Le grandi sale delle OGR di Torino sono gremite di produttori e di consapevoli bevitori: siamo a Grandi Langhe, chi va, chi viene, chi assaggia, chi fa business, chi scambia biglietti da visita e chi si dà appuntamento, chi si complimenta per il sorso della prima volta di quel vino, chi si attarda sui cambiamenti climatici e l’ultima vendemmia.
È un tripudio di sorrisi e di ottimismo diffuso. Si respira aria di soddisfazione, di felicità. I 500 produttori dietro i loro desk sono entusiasti.
Grandi Langhe, allargando gli orizzonti del vino a tutti i Consorzi di Tutela del Piemonte, ha fatto una grande cosa: hanno dato respiro e visibilità a moltissime cantine piemontesi, da Carema a Gavi. Un bellissimo successo. Una Grande Bellezza!.
Tra le centinaia di produttori, mi ero prefissato di incontrare il diabolico Walter Massa, vigneron ribelle, padre e pioniere del Timorasso, ma anche simbolo di un favoloso riscatto (la riscoperta di questo vitigno autoctono a bacca bianca dei Colli Tortonesi).
Ma volevo dialogare un po’ anche con la superba donna del vino, immensa imprenditrice delle Langhe, Sara Vezza, della Cantina Josetta Saffirio di Monforte d’Alba, perché da lei ti aspetti sempre novità, futuro, progetti.
E così è stato, ma non mi sono fermato ad un dialogo individuale, volevo metterli a confronto, desideravo accostare i loro due territori del vino, e capire come l’uno “vede” il territorio dell’altra e viceversa.
È venuto fuori un “faccia a faccia” divertente, interessante, con qualche sorpresa: Walter “ha svelato le sue Langhe del vino” sorseggiando un Barolo di Monforte d’Alba della Cantina di Josetta Saffirio e Sara “ha percorso i filari dei Colli Tortonesi” tra un sorso e l’altro di Timorasso dei Vigneti Massa.
IL FACCIA A FACCIA SARA VEZZA e WALTER MASSA
“Ricordo le Langhe degli Anni Settanta – racconta Walter -, perché frequentavo la Scuola Enologica ad Alba. La scuola è sicuramente servita ma la cosa che avevo subito percepito è che quella terra si stesse risvegliando dopo il periodo di miseria, di disperazione raccontato da Fenoglio ne “La Malora”, e di subordinazione, già affrontato da Pellizza da Volpedo nel celebre dipinto “Il quarto stato” che celebra l’imporsi della classe operaia al fianco del ceto borghese per il raggiungimento di una giusta dignità economica. Purtroppo, il mondo del vino è stato abbandonato al tempo della fillossera”.
“Da noi, nel Tortonese, nell’Alta Val Curone, era l’epicentro del Timorasso; anche quel territorio fu lasciato da tutti perché il vino bianco non andava più in quegli anni (Anni Cinquanta ndr). Dopo la Seconda guerra mondiale, le Langhe hanno avuto la Ferrero, la Miroglio, le Edizioni Paoline che hanno dato respiro economico, sussistenza alla popolazione. Dalle mie parti sono emigrati tutti, non c’erano grandi industrie. Fu così che le attenzioni furono rivolte alla frutticoltura, al punto che Volpedo, assieme a Canale e a Borgo d’Ale, diventasse polo di produzione delle pesche piemontesi. Però noi siamo più avvantaggiati perché siamo più vicini al mare e possiamo raggiungere i mercati della Liguria in poco tempo. La frutticoltura, nel mondo rurale ha superato la produzione del vino, perché più redditizia”.
“Io vengo ad Alba e capisco che il re del vino delle Langhe di allora fosse il Dolcetto, anche se a me piaceva il Barolo; mio compagno di scuola era Carlo Barale, buonanima, vignaiolo indimenticato di Langa, e quindi di Barolo buono ne ho bevuto… lì avevo capito che erano maturi i tempi per fare un prodotto di alta qualità anche dalle mie parti. Madre Natura mi ha regalato il Timorasso, ci ho creduto ed ora eccomi qua di fronte ad una Barolista di successo. Un Derthonista e una Barolista a confronto, splendido!”.
“Le Langhe come le definisco? Sono un territorio meraviglioso, travolgente, colpito da improvviso benessere, tutti l’hanno capito…, il benessere non è più improvviso e quindi eccoci qua a ritrovarci tutti quelli del vino del Piemonte e loro, capofila di un mondo che sta trascinando, come in questa manifestazione, tutti i filari della regione. Senza il Barolo e il Barbaresco nessuno di noi vignaioli sarebbe conosciuto nel mondo, da Gavi a Carema. Le Langhe, oggi, rappresentano quel faro acceso che fa venire nelle nostre cantine, giornalisti, importatori, appassionati. Quando vengono in Langa e poi devono trasferirsi in Chianti o nel Collio friulano, tanto per fare un esempio, mi passano sui piedi e io dico sempre ‘14 chilometri dal Casello autostradale di Tortona…’”.
“Le Langhe sono fondamentali per la chiave economica dell’Italia, però occorre mandare in pensione un Ministro, quello del Turismo, e affidare questo strategico Ministero ad una persona che sia capace di farlo, perché stiamo parlando dell’industria trainante dell’Italia di oggi”.
Dopo questo convincente assolo di Walter Massa, sempre attuale, senza peli sulla lingua, dirompente e propositivo, tocca ora a Sara Vezza parlare dei Colli Tortonesi, con la sua consueta lungimiranza e saggezza professionale. A lei la parola, da un punto di osservazione privilegiato, quello di Monforte d’Alba.
“Sono molto felice e trovo meraviglioso che vicini alle nostre colline di Langa e a noