Conoscete quell’angolo di Piemonte racchiuso tra la Piana di Saluzzo e le pendici del Monviso che risponde al nome enologico di Colline Saluzzesi?: mi trovo sui contrafforti prealpini del massiccio dove origina il Po. È proprio in questi luoghi ancora sconosciuti al turismo di massa (è un bene o un male? Ndr) che, tra paesaggi sconfinati di colture frutticole (core business locale Ndr), resiste un’antichissima viticoltura di nicchia. Qui, si producono vini “di montagna”, dalla marcata ma piacevole freschezza e acidità.
Sono animato da curiosità, per il desiderio di riscoprire un tempo passato e di assaggiare vini unici, umani; per la voglia di attraversare la marginalità di questo territorio enoico; per scoprire la rarità di vitigni che parlano, orgogliosamente, un po’ francese. E poi per conoscere questa piccola realtà vitivinicola che è Cascina Melognis, piccola sì, ma molto interessante e intrigante per quello che riescono a fare: onestà produttiva, sperimentazione saggia, una serie di etichette tutte da assaggiare e per l’atmosfera conviviale che si riesce ad instaurare con i titolari dell’azienda, Vanina Carta e Michele Antonio Fino.
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Vanina Carta presenta uno dei suoi vini. Credits Andrea Di Bella
Cascina Melognis opera sul territorio di Revello, a poca distanza da Saluzzo e produce su diversi terreni diffusi in collina, tra i 350 e i 600 metri circa s.l.m.. È impegnata nel recupero e nella conservazione di antiche varietà locali, oltre che nell’utilizzo di vitigni classici regionali, come la Barbera e della vicina Francia, come Chatus e Pinot Noir.
“Noi nasciamo nel 2009 – esordisce Vanina Carta, appena seduti al tavolo della degustazione -. Era un tempo in cui qui si compravano ancora le bottiglie di Langa e si compravano le uve di quelle colline per vinificarle qui nel nostro territorio. Le uve locali erano considerate di bassa levatura. Qui, su queste Colline Saluzzesi, si è sempre vinificato il Pelaverga, ma sempre per uso familiare, conservato in damigiane”.
“Abbiamo deciso di ribaltare questo concetto: in realtà, questa è una zona dove la viticoltura è antica, storica, esistono diversi vitigni autoctoni, perché, come si sa, un tempo il vino era alimento, e, come tale, ciascuna famiglia produceva qualche filare di uve diverse per far fronte ad eventuali malattie della vite. Si era così sicuri di portare a casa, in vendemmia, sempre qualcosa. Già allora si impiantava quella che oggi chiamiamo “biodiversità””.
“Se la vocazione vinicola della zona era infatti già nota ai Romani, fu dalla metà del XV secolo che i vini del potente Marchesato di Saluzzo divennero tanto apprezzati da giungere prima in Francia, attraverso il Buco di Viso (il primo traforo alpino della storia), e poi a Roma. Dall’Archivio vescovile di Saluzzo, si hanno notizie del nostro Pelaverga già dalla metà del ‘500 – sottolinea Vanina -. Documenti attestano che il Pelaverga andò a finire anche a Papa Giulio II della Rovere, che, a quanto pare, amava bere il Pelaverga di queste colline. Fu nell’epoca rinascimentale che il vino della Val Bronda, soprattutto della zona di Pagno, visse il periodo di maggiore gloria. Se fino all’anno 1000 le regine dell’agricoltura locale erano solo le prugne, nel 1500 il Pelaverga occupava circa 75/80 ettari”.
La narrazione di Vanina è accattivante, leggera, rivelatrice di aneddoti e di storie, solida conoscitrice di questo territorio eroico. Tra una degustazione e l’altra, il racconto svela il territorio.
“I nostri vitigni autoctoni “parlano” un po’ francese – asserisce la vigneron -: il Pelaverga, lo Chatus, la Neretta cuneese. Qui i terreni sono molto acidi, ricchi di elementi minerali adatti alla frutticoltura, le nostre viti producevano tanto fogliame. Ci siamo dovuti impegnare per ripristinare, con l’aiuto delle tecnologie, portare a regime queste vigne che erano davvero molto selvagge. Tutte vigne vecchie, di cinquant’anni e qualcuna anche di ottanta, come quella che produce il rosato”.
La vostra produzione è orientata al recupero di antichi vitigni.
“È così, il nostro è un lavoro di recupero, di passione, con tanta sperimentazione. Quando ti sorregge solamente la parte storica e non hai la parte moderna di trasformazione enologica, devi inventarti tutto, devi scoprire il terroir. I primi anni di attività abbiamo dovuto sperimentare, tutti i primi 6 anni almeno”.
“Oggi, seguiamo il nostro percorso, ogni tanto inseriamo qualche novità. Il terroir non è dei più facili, partiamo dai 350 metri s.l.m. ai 600 metri. I terreni sono in prevalenza argillosi ma con un bello scheletro, perché qua risiede la pietra del Po. Questa tende a sgretolarsi nel tempo, regalando così al terreno una certa salinità, una mineralità molto importante”.
E da qui, alla frutticoltura di questo territorio
“Certo, questo ha portato ad una frutticoltura intensiva sul territorio di pianura, dove gli agricoltori non ci mettono la faccia, quasi tutto il prodotto viene portato in cooperativa; ciò che interessa è realizzare una produzione standard – spiega con tono deciso Vanina”.
