Ha otto anni il ristorante InGalera del carcere di Bollate di Milano che fa lavorare i detenuti rimettendoli in gioco. La sua storia piena di riscatto e solidarietà
Ottantamila circa sono i clienti che ha servito. Un centinaio, i lavoratori che ha assunto. Otto gli anni di vita. Sono i numeri di uno dei ristoranti più noti d’Italia, ma attenzione: se entrando s’intravede una guardiola che controlla qualche faccia sospetta, non c’è da preoccuparsi: siete appena entrati in un carcere.
La storia del ristorante InGalera
InGalera è il ristorante del carcere di Bollate a Milano nato nel 2015 che, ancora oggi, è famoso sia per il suo obiettivo sociale – dà lavoro ai detenuti e fa sì che si rimettano in gioco – sia perché la qualità è così alta che è segnalato nelle guide gastronomiche come Gambero Rosso e Michelin.
La storia, però, ha inizio oltre 20 anni fa quando Lucia Castellano, l’allora direttrice del carcere di Bollate, fa una “proposta indecente” a Silvia Polleri, presidentessa di ABC La Sapienza in Tavola, cooperativa sociale: «Signora, vorrebbe aprire un catering con prigionieri e portarli fuori a fare servizi?», come si racconta in InGalera, il podcast scritto e prodotto da Officine del Podcast.
Lo stupore di Polleri si traduce in sfida: per una vita ha servito la borghesia della Milano Bene, passare a gestire dei detenuti in un servizio di catering è cosa assai ardua, ma lei accetta dando la disponibilità per un anno in via sperimentale. Una delle condizioni, però, doveva essere quella di “portare il bon ton in prigione”, che significava portare attrezzature che erano la negazione dentro una prigione, come lei stessa sostiene, non sarebbero stati il «catering della misericordia». Il servizio di catering parte e si va avanti alla grande per molti anni. Nel 2012 le cose si fanno più serie tant’è che il progetto si allarga introducendo all’interno del carcere di Bollate una sede staccata dell’Istituto alberghiero Paolo Frisi con l’intento di «formare i detenuti al lavoro in previsione della nuova vita dopo la pena».
InGalera: dal catering al ristorante
Ma alla Polleri tutto questo non basta. Quando nel 2014 circa riceve la proposta della PwC – società di consulenza e revisione legale e fiscale – di aprire insieme un ristorante, parte la ricerca affannata di una location. Dopo un anno di analisi del territorio, arriva l’illuminazione di Polleri: perché non aprire il ristorante nel carcere? Massimo Parisi, direttore nel 2015 del carcere di Bollate accetta e il progetto parte con il sostengo di altre realtà come la Fondazione Cariplo, privati, Fondazione Peppino Vismara.
La cooperativa sociale di Silvia Polleri fa un salto nel vuoto a occhi bendati: «Il capitale sociale era di 400 euro e le quote di 50 euro a persona, per partecipare al bando Cariplo, ad esempio, ci volevano 9mila euro, chiesi ad amici di darmeli a fondo perduto», racconta Polleri nel podcast InGalera.
Cosa si mangia da InGalera
Le proposte sono due: menu pranzo e cena. Quello fisso del sabato prevede due opzioni: pesce (con Risotto al nero, moscardini alla luciana e polvere di tarallo; fish and chips di ombrina in porchetta; Bavareisa o bicerin all’amaretto) o carne (Ravioli di zucca con burro nocciola, guanciale e mostarda di mele; Tournados di maialino su torretta di patate, salsa al Cortefranca e pere Williams; Semifreddo ai cachi). Il costo è di 45 euro.
Il menu della cena è quello di punta. La carta è minimal e i piatti vanno dagli antipasti, come La carne nuda in inverno: tartara di blonde d’aquitaine, uovo, acciuga, cappero, senape, worchester sauce, fino ai primi come Pappardelle al ragù di capriolo, Gnocchi di polenta di storo su crema di gorgonzola e ai secondi, come Filetto di manzo alla Voronoff e carote alla parigina. Attenzione anche per la carta dei vini: ampia proposta per i bianchi e i rossi di ogni regione d’Italia e qualche chicca anche fra i rosati.
L’obiettivo del progetto InGalera
Ça va sans dire, l’obiettivo del progetto è solidale e vuole dare ai carcerati un modo concreto di costruirsi una possibilità per la nuova vita fuori. Ma perché proprio l’esperienza del cibo e della ristorazione? «Non c’è lavoro più rigoroso della ristorazione che ti impone gesti che ti “costringe” anche ad avere a che fare con le persone, accoglierle e trattarle in un certo modo. La ristorazione era uno strumento potentissimo», racconta Silvia Polleri nel podcast. «L’accoglienza è la funzione più alta di un essere umano, e chi meglio di un cameriere deve saperlo fare?».
di Antonella Dilorenzo by Gambero Rosso