PRIMA PARTE
Barbara Zavattero mi aspetta in uno di questi ultimi pomeriggi d’autunno, su una collinetta che guarda l’ultima provincia di Asti, verso Alessandria, a due passi dalla città, tra il Basso Monferrato astigiano e, ancora più in là, le colline del Moscato di Canelli e di Nizza Monferrato. Cà d’Pinot è un agriturismo eccellente, di quelli in cui i sapori della cucina d’un tempo non sono mai scomparsi.
C’è rispetto per gli chef che si vestono di stelle, ma qui si mangiano ancora autenticamente i piatti che hanno fatto la storia della cucina piemontese, dalla finanziera al bollito, dalla bagna cauda al fritto misto, ai legumi cotti nel coccio, agli agnolotti fatti a mano e a tante altre specialità che tutta la brigata riesce a preparare in ogni momento.
Ogni attimo è prezioso, arrivano clienti da ogni parte, da ogni luogo, e tutti vengono accolti col sorriso, con grande attenzione e con la determinazione di far mangiare bene chiunque. Il sorriso è sulla bocca di tutti.
Avevo conosciuto Barbara nella sede torinese di Coldiretti, qualche mese fa. In quell’occasione, aveva preparato alcuni piatti dedicati al carpione e per me, che sono un patito di quella specialità piemontese, è stata un’apoteosi: non avevo mai mangiato del carpione così buono, così vario, così completo. Sono andato in agriturismo altre volte finché mi sono proposto di intervistarla.
E oggi, eccomi qui, con molta curiosità, davanti al suo sorriso schietto e alla sua semplicità. La prima domanda è quasi scontata: voglio partire dai ricordi d’infanzia. “Chi è Barbara Zavattero?”
“Barbara è nata 54 anni fa in questa casa di collina dell’Ottocento, dove vivevano i miei nonni materni. Qui dove ci troviamo adesso c’era la stalla, quegli anelli al muro indicano che quello era il posto dove si legavano i tori e le mucche; della mangiatoia rimane ancora un frammento. Sono cresciuta tra gli orti, in campagna con la nonna materna perché mamma lavorava fuori così come papà. Io rimanevo un po’ qua e un po’ a Montegrosso d’Asti, dove sono le origini della buon’anima del mio papà, è lì c’era la casa paterna, dov’è nata proprio Cà d’Pinot, la casa di Giuseppe. Anche i miei nonni paterni guardavano me e i miei cugini, sempre comunque in campagna. Mentre lì si coltivavano i vigneti, qui ad Asti c’erano gli animali, la stalla e si coltivavano gli orti”.
“Stalla, orti e campagna sono stati i compagni di vita della mia infanzia. E sono stata alimentata da tutto che si produceva in questi ambienti. Nonno mi faceva vedere come si mungevano le mucche, poi mi accompagnava nel pollaio e mi faceva l’uovo nel padellino con un po’ di conserva e bevevo il latte appena munto; mentre la nonna, accompagnata da mamma, andava al mercato di Corso Venezia ad Asti dai contadini che vendevano ai grossisti”.
Sei cresciuta come in una favola d’altri tempi… quindi hai lavorato da subito, quasi da bambina!
“Si, vivendo in campagna, ti abituano presto a lavorare, a dare una mano comunque. Tutto ciò che ho imparato è grazie ai miei nonni, sono stati loro, da entrambe le parti, i miei maestri di vita. Tanti bei ricordi, come nonna che ti sbatteva il rosso d’uova con lo zucchero o d’estate sotto il gelso ti portavi l’acqua con lo zucchero e mettevi le croste di pane dentro… sono ricordi che non posso dimenticare”.
I gelsi?!
“Si abbiamo ancora il viale dei gelsi, sulla collina; i miei antenati facevano la lavorazione del baco da seta, era una tradizione allora. Infatti il gelso è una pianta protetta!”.
Barbara, tu stai iniziando questa chiacchierata parlando più di rimpianti!
“Mah… devo confessarti che questo vissuto i nuovi bambini non lo riusciranno mai a capirlo, e, per quanto glielo racconti, in quanto io sono Fattoria Didattica di Coldiretti, non riescono a comprenderlo. Di questo sono rammaricata. Noi avevamo poco ma eravamo più felici delle nuove generazioni; c’era più contatto con la natura, apprezzavi di più le cose semplici, come d’inverno, quando nevicava, assaporavi la neve sotto forma di granatina, con limone e zucchero sparso sopra”.
Mi sembra di rivivere scene da “L’albero degli zoccoli”, film capolavoro di estrema poesia contadina, diretto dal grande Maestro Ermanno Olmi, ambientato nella campagna bergamasca di fine Ottocento: come le stagioni determinavano il trascorrere della vita contadina nelle campagne!. Anche nel film c’è la presenza di nonno Anselmo e nonno Finard… come nella tua infanzia!
“I ricordi d’infanzia si accavallano. Si, come d’inverno, quando faceva freddo e in cascina si battevano i denti, nonno Pinot, a me e ai tre miei cugini, scaldava il letto con la cenere dentro il ‘prete’, l’antico marchingegno di legno; oppure quando si andava a rubare l’uva passita sul guardaroba della nonna, in camera da letto, perché sapevi che lì la nonna nascondeva l’uva da mangiare a Natale. O quando prendevi la scala che portava su al primo piano della cascina e la facevi diventare scivolo… erano i nostri giochi di bambini. Oggi, quando racconto tutto questo ai bambini delle scuole che vengono a trovarci, sembrano favole, non ti credono.