“Per quanto riguarda, invece, la viticoltura, le cose cambiano. Qui tutto diventa una sfida, devi conquistarti il tuo spazio, perché ciascuna produzione è tua, si differenzia dalle altre, deve avere una propria identità. La nostra Barbera, ad esempio, è unica, si differenzia da quella delle Langhe, è endemica. Eravamo 3 produttori fino a qualche anno fa; ora siamo circa otto”.
“I nostri vini hanno un’acidità accentuata, e questa è una nostra caratteristica, perché in zone di montagna le uve, per difendersi dal freddo, devono possedere un’acidità molto forte. Abbiamo investito sul Pinot Noir su cui abbiamo deciso di fare sperimentazione. Già, prima di aprire la nostra cantina, nel 2009, mio marito aveva deciso di sperimentare in una piccola vigna perché crediamo che le nostre zone alpine abbiano una particolare predisposizione per la coltivazione di Pinot Noir. Se mettiamo a confronto le condizioni pedoclimatiche della Borgogna (territorio prediletto per la produzione del Pinot Noir) con quelle del nostro territorio saluzzese possiamo affermare che si somigliano molto”.
Parliamo di produzione complessiva aziendale
“Diciamo che si attesta sulle 22 mila bottiglie all’anno: eravamo partiti nel 2009 con 2 mila bottiglie… devo dire che siamo stati molto tenaci, perché dopo i primissimi tempi avevamo pensato di desistere: avevamo creduto partendo dal nostro territorio, ma alcune porte in faccia sono arrivate… noi ci abbiamo creduto, non ci siamo persi d’animo e piano piano i risultati sono arrivati”.
Come nascono le vostre bottiglie?
“Da esperienze con amici con cui scambiamo bottiglie, da assaggi continui che ci piace provare (quasi tutte le sere assaggiamo vini diversi), da scambi con produttori che ci vengono a trovare…”.
E quali le maggiori soddisfazioni di una piccola cantina come questa che dedica molto spazio alla sperimentazione?
“Piccole soddisfazioni tante… una che mi piace sottolineare è che un cliente che anni addietro ci aveva sempre sbattuto la porta in faccia, negli ultimi anni è venuto lui a bussare alla nostra porta e l’abbiamo accolto col sorriso sulle labbra”.
Vanina, parlami della bottiglia del cuore
“Ci piacciono tutti i nostri vini, ma se devo elencarne qualcuno dico Metodo Classico e il Pelaverga. Il primo amore? Il “Novamen”, un assemblaggio costituito per il 70% da Barbera e per il 30% da Pinot Nero, secondo i canoni dell’agricoltura biologica, all’interno di vigneti caratterizzati da suoli acidi ricchi di scheletro e argilla, localizzati ad altitudini comprese tra i 450 e i 500 metri s.l.m. Corposo, equilibrato, fresco e lievemente balsamico”.
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Cascina Melognis: Novamen, Blend di Barbera e Pinot Noir. Credits Andrea Di Bella
Vanina, qui si respirano tante arie… una di queste è la gioia. Nel tuo racconto, nelle tue parole si percepisce un senso di felicità: “Qui ogni sera si stappa una bottiglia diversa”, hai detto prima. Voglio chiederti, quindi, “che cos’è per te la felicità?”
“La felicità è fare le cose che ti piacciono nella vita; amare le persone che vuoi, che ti aggradano. Quando trovi il lavoro della vita allora quella è felicità, indipendentemente dal guadagno! Chiaramente contano molto gli affetti familiari”.
Ma torniamo ai vini e chiediamo a Vanina da dove nasce questo piacevolissimo Pelaverga – Divicaroli – Colline Saluzzesi 2023 che sto degustando assieme ad alcuni straordinari formaggi del Caseificio Valform di Martiniana Po (Cuneo) e salumi del Salumificio Brizio di Venasca (Cuneo), nomi di eccellenza, che contribuiscono ad arricchire una tavola già imbandita da tante bottiglie della Cantina.
“I vigneti di riferimento sono situati ad un’altitudine di 400 metri circa s.l.m., su un suolo acido, argilloso. Caratteristiche che si riflettono nel gusto. Proviene da un vitigno storico di questa zona, un’acidità non troppo spiccata, pochissimo tannino, un colore rosso rubino tenue e poco alcool. Un vino sui generis, con una decisa florealità e aromi che ricordano la viola, petali di rosa, geranio, pepe. Di gradazione alcolica contenuta (12%), di beva semplice però mai banale”.
Il percorso enogastronomico si chiude con il Metodo Classico, Olim Atrum, uno Spumante blanc de noirs, 100% Pinot Noir, coltivato ad altitudini attorno ai 600 metri. Di sorprendente freschezza e con una nota balsamica persistente, è accostato ad uno spettacolare panettone di Davide Longoni, noto panificatore milanese.
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I formaggi degustati del Caseificio Valform. Credits Andrea Di Bella
VINI DEGUSTATI
Comitis Bianco 2022, Sinespina Rosato 2023, Cà Melò Bianco e Rosato 2023, Colline Saluzzesi Rosso Ardy 2020, Colline Saluzzesi Pelaverga Divicaroli 2023, Vino Rosso Econverso 2020, Vino Rosso Novamen 2020, M.C. Olim Atrum 2019.
Che dire? Un’azienda modello, che ama sperimentare, che produce vini convincenti da bere in compagnia, semplicemente ma non banalmente.
Grazie.
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CASCINA MELOGNIS
Via San Pietro, 10 – Borgata Mulino Cerrati – Revello (Cuneo)
Tel: +39 333 667 6235