Si è svolta a Roma la tavola rotonda “La gestione del patrimonio vivi-faunistico in Italia: tra piccoli e grandi passi dove siamo e dove arriveremo”, concernente il non facile rapporto tra chi persegue con tenacia e abnegazione la salvaguardia dell’ambiente e operatori dell’ attività venatoria.
Dal dibattito intercorso è emerso che è oggi possibile operare per la salvaguardia dell’ambiente e la tutela della biodiversità; obiettivo questo della Fondazione U.N.A. (Uomo, Natura, Ambiente) Onlus che dal 2015 opera per creare una sinergia tra questi diversi mondi – ambientalista, agricolo e venatorio che agiscono insieme per una gestione condivisa e proficua della natura.
Attività venatoria e gestione del territorio
In questo contesto la figura del cacciatore è stata rivista, sostituendo lo stereotipo del predatore selvaggio con l’immagine ben più inerente alla realtà di “paladino del territorio”, garante della biodiversità, rispettoso delle regole dettate dalla comunità scientifica e oppositore del bracconaggio, una figura che agisce tutto l’anno e non solo nei pochi mesi della stagione venatoria.
Una sentinella dei boschi e delle montagne, un attento osservatore dei mutamenti e dei rischi della natura come incendi, inondazioni, smottamenti e via dicendo, che segnala preventivamente eventuali problematiche alle autorità competenti.
Il cacciatore svolge un’azione costante, in quanto è l’abitante naturale di quei sistemi che sono spesso in stato di abbandono, come la montagna.
Lo svolgimento dell’attività venatoria va quindi di pari passo con la tutela dell’ambiente e la gestione del territorio, condivisa con altri importanti stakeholder nazionali.
Infatti, solo il reciproco spogliarsi del ruolo autoreferenziale di protettore esclusivo della natura può davvero rappresentare la chiave di volta nella collaborazione proficua tra ambientalisti, agricoltori e cacciatori; una sinergia che sta già generando progetti concreti sul territorio.
Da parco-museo a parco-attivo
Il cacciatore svolge anche un altro importante ruolo, all’interno dei parchi, la cui gestione è stata ripensata in chiave moderna. I parchi erano spesso visti come entità statiche, immobili e immutabili, paragonabili ai musei. Tale visione era totalmente errata perché non considerava i fattori di squilibrio interni ed esterni che rischiano di minare i vari ecosistemi. I parchi, invece, vanno ora immaginati come luoghi dove consentire lo sviluppo e la riproduzione di specie animali ritenute in pericolo, ma anche di formazione, informazione della popolazione e di prelievi di animali per la salvaguardia delle specie.
È fondamentale quindi che chi pratica attività venatoria e il mondo ambientalista lavorino insieme alle istituzioni dei parchi, anche nell’ambito delle modifiche normative alla legge 394 in corso di approvazione in Parlamento.
Una corretta gestione delle aree protette consente il passaggio da “parco-museo” a “parco-attivo”, il che significa una gestione più dinamica e proficua all’interno della quale anche il prelievo venatorio rientra tra gli elementi di salvaguardia della biodiversità.
Anche su questa importante collaborazione con il mondo dei parchi è impegnata la Fondazione UNA, che lo scorso luglio ha realizzato un concreto salto di qualità sottoscrivendo un protocollo di intesa con il Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise finalizzato a realizzare iniziative per la tutela dell’orso bruno marsicano.
Il rapporto con il mondo agricolo e con la comunità scientifica
La gestione condivisa del territorio e delle sue risorse è anche al centro del rapporto tra Fondazione UNA e Coldiretti che, attraverso l’Osservatorio nazionale sulla Criminalità nell’Agricoltura e sul Sistema Agroalimentare presieduto da Giancarlo Caselli, stanno collaborando su un progetto che ha l’obiettivo di valorizzare la filiera agroalimentare e le risorse produttive territoriali, creando norme e leggi che garantiscano la trasparenza, la legalità e la tracciabilità della selvaggina.
Il legame tra una corretta attività venatoria e la creazione di un nuovo sviluppo economico è sancito da importanti pubblicazioni scientifiche e da studi di spessore come quello del Prof. Bernardino Ragni, teorico della Wildlife Economy, un nuovo pensiero bio-economico incentrato sulla gestione sostenibile e intelligente delle risorse faunistiche e ambientali italiane.
Un altro grave problema che deve essere risolto attraverso la concertazione è quello dei danni prodotti da specie invasive che rappresentano un pericolo per la sicurezza umana, l’ecosistema ambientale e l’economia agricola, come quella dei cinghiali.
La convivenza tra cacciatori, agricoltori e ambientalisti è dunque concretamente realizzabile in quanto portatrice di un nuovo modo di intendere il rapporto con la natura, in grado di valorizzarla anche attraverso la creazione di nuove opportunità economiche.