, casara sui monti di Rubiana, in Bassa Val di Susa: un mondo antico che produce formaggi come un tempo. Amore, passione, piacere e tradizione tutti da scoprire. “Il Disciplinare dei miei formaggi è quello di Tina”
Ci troviamo in Bassa Val di Susa. Lei è Ernestina Blandino (detta Tina), fisico asciutto ma tanta energia da vendere e una testa che gira a mille. Idee, progetti, passato, futuro, tante cose realizzate e ancora tanto da realizzare. Il presente? Una casara a tutto tondo. Una di quelle decise, caparbie, che non ha paura di niente, che non si ferma mai, sempre in movimento. E che formaggi!!!
Centoventi capre e una decina tra manze ancora giovani e mucche adulte da mungere. Vado a trovarla sulla montagna, sopra Rubiana, sulla strada che porta al Col del Lys. Siamo in mezzo ai boschi a circa 1300 metri d’altezza, ai piedi del Monte Crivari. Lascio la provinciale che porta al Colle e dopo un chilometro di sterrato ecco apparire, tra un giardino ricavato di fiori bellissimi, qualche pianta di limone (ebbene sì) e tre cani che ti danno il benvenuto, lei, in abito da casara.
È un pomeriggio estivo, ho lasciato Torino sotto una calura bestiale. Qui, devo dire che si sta bene; le fronde del bosco si muovono, non soffro. I tre cani e qualche gallina che razzola in libertà godono di questo angolo di silenzio, sconosciuto ai più. Certo, anche per me è una prima. Se non fossi stato motivato dall’incontro con Ernestina, qui non ci sarei arrivato.
Dopo un succo di frutta fatto da lei e un bicchiere d’acqua freschissima varco la soglia delle stanze del formaggio. Mi invade subito un profumo straordinario che non avevo mai percepito così forte. Sulle canne una serie di tome, mezze tome, tomette di tutte le forme e peso. Fresche, stagionate, semi stagionate, con una serie di cartelli accanto che solo Ernestina comprende.
Indicheranno le date della produzione, il lotto, la varietà, le caratteristiche del formaggio. Mi attirano molto le forme del latte e questo profumo inebriante che si sprigiona. Ogni forma un profumo particolare, esclusivo, unico (mi fermo all’olfatto fino a questo punto).
Qui tutto viene realizzato a mano da Tina e dal suo compagno e poi prende la strada dei mercati di Avigliana e Almese. Una volta anche di Torino, ora non più. Ma vanno in giro anche per l’Italia e per il mondo, in Francia, in Belgio, in Brasile.
“Sono clienti che mi hanno conosciuto negli anni – afferma Ernestina – e poi continuano a voler mangiare i miei formaggi. Qui abbiamo tome di mucca e di capra, molte varietà in questo momento non riesco a farle, ad esempio gli erborinati, perché fa troppo caldo e non si mantengono. Il frigo non va bene. Io non ho una cella; gli spazi sono questo piccolo locale e la cantina”.
Comprendo subito che qui le lancette dell’orologio non sono più andate avanti già da parecchi anni e Tina è legata a questo mondo , a questo luogo, ai suoi animali, fino al collo. Mentre parla si percepisce l’attaccamento al lavoro che porta avanti, con fatica, grande sacrificio, tante rinunce. Sveglia prima dell’alba e poi tante cose da fare. Ma il sorriso e la soddisfazione si leggono con fierezza sul suo viso e si vede subito che nascono dal cuore, spontaneamente.
“I miei formaggi nascono così, improvvisati, non c’è una toma uguale all’altra, cambia la consistenza, la flagranza è diversa. Ad esempio per una toma di vacca il procedimento è sempre lo stesso: latte a 36 gradi, caglio e lavorazione, con fermentazioni che variano. Il sapore cambia a seconda delle condizioni meteo, se piove o c’è il sole, ambiente umido, ambiente secco. Le mie sono le “Tome di Tina”, una mia invenzione, uniche. Il Disciplinare è quello di Tina”.
“Hanno provato anche a suggerirmi di seguire un dato Disciplinare e fare un formaggio stereotipato, standardizzato, globalizzato come si dice oggi. Ma a me piace essere libera, indipendente e sono venuta fin quassù per produrre come voglio io e quello che voglio, altrimenti me ne sarei rimasta in pianura con meno problemi e minori costi. A me sta bene così. Quando sono col mio pentolone davanti, magari adesso che fa più caldo la temperatura la tengo a 34 gradi piuttosto che a 36, io sono felice”.
“Sono una che ama questo lavoro, ho dovuto impararlo da sola perché nessuno mi ha insegnato niente. Ho fatto questo mestiere senza saper mungere, ho iniziato con 40 capre, c’era ancora mio papà. Un giorno ho detto a mio padre ‘ma queste bisogna mungerle e chi le munge? Stanno partorendo!’. Le avevamo comprate da uno che ne aveva 1200, ha visto due giovani inesperti e ha voluto 20 milioni di lire per 40 capre. L’inizio è stato disastroso. Poi abbiamo imparato a farle partorire e a mungerle. Con la prima tazza di latte che avevo munto volevo fare il primo formaggio… sapevo che ci voleva il caglio ma da lì in avanti… comunque è andata!”.
“I miei formaggi non incontrano la chimica. Il sapore è dettato, anche, dal tipo di alimentazione con cui si nutrono gli animali: se mangiano fogliame piuttosto che erba il gusto è di un certo tipo; in autunno o all’inizio della primavera hanno un sapore diverso. Stamattina hanno mangiato bacche di rosa canina, quindi avrò un formaggio ricco di vitamina C”.
“Mi piace molto condurre gli animali al pascolo, quando sono libera dagli impegni del mercato, sono io che li porto in giro, mi diverto”.
“Il futuro? Potrebbe nascere un piccolo agriturismo, 10 tavoli al massimo, con i miei formaggi, ricotta, i salumi naturali del mio amico macellaio, le omelette con le uova del mio pollaio, e “uova sott’aceto medievali”, una mia specialità. Il pane lo farò quando avremo il forno. Mi ha insegnato a farlo una ragazza ciociara. Prima o poi farò le mie forme di pane”.
Questo di Ernestina è un piccolo mondo ma un grande patrimonio di diversità e di variabilità straordinario, che merita di essere scoperto con passione e grande rispetto.
“Il formaggio più tipico che faccio?”
“La “Toma del lait brusc“, un formaggio dalle origini molto antiche: si narra che addirittura Annibale, dopo aver attraversato le Alpi, si fosse fermato in Val di Susa esclusivamente per gustarlo. Leggende a parte, è un formaggio che si produce in alcune zone del Piemonte, nello specifico nelle aree montane e pedemontane della Val di Susa, Val Sangone e Valli di Lanzo ed è realizzato soprattutto nel periodo estivo quando le mucche sono in alpeggio e richiede condizioni di cui pochi margari dispongono”.
“Anzitutto ‘lait brusc’ significa latte acido: si tratta di un formaggio a latte crudo, stretto cugino del Castelmagno, con cui ha in comune il processo di produzione. Il latte della mungitura del mattino viene lasciato riposare, a questo si aggiunge poi quello della sera e del mattino successivo; in questo modo il latte inizia un naturale processo di acidificazione, la caseina coagula e la cagliata si ottiene spontaneamente senza la necessità di aggiungere caglio o siero innesto. La cagliata che si ottiene è molto fine, quindi prima di essere messa nelle forme, viene fatta sgrondare per alcune ore in apposite tele. Una volta messa nelle forme, la Toma del lait brusc viene fatta stagionare per almeno 3 mesi. L’assenza di caglio e l’utilizzo del latte a freddo rappresentano la particolarità di questo formaggio”.
“Si ottengono forme cilindriche che pesano mediamente tra i 5 e i 12 Kg. La crosta è ruvida, bruno-grigiastra, friabile. I sapori che si distinguono sono l’acido e l’amaro, con gradevoli sensazioni piccanti se le forme sono stagionate a lungo”.
È stato un vero piacere incontrare Ernestina e i suoi formaggi, ma anche le sue idee, i suoi pensieri, ascoltare le sue storie. Purtroppo devo lasciarla, non prima di avere assaggiato quattro pezzi di tome diverse… mai provata tanta soddisfazione dopo aver messo in bocca questi sapori unici, irripetibili, emozionanti.
Ernestina, quando avrò voglia di sognare verrò a trovarti quassù, nel tuo mondo ma, stavolta, se vuoi, ti aiuterò a dare forma a quel latte prezioso prima che diventi “Toma di Tina”.
Grazie!