Nell’entroterra anconetano, sulla sommità di una collina di 500 metri slm nel territorio della Vallesina, c’è Cupramontana, piccolo borgo di quasi cinquemila abitanti.
La sua origine è romana, fondata alcuni secoli a.C. su un tempio dedicato alla del Cupra, dea della fertilità adorata dalla popolazione preromana dei Piceni.
Un po’ di storia
I romani ne fecero un loro importante municipio, che venne successivamente distrutto nel corso della guerra tra bizantini e goti; sulle rovine della cittadina i longobardi eressero un piccolo borgo fortificato cui diedero il nome di Massaccio, attorno al quale si sviluppò in breve il paese.
In epoca successiva Massaccio entrò a far parte delle terre della curia di Jesi e nel ‘400 fu una delle roccaforti dei “Fraticelli”, in odore di eresia, subendo le ritorsioni delle truppe militari dello Stato Pontificio.
Tornata sotto le ali papali, Massaccio ne seguì le sorti fino all’adesione al Regno d’Italia, quando su concessione del re tornò all’antico toponimo di Cupramontana ed ai giorni nostri.
Poco distante dal centro principale ha resistito alle incursioni del tempo l’antico borgo di Poggio Cupro, con la sua struttura muraria medioevale, restaurata agli inizi del Cinquecento; nel borgo c’è la chiesa di S. Salvatore, del XII secolo, che insieme al castello è stata ricostruita nella seconda metà del Quattrocento e contiene diversi reperti dell’epoca e di quelle successive.
In città vi sono alcuni edifici religiosi particolarmente interessanti; tra questi la chiesa abbaziale del Beato Angelo, un complesso monastico probabilmente camaldolese più che millenario, formato da strutture romanico-gotiche, più volte restaurato nei secoli successivi.
La chiesa di San Lorenzo, settecentesca, caratterizzata da colonne con capitelli corinzi e l’abside arricchita di rosoni a stucco, conserva alcune interessanti tele seicentesche, come anche quella di San Leonardo, costruita sulle fondamenta di un altro edificio religioso dell’XII secolo nella quale vi sono anche una trecentesca croce processionale in argento e rame sbalzato e un ostensorio in argento del Seicento.
L’Eremo dei frati bianchi
San Giuseppe delle Grotte, l’Eremo dei frati bianchi, probabilmente dovuto ai frati camaldolesi, situato tra Cupramontana e Poggio Cupro, in una piccola valle ricca di vegetazione, ora in fase di ristrutturazione, è così chiamato per delle grotte scavate nell’arenaria, abitato da eremiti fin dal mille.
Il complesso è attorniato dal bosco dei frati bianchi, un’area protetta attraversata da un ruscello detto anticamente Fossato del Corvo, importante come esempio della vegetazione che ricopriva questo territorio in tampi antichi, con numerose specie rare vegetali.
Duecentesco è invece il complesso di San Giacomo della Romita o Monastero dei frati neri, Priorato monastico camaldolese denominato “Romitella delle Mandriole” e successivamente occupato dai Francescani che vi ricostruirono la chiesa.
Una tradizione vitivinicola secolare
Cupramontana ha sempre avuto un’economia legata all’agricoltura, in particolare alla coltivazione dell’olivo e della vite; è infatti considerata la capitale del Verdicchio dei Castelli di Jesi, uno dei più importanti vini bianchi italiani.
La coltivazione dell’olivo, sicuramente più antica di quella della vite, è stata favorita come quest’ultima dalla presenza dei monaci che tradizionalmente hanno sempre operato per incrementarne la coltivazione e la diffusione.
Dal Cinquecento in poi tutto il territorio era coltivato ad olivi tanto che alcuni frantoi o “molini da olio” come allora si chiamavano, vennero impiantati nelle stesse campagne, e quattro erano quelli in attività all’interno delle mura cittadine.
Una tradizione che è rimasta viva ancora oggi e che viene ricordata, assieme alla tradizione vitivinicola, nelle numerose feste e sagre che caratterizzano questa parte del territorio marchigiano, tra cui la Sagra dell’uva, la Notte del Verdicchio e l’Infiorata del Corpus Domini.