Ce ne sono tante, di storiche e di nuove, ma l’atmosfera che si sente al Cibus di Parma non esiste nelle altre fiere/manifestazioni. Qui è tutto oleato alla perfezione: organizzazione, workshop, conferenze su temi reali, concreti, tangibili.
Ed è bello, bellissimo osservare quanto mondo riesca a stare nel “microcosmo” gastronomico dell’Emilia-Romagna. Inglesi, russi, cinesi, italiani, tutti sembravano essere nel paese dei balocchi; quando si dice che il cibo è vita, è gioia e uno dei massimi piaceri della vita.
“La soddisfazione delle aziende per questa edizione di Cibus è tangibile e prospettica – ha dichiarato Antonio Cellie, CEO di Fiere di Parma – perchè conferma le enormi potenzialità, fortunatamente ancora inespresse, del Made in Italy alimentare.”
Da una certa soddisfazione vedere i buyer di tutto il mondo fremere dalla voglia di conoscere dal vivo gli esponenti di un’azienda italiana.
Vi è mai capitato di essere quasi felici stando in attesa in fila? Ci sono occasioni, rare ma ci sono, in cui è quasi bello stare in coda. Sì perché la frenesia nel vedere quel che ci piace aumenta secondo dopo secondo.
Questo è quello che è accaduto a Cibus, la fiera gastronomica di rilievo internazionale. File interminabili sulle autostrade, negli aeroporti, nelle stazioni, da Milano, da Bologna. La dimostrazione di quel che può e sa muovere la cultura gastronomica italiana: la ricchezza di storia, profumi, prove, assaggi, errori che nel tempo hanno creato un impero così valoroso conosciuto da tutti, ma capito ancora da pochi.
L’obiettivo è trasmettere questo caleidoscopio a più persone possibili
“Bilancio oltre le attese con 82mila visitatori”- Gazzetta di Parma. Chi con un interesse meramente lavorativo, chi per curiosare e scoprire, approfondire nuove realtà, chi per pura passione… tutti in movimento per andare alla fiera internazionale più importante al mondo. Numeri oltre le aspettative, stranieri oltre le previsioni.
Pare che siano più entusiasti di noi? E’ normale, per loro è tutto nuovo
Ciò che è palese è che sono disposti a pagare di più la qualità. Non siamo forse noi più avvezzi di loro alla qualità? Sì certamente e proprio questa è un’arma a doppio taglio. Essendo nati e cresciuti con il profumo inebriante del caffè o l’odore del soffritto, quello fatto con amore alle 8 del mattino, diamo per scontata la qualità.
Per noi è normale che un pomodoro sappia di pomodoro
Per noi è normale che un pomodoro sappia di pomodoro. Nella maggior parte degli altri Paesi era normale che un pomodoro sapesse di acqua mischiata ad altra acqua (insalate) e salse varie.
Fondamentale è, quindi, comunicare al turista ancor prima della cucina italiana con le sue tradizioni, il rispetto per la materia prima perché è lì che si inizia a fare la differenza. Ricordiamoci che il turista soddisfatto è il primo ambasciatore del valore della qualità
Finalmente sempre più aziende e, quindi, persone, stanno facendo entrare nelle loro corde l’importanza di rispettare i frutti di Terra Madre.
La necessità non è più solo di fare qualità partendo dalla zolletta di terra, altrimenti rimane fine a se stessa. Bisogna parlare con i cosiddetti piani alti, arrivare ad accordi locali, regionali in modo che vengano dati strumenti di sostegno. Organi di tutela ce ne sono a volontà, bisogna però creare il sistema idoneo per il loro corretto funzionamento.
Non è più tempo di guardare solo entro i confini del proprio orticello
L’argomento sul quale e attorno al quale ci si sta focalizzando è ormai chiaro a tutti: la ricerca della qualità e la costanza nel mantenerla. Questo non è di certo condizione sufficiente affinché il prodotto venga apprezzato. Bisogna saperlo comunicare, trasmettere. Tutto ciò sottende al rispetto della natura, dell’ambiente e chi vive a stretto contatto con la terra lo sa.
Un maestro casaro riconosce dal profumo e dalla consistenza del latte se la mucca ha vissuto e mangiato bene e potrà dare quel prodotto straordinariamente ricco non solo di sapori e aromi, ma anche di proprietà benefiche per la nostra salute.
Oscar Farinetti, il patron di Eataly, a questo proposito, ha detto: “Sta nascendo una nuova generazione di gastronomi, che deve essere consapevole che il cibo nasce nella terra e non in cucina. E come tale deve essere studiato, trasformato, offerto e raccontato. Prima di tutto occorre conoscere i territori, poi studiare le tecniche, più naturali possibili, di coltivazione, allevamento e pesca. Seguono le tecniche di conservazione e trasformazione in cucina, infine la narrazione al cliente finale. Il tutto permeato dalla Storia, la tradizione e la cultura che provengono dai territori d’Italia”.
Giulia Moscatelli