C’è pesce e pesce. C’è il pesce d’aprile, che quest’anno tra l’altro cade in coincidenza con la Pasqua, e c’è il pesce in barile, ovvero colui che non si capisce bene se ci è o ci fa. C’è il pesce lesso, inteso come persona di scarso nerbo e poco carattere, e c’è il pesce grosso, che contrariamente a quello piccolo, è uno che conta davvero. Ci sono i pesci che si tirano in faccia e quelli che non si sa quali prendere.
Pesce? Ce ne è di famoso….
E poi c’è il pesce di mare, anche lui diviso in categorie: ci sono quelli cosiddetti pregiati, grosse pezzature, carni delicate, prezzi consoni. Fanno la gioia di chiunque, dallo chef di rango al cliente danaroso, dalla massaia in vena al goloso impenitente.
… e meno apprezzato, ma ugualmente buono
Dall’altra parte della barricata invece c’è il pesce che quasi nessuno vuole, quello che al mercato a momenti ti tirano dietro, quasi sempre perché se ne parla poco e senza cognizione: è ugualmente buono, specie se in cucina c’è qualcuno che lo sa trattare a dovere, e costa infinitamente di meno. Il pesce che non ti aspetti insomma, specie se vai al ristorante dove invece in genere domina il pregiato.
Ed è questo pesce, ingiustamente gabellato come di serie B, che oggi è protagonista da Pane e Panelle, la trattoria di Isabel Muratori che da un decennio porta nel centro di Bologna i sapori del mare declinati secondo la tradizione siciliana.
La cucina dello chef Pappalardo
E siciliano Doc è il nuovo chef che dallo scorso ottobre ha preso possesso, dopo un restyling dell’intero locale curato dall’illustratrice Marta Iorio, della cucina del Pane e Panelle: si chiama Luca Giovanni Pappalardo, è catanese, e dopo un’esaltante parentesi milanese che l’ha condotto nei meandri della cucina vegana da Capra e Cavoli torna a Bologna e alle sue origini lanciando una nuova linea ristorativa che punta alla valorizzazione dei #pescidiversi, ovvero i pesci dei nostri mari troppo spesso dimenticati dalle cucine dei ristoranti.
E dove non arriva il pesce arrivano le frattaglie, anche di specie rinomate, impiegate come pochi potrebbero anche solo immaginare: guance di tonno, fegato di rana pescatrice, trippa di baccalà, gonadi di seppia.
Una linea rivoluzionaria insomma, a cavallo tra essenzialità e amarcord culinario, che affianca la materia prima con un largo e intelligente uso delle verdure di stagione mentre il capitolo enologico vede la scelta orientata sui cosiddetti naturali, ricavati da uve biodinamiche, e Medulla Vini come fornitore.
A fare il menù non è tanto l’offerta di mercato quanto ciò che sul mercato attira giornalmente l’interesse dello chef. Il resto viene da sé: cotture essenziali, precise, così da preservare sapori e consistenze, e abbinamenti azzeccati.
I “nicareddi”, ovvero le tapas siciliane
E una formula che, accanto alle normali carte del pranzo e della cena, aggiunge anche quella dei “nicareddi”, in siciliano letteralmente “piccolini”, serie di assaggi da accompagnare a un calice di vino per chi vuole unire il rito dell’aperitivo a quello del pasto senza passare per l’ormai inflazionata apericena.
Un menù faraonico: le entrées
A noi la sorte, generosa, dopo le tradizionali panelle di ceci piatto-bandiera del locale, ha assegnato proprio un menù a base di queste “tapas Made in Sicilia”, che a più riprese si ha sorpreso: il fegato grasso di rana pescatrice, mantecato comme il faut, su crostone di pan brioche e accompagnato da un peperone senapato, farebbe presagire sapori forti al limite della praticabilità e invece è piacevolmente equilibrato.
La lingua di baccalà – ma a che serve una lingua al baccalà direte voi – lessata come quella di manzo è trattata al pari di un bollito di carne, abbinata a maionese al cren e frutta senapata così gagliarda da farti pizzicare le narici.
I marinati
Arriviamo poi ai marinati: la sarda, intera, chiusa, carnosa, nobilitata da sale di Cervia, limone, vino bianco e aceto, è affiancata da un’alga di mare, lo sgombro, ammorbidito nei suoi sapori da una miscela di zucchero, sale e aceto di riso, si affianca a una geniale “insalata invernale”
composta da tarassaco, gambi di bietola in agrodolce, lupini e cipolla infornata conditi con olio di sesamo e pepe ai sette sapori.
La delicatezza dei noodles
Dopo il fuori programma rappresentato dal classicissimo macco di fave con finocchietto selvatico e olio EVO, ecco arrivare la delicatezza estrema dei noodles all’uovo con tuorlo marinato e gonadi di seppia, piatto di insospettabile lievità e al tempo stesso ricco di gusto e di suggestioni.
I primi
Il risotto con schie fritte è davvero incredibile nella sua esplosione di sapori anche grazie alla presenza di una provvidenziale foglia di bietola arrostita al carbone, mentre i bucatini (per il momento La Molisana, ma è in arrivo la pasta artigianale di Mancini) con sarde, salsiccia e zafferano, riprendendo una vecchia ricetta mare-monti delle Madonie, consentono di andare sul sicuro.
I secondi
E che dire poi di quello che lo chef Luca chiama il “vitello di mare”: un trancio di smeriglio, pesce quanto mai villipeso e sottostimato, passato rapidamente alla piastra per mantenerne la morbidezza come si converrebbe a una vera fettina di vitello, e sormontato da un’eccezionale cima di rapa avvolta in rete di maiale.
Finito? Neanche per sogno, perché a obnubilare tutto il trascorso arriva l’anguilla arrostita e marinata, praticamente fondente, affiancata da un divertente finocchio allo zafferano.
Un dolce finale
A questo punto parlare del dessert rischia quasi di essere una violenza psicologica: la scelta ricade su due ricette di
casa come il tradizionale cannolo siciliano – volendo anche in versione farcita di crema al cioccolato – e il meno noto ma altrettanto spettacolare pan d’arancio, versione sicula del pan di Spagna in cui rientra, nemmeno il caso di dirlo, il succo di due arance.
Il vino? Naturale
A innaffiare il tutto, dopo il Prosecco di Valdobbiadene di Perlage servito come aperitivo, un secondo Prosecco, quello bio e non filtrato di Casa Belfi, e un Albana del Fondo San Giuseppe certamente non facile per un palato poco allenato ma dagli spunti interessanti. A seguire Sicilia pura con il bianco “Altrove” (Catarratto più
Inzolia) e il Carricante dell’Etna, entrambi di Vivera, e al momento del dolce un confronto Sud-Nord tra Zibibbo di Barraco e Sauvignon friulano macerato di Terpin decisamente a favore del primo.
Quanto costa mangiare?
I prezzi? Altro punto forte del locale dato l’incidentale basso costo della materia prima. A pranzo si mangia tranquillamente con 10-13 euro, a cena con 40 euro a testa vini esclusi si esce soddisfatti. Il venerdì a pranzo non mancano mai il risotto e la frittura mista, fragrante come poche.