Stavolta vi faccio conoscere un ristorante d’altri tempi, Chicco di Caffé, uno dei pochi rimasti, dopo l’invasione delle cucine piene di stelle. Una cucina piemontese, vera, schietta, autentica, dove ancora il Fritto misto, la Finanziera, il Bollito, il Brasato con polenta, la Trippa sono preparati come una volta, senza fronzoli, con poche varianti.
E se dai un’occhiata ai formaggi tipici piemontesi trovi il Gobbo alle pere, da un’antica ricetta dell’Alta Valle Grana, nel Cuneese; il Gianduiotto di montagna, dalla forma particolare, prodotto con latte vaccino crudo, dai sentori erbacei e un retrogusto floreale; il Testun del fen, caprino, da una vecchia ricetta montana, avvolto nel fieno e stagionato su assi di abete in grotte naturali.
E poi, un Capunet tutto da assaggiare, così come il Vitello tonnato metà e metà, cotto a bassa temperatura con salsa tonnata classica e all’antica maniera, una suggestione per il palato. E che dire del Tris di flan con patate e pancetta e crema di porcini, cavolo viola e crema di noci, carciofi con salsa allo yogurt greco: gusti che ti sorprendono, semplicemente straordinari.
E anche gli impasti di accompagnamento sono di produzione del ristorante.
Mi trovo a Soglio, in provincia di Asti, nel Monferrato Astigiano, un borgo di 150 anime, di origini antichissime, che conserva nella parte di sommità un Castello medievale, rimaneggiato nel XVIII secolo e la Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro e Giorgio che vanta pregiate tele del Settecento.
Tutt’intorno è collina di vigneti, campi coltivati, boschi e bricchi di antichi paesi; paesaggio quasi incontaminato, da non credere.
Qui si respira un’aria antica, lontano dalle rotte turistiche, dalle masse di gitanti; devi venirci apposta, ci troviamo a 20 chilometri da Asti e a 40 da Torino. Questo è un borgo del silenzio.
L’idea di venire a mangiare al Chicco di Caffè di Soglio è un ottimo motivo per girovagare tra questi luoghi di pace, a poca distanza dalla città, visto che conserva anche una storia interessante.
Un antico cascinale sotto le vecchie fortificazioni del paese si presenta improvvisamente ai miei occhi, una bella scritta sulla facciata recita “Chicco di Caffè” e su un’altra leggo “Unione Agraria Cooperativa”; al centro una simbolica targa in bronzo: “- Società di Mutuo Soccorso – Unione Agraria Cooperativa – 1897 – 1997”.
Qui si ricordano racconti contadini, di donne e di uomini che hanno scritto storie di terra e di fatiche, di sofferenza e di sacrifici, ma anche momenti di condivisione, di discussioni tra una partita a carte e un quartino di rosso, accompagnato da due immancabili fette di salame.
Erano tempi difficili per l’agricoltura e bisognava fare gruppo, unirsi in queste Società di Mutuo Soccorso per rispondere alle necessità dei lavoratori appartenenti ai ceti meno abbienti, privi di qualsiasi forma di tutela, di previdenza o di assistenza.
Sto per entrare in un luogo storico: varcata la soglia, proprio davanti a me il bancone dove una volta si serviva il caffè (da cui il nome del locale), alcuni tavoli con le sedie colorate, ben apparecchiati, una porta verde conduce in un’altra saletta, intima, con vista sulla campagna e su qualche cascina rinnovata. Una parete ravvivata da una gigantografia di essenze vegetali foreste ti accompagna in mezzo alla natura. L’atmosfera è quella di un tempo. Questo è un luogo suggestivo che fa partire la mente e ti offre sensazioni del gusto molto interessanti!.
Mi soffermo a parlare con Alessandra Varotto, la padrona di casa dal luglio 2020.
ALESSANDRA VAROTTO, LA TITOLARE
Cosa l’ha spinta, Alessandra, a venire quassù, in questo borgo del silenzio, in questa cucina che guarda un mondo ormai quasi dimenticato?
“Devo dire che sono scappata da Torino, che peraltro adoro, ma la vita in città mi stava ormai stretta e ho deciso di vivere a contatto con la natura, avere ritmi di vita più umani, aprire la finestra e osservare la luna e il sorgere del sole accompagnata dal verso degli animali, l’allocco se non le cicale o il grillo, osservare i cavalli nei campi, in libertà. Qui siamo in campagna ma in venti minuti puoi frequentare i luoghi della cultura di Asti, ad esempio. E poi mi interessava esplorare questo territorio di grandi tradizioni culinarie”.
Alessandra mi parli del suo locale, Il Chicco di Caffè, di quest’abitazione di campagna, molto singolare.
“Andando indietro nel tempo, questo era il circolo ricreativo di un’antica Cooperativa agraria, che era partita come Associazione di Mutuo Soccorso per favorire la gestione della terra da parte delle famiglie, comprare i semi, assistere i contadini nel loro lavoro. Qui si giocava a carte, c’era un biliardo, fino agli anni Settanta, non mancava mai la bottiglia di Barbera su ogni tavolo. Poi il paese si è lentamente svuotato, la gente stava scegliendo la città, il lavoro in fabbrica, più sicuro e redditizio”.
Anche la cucina è cambiata da queste parti, si è passati da una cucina di tradizione, un po’ dai sapori forti, anche povera se vogliamo, ad una cucina più leggera. Ci può descrivere il tipo di proposta gastronomica?
“La nostra è una cucina piemontese tradizionale, però desidero sottolineare che ciascuna ricetta è stata resa più attuale, per accontentare i palati più giovani. Abbiamo reso i piatti meno forti al gusto, come la finanziera ad esempio, che ha sempre un seguito di clienti molto motivati. Proponiamo i nostri tajarin, fatti con farine locali provenienti da un mulino di Montiglio (Asti). Utilizziamo la farina di Tipo 1, macinata a pietra, meno raffinata”.
Alessandra, chi è il cliente tipo del vostro ristorante?
“Beh devo dire che al cliente tipico piemontese di una certa età, amante dei vecchi sapori piemontesi, si è affiancata piacevolmente una clientela più giovane, under 40. Qui si ritrova una certa tranquillità, il numero di tavoli è limitato per scelta, ti senti coinvolto da questo paesaggio agreste che ci sta attorno e hai tempo di scambiare due chiacchiere per sentirti bene. Qui devi venire apposta, non è un luogo di passaggio. Noi siamo aperti dal 2020, dal giovedì alla domenica, a pranzo e a cena”.
I MIEI ASSAGGI
Ecco un po’ di piatti del giorno che lo chef ha accuratamente approntato:
- Tartrà e insalata di galletto
- Tris di flan
- Vitello tonnato metà e metà
- Tajarin ai fegatini
- Lasagnetta vegetale
- Finanziera
- Fritto misto
- Biscuit Tortoni
Vini in accostamento: Chardonnay Brut Borgo Maragliano “8 mesi” – Loazzolo – e Ruché di Castagnole Monferrato Docg, 2022 – Majoli
Ricordo i pranzi di un po’ di anni fa in Langa o in Monferrato, quando il turismo di massa non aveva ancora invaso quei borghi meravigliosi e di Patrimonio UNESCO non si parlava neanche. I sapori e i profumi autentici fuoriuscivano da quelle cucine di osteria e si spandevano per le viuzze strette. Profumi di agnolotti, di ragù e di brasati riempivano le piccole sale di quei luoghi incantati, invogliavano a sederti a tavola e stappare un’ottima Barbera o un Nebbiolo straordinario.
Le stelle erano solo quelle che brillavano in cielo nelle notti d’estate. Meraviglioso. Oggi, al Chicco di caffè sono tornato indietro nel tempo, sono stato bene come allora.
Vado a trovare lo chef in cucina, tra i fornelli che preparano ancora piatti d’un tempo passato.
LO CHEF
Lei, chef, ha lavorato principalmente ad Asti, in ristoranti di maggiore grandezza: quali differenze ha notato con la cucina di questo piccolo ristorante di paese in questo luogo appartato?
“Qui si lavora ad un ritmo più lento, più meditato, ho un approccio mentale diverso sin dal mattino quando mi avvicino ai fornelli. Qui lavoro con una marcia in meno e mi dedico alle preparazioni con maggiore attenzione. Ho prestato la mia attività anche nella Riviera ligure, lì era un delirio, ritmi indiavolati, tanta fatica, anche per la mente”.
Cosa significa ‘reinterpretare il piatto della tradizione’?
“Vuol dire partire dall’originale e per poi mettere in campo l’intuizione soprattutto, ma anche l’esperienza. Ci vuole anche fortuna, devi provare, provare per rivisitare un’antica ricetta. Modificare sì, ma senza stravolgere il piatto. Faccio l’esempio della ‘finanziera’: sono partito dalla ricetta di mia madre; lei a 12 anni faceva già la cuoca in una famiglia di Marchesi, a Roatto, qui in zona; ho preso la ricetta è l’ho modificato nella forma di presentazione, a pezzi grossi, non nel contenuto. E poi la ‘lasagnetta alle acciughe’, una ricetta astigiana che anticamente era molto forte nel gusto, decisa, servita nei giorni di mercato all’Albergo della Torre, reso famoso proprio per questa pietanza. Oggi la lasagnetta ha un sapore addolcito, ho dovuto renderla più vicina ai gusti attuali dei clienti. Se parliamo di ‘bunet’ parto ad esempio dalla vecchia ricetta dell’Hotel Salera di Asti e la modifico in base alle mie conoscenze o intuizioni. Si reinventa una ricetta in base a quello che senti nell’anima, ma anche per creare un effetto sorpresa. Un cuoco deve essere sorprendente, deve avere sempre idee nuove. La mia ‘trippa coi fagioli’ utilizza i Fagioli di Refrancore, squisiti, del nostro territorio, piuttosto che i risaputi Borlotti ed è tutto un altro sapore”.
Chef, cosa salva della cucina del passato?
“Salvo tutto, perché dentro alcune pietanze c’è storia millenaria. Se devo salvare 2 piatti della cucina piemontese di tradizione, direi il ‘vitello tonnato’ e la ‘tinca in carpione’. La tinca perché io arrivo dal Pianalto di Poirino: mio padre aveva un magazzino agricolo e io sin da bambino lo accompagnavo, col camion, a servire i contadini, e ogni contadino aveva almeno una peschiera dove si allevavano le tinche dorate. Ho un bellissimo ricordo di quel tempo… ci si fermava, si friggevano 2 tinche e si carpionavano. Sapori che mi porto dietro e mi fanno battere ancora il cuore. Mi sento una persona felice, sto bene così, accanto ai miei fornelli, anche se è un lavoro faticoso. Penso che la cucina sia infinita, non avrà mai una fine, come la musica… e io vorrò suonare finché ce la farò”.
Lascio questo luogo, questa gente, con un senso di nostalgia dentro. Oggi ho capito ancora una volta che la cucina è davvero passione, conta quello che hai dentro, che ti porti nel cuore. Ha un senso il luogo dove tutto avviene… basta credere in quello che fai per essere felici.
Ringrazio Alessandra per l’accoglienza e la gentilezza e lo chef per avermi fatto ritrovare i sapori d’un tempo bellissimo.
Arrivederci.
– – – – – — – – – – – –
Ristorante Chicco di Caffé
Via Barovero, 21 – Soglio (Asti)
Tel: +39 0141 992378
Emai: ristorantechiccodicaffé@gmail.com
chiccodicaffesoglio.it