Barbara, io ti ho conosciuta come cuoca contadina in Coldiretti: puoi dirmi se cuochi si nasce o si diventa?
“Secondo me entrambi i concetti sono veri: si nasce, in quanto, parlo della mia situazione, essendo cresciuta con i nonni, quindi ho visto fare da vicino tanti piatti come gli agnolotti, gli gnocchi …, e collaborando s’impara. Si diventa cuochi per tanti altri motivi, prima di tutto per passione”.
Cuoco contadino: che cosa significa?
“È un termine che ha coniato l’agrichef Diego Scaramuzza, promotore del progetto Cuochi Contadini di Coldiretti. Ho sposato la sua idea di cucina, un’idea innovativa, che è quella di mettere ai fornelli il contadino che ben conosce la terra e la qualità dei suoi prodotti stagionali. Non enfatizzare la figura dello chef, ma restituire la massima attenzione ai piatti preparati con la conoscenza diretta della materia prima. Io, da un lato mi sento un agricoltore, dall’altro un’ambasciatrice del cibo del territorio e della tradizione. Io non sono un cuoco. Sulle nostre giacche c’è la dicitura “Cuoco contadino” e questo mi appartiene. Ne sono orgogliosa”.
Barbara, la convinzione mentre ti esprimi mi motiva e giustifica la mia presenza qui oggi. Il dialogo con te è meraviglioso, le tue parole escono dal cuore. Fantastico!. Ma ti chiedo: se non fossi diventata cuoca contadina cosa ti sarebbe piaciuto fare?
“Dopo la terza media ho chiesto al mio papà di frequentare la Scuola Enologica ad Alba, ma la sua risposta è stata ‘per una donna è troppo distante, quella è una scuola prettamente maschile’. C’erano due altre strade che potevano aprirsi, Ragioneria o Maestra elementare. Sono diventata ragioniera. Volevo proseguire con l’Università, ma poiché contemporaneamente lavoravo non ce l’ho fatta. Ho fatto mille lavori prima di questo: barista, benzinaia, postina per sei mesi tra queste borgate monferrine”.
E allora mi aggancio a questo tuo bellissimo racconto di postina. Che lettera ti piacerebbe ricevere e da chi?
“Sono consapevole del fatto che, nel mio piccolo, ho aiutato a far capire ad un numero considerevole di persone ‘da dove veniamo’. Mi riferisco al campo sociale. Tanti di noi hanno perso l’orientamento, non ricordano o non vogliono ricordare da dove veniamo. C’è un senso di smarrimento che ci circonda… la gente ha perso il senso del rispetto, non esiste più la stretta di mano, la fiducia. Vorrei ricevere una lettera di scuse di alcune persone per come si sono comportate nei miei confronti tempo addietro. Io le perdonerei, ma sono arrabbiata”.
Chi ti ha insegnato a fare la cuoca?
“Mario, sicuramente, il compagno di mia mamma da 36 anni. E poi alcune esperienze presso un grosso ristorante di Asti, servizi di catering e tanta formazione.
Barbara so che nella tua vita ci sono alcune date fondamentali che fanno parte della tua memoria. Ci puoi spiegare quali sono?
“Vero! Una di gioia, il 27 maggio 1997, la nascita di Matteo, mio figlio e una triste, venerdì 20 luglio 2007, ore 17. Non ero in casa, mi arriva una telefonata che mi dice ‘La contrada Valterza (la nostra, quella dove oggi c’è l’agriturismo Ndr) sta bruciando, corri a casa!’. Un inferno, dentro c’era nonna Luigina che è stata salvata dai vigili del fuoco per miracolo. Tutto il resto è stato quasi cancellato. Non mi era rimasto più niente… niente! La cascina del 1827 dei miei nonni stava scomparendo tra le fiamme. Ma, fortunatamente, la vita riserva anche notizie belle… la Banca di Asti, a cui mi ero rivolta per capire cosa si potesse fare di quella cascina fantasma, mi suggerì che quel casolare aveva i requisiti per poter diventare agriturismo. Quello fu l’inizio della rinascita”.
Leggo una frase di Paul Gauguin: “Cucinare suppone una mente leggera, uno spirito generoso e un cuore largo”. Come la pensi in proposito?
“Sono completamente d’accordo: mentre stai cucinando la mente deve essere completamente libera da ogni preoccupazione, altrimenti ne risente il cibo che stai preparando; per forza, lo spirito deve essere generoso quando hai davanti 10, 20, 100 persone che sono venute da te per stare bene, per soddisfare un desiderio e pagano per questo, tu devi dare il 100%; devi avere un grande sentimento. Arte, passione e sentimento devono interagire per creare felicità”.
Esiste il cuoco perfetto?
“No, perché non esiste la perfezione!”
Sei audace ai fornelli?
“Penso di si, mi piace rischiare”
Il sole rosso stasera annuncia una notte stellata, lascio Barbara alla sua cucina, tornerò domani per continuare la narrazione. Parleremo di futuro e di sogni ed entrerà in scena anche Mario… ci sorprenderà!
CONTINUA