Sono varie le particolarità di Grosio, paese dell’alta Valtellina; in primo luogo il fatto di essere situato nella parte terminale della zona di pianura della vallata, che parte da Colico, alla fine del lago di Como e si dispiega lungo tutto il corso del fiume Adda, tra prati, meleti, vigneti terrazzati che sono uno spettacolo a vedersi.
Da Grosio in poi la Valtellina cambia aspetto, diventa più “severa”, si stringe tra declivi più o meno elevati, coperti di boschi e in molti casi di rocce; il corso dell’Adda è più torrentizio, la zona circostante diviene “montagna” risalendo in direzione delle rinomate Bormio e Livigno, e questo paese della provincia di Sondrio ne è la porta d’ingresso.
Ma sono anche altre le particolarità di cui Grosio, circa 5.000 abitanti, 650 metri s.l.m., può giustamente andare fiera. L’ingresso sud del paese è sormontato da ben due castelli, quello di San Faustino, del XI secolo, più piccolo e ridotto ormai ad un rudere, ed il Castello Nuovo, del XIV secolo, fortificazione parzialmente ristrutturata, già dimora dei signori medioevali del luogo, i Visconti Venosta.
I castelli facevano parte di una serie di postazioni d’avvistamento e difesa come tante altre lungo l’intera Valtellina e come gli altri furono distrutti durante le guerre di conquista dei Grigioni nel 1526.
All’interno delle sue mura sembra di tornare a quel periodo, di sentire l’eco delle spade che si incrociano, i botti delle prime rudimentali “columbrine” che sparano sugli assalitori che salgono dalla valle sottostante, il rumore degli zoccoli dei cavalli sul selciato sconnesso.
Ma accanto al Castello, c’è un’altra particolarità di Grosio, la “Rupe Magna”, un sito archeologico di importanza straordinaria, fatta di oltre 5.500 disegni di incisioni rupestri dell’Età del Ferro, portate alla luce negli anni ’60, con disegni e figure antropomorfe in movimento, scene di caccia e di vita quotidiana, di animali e genti dell’XI secolo a.C.
Il Parco delle incisioni rupestri di Grosio è uno dei siti archeologici di maggiore importanza non solo della regione, ma di tutto l’arco alpino; nella sede di Villa Visconti Venosta, sede anche della biblioteca comunale, è stato istituito il centro di documentazione che organizza convegni, gestisce le visite ai siti, produce e raccoglie materiale documentaristico fotografico, filmato e bibliografico.
Ma oltre questa, anche in un’altra zona del paese, tra il Cap e Ras Pagan, è stata scoperta una seconda zona archeologica ulteriormente interessante per gli appassionati e gli studiosi di archeologia, con circa 200 scene di caccia e di guerra; una testimonianza che l’uomo ha popolato la vallata fin da allora, trovandovi tutto ciò che gli serviva per sopravvivere: cibo, animali, clima.
All’ingresso del paese, si passa davanti alla centrale elettrica dell’ex AEM, realizzata negli anni ’20 la quale, irregimentando le acque del torrente Roasco che scende tumultuoso dall’incantevole Val Grosina, porta con i suoi cavi ed i suoi ingombranti piloni, energia elettrica verso il Mortirolo, la Val Camonica e la pianura padana.
Paesaggisticamente parlando, non si può dire sia un bel benvenuto in paese, ma va detto che comunque ha rappresentato per decenni e lo è tutt’ora, una considerevole fonte di lavoro per molte famiglie non solo grosine e fonte di sviluppo per l’intera zona di questa parte della Valtellina.
Superata la centrale ci si presenta di fronte la chiesa seicentesca di San Giuseppe, il vero portone dell’ingresso da Sud, con la torre campanaria distaccata dal complesso parrocchiale, sul quale un tempo rimbombavano le campane che i fratelli Pruneri, noti fonditori di campane del 1800, originari di Grosio, che costruivano ed esportavano le loro “opere d’arte” in alta Italia ed in Svizzera.
La strada che attraversa il paese divide l’ampio terrazzamento della chiesa dalla Villa Visconti Venosta e dal suo verdissimo parco, donata al Comune dall’ultima discendente della nobiliare casata; una visita alla villa è un altro salto nel tempo.
Ma l’aspetto più caratteristico di Grosio è rappresentato dalla sua conformazione urbanistica con le stradine del borgo strette e contorte dove, talvolta, nemmeno le auto riescono ad entrare.
Le case, addossate le une alle altre, quasi a cercare un po’ di calore reciproco durante i lunghi, bui e freddi inverni, hanno finestre minute, spesso con inferriate; molti anche i portoni di vetusta età, in molti casi con borchie chiodate o elementi decorativi in ferro battuto.
Case antiche, qualcuna interamente di sasso, qualche altra dove il sasso rappresenta l’elemento decorativo; l’edilizia a Grosio è una delle attività prevalenti ed il mestiere, tramandato per generazioni, l’hanno imparato bene; molte anche le case con decorazioni sulle facciate.
Gli animali verranno riportati sui pascoli della Val Grosina e del Mortirolo a primavera inoltrata, ma tradizioni ed abitudine vuole che svernino “a casa”.
Girando per il centro storico, tra le strette stradine ed improvvisi slarghi, è facile imbattersi in una delle tante fontane dove zampilla un’acqua fredda e pura; una di queste, ottocentesca ed a pianta esagonale, si trova nella piazzetta su cui si affaccia l’antica chiesa di San Giorgio, del XIII secolo.
Fino ad una trentina di anni fa Grosio aveva anche una sua attività turistica estiva, dovuta prevalentemente al ritorno in paese per le ferie delle famiglie emigrate: una tradizione, questa, iniziata con il lavoro nei cantieri navali della Serenissima fin dal 1500, quando intere famiglie emigrarono in Laguna abbandonando i magri raccolti della valle e la penuria di lavoro e proseguita nell’800 e primo ‘900, per analoghi motivi, ma verso altre destinazione in Europa, Sudamerica, Australia.
Oggi il turismo a Grosio è piuttosto scarso ed è un peccato, perché la gente è ospitale, si mangia ottimamente, si beve ancor meglio di quanto si mangi e l’atmosfera che si respira in paese e nei dintorni permette di rilassarsi.
Molte famiglie grosine hanno baite e maggenghi nelle montagne e vallate vicine, la Val Grosina ed il Mortirolo in particolare; esempi di architettura rurale molto ben conservati, la maggior parte usati da maggio ad ottobre come case di vacanza, a volte come ricoveri per il lavoro di fienagione e come stallaggio per gli animali al pascolo.
E’ una cosa piuttosto insolita che una vallata così affascinante nella sua “rusticità”, nella sua “selvaggia bellezza”, sia rimasta estranea al turismo di massa: escursionisti, scout, diversi fungaioli, ma niente di “invasivo”.
Credo comunque che i grosini non ne siano affatto dispiaciuti: ci tengono in modo quasi viscerale alla loro valle ed alla sua integrità naturale, visto anche l’annosa battaglia che hanno condotto, e per ora vinto, contro la multiutility lombarda che voleva accaparrarsi ulteriori diritti di sfruttamento delle acque del torrente Roasco per la produzione di energia idroelettrica.
L’offerta ricettiva grosina è ben coperta: un paio di alberghi confortevoli, altrettanti bed&breakfast, qualche agriturismo e alcune locande, sia in paese che negli immediati dintorni soddisfano appieno le esigenze di un “turismo consapevole”.
In paese sono diversi anche i ristoranti e le trattorie dove gustare i prodotti tipici di Grosio e della Valtellina, produzioni artigianali e locali i classici pizzoccheri valtellinesi, la polenta taragna, la polenta gialla con le costine, arrosti di cervo e capriolo, bresaole e luganeghe, i formaggi di latteria ed il “casera”, gli inimitabili “sciatt” e le tante varietà di funghi, dolci come il “curnat,” e la “bisciola”, le mele, prodotto di punta della pianura dell’Adda, l’inimitabile “pesteda”, un condimento coperto dal segreto delle famiglie che la fanno con le erbe trovate nelle montagne circostanti.
Piatti “corposi”, caratteristici delle località e degli inverni di questa parte delle Alpi, come anche i vini tipici della valle: l’Inferno, il Grumello, il Sassella, il Valtellina Superiore ed il superbo “Sfurzat” che generazioni di valtellinesi hanno saputo ricavare dai vigneti piantati sui tanti terrazzamenti ben visibili sui pendii montuosi che da Sondrio arrivano fin quasi a Grosio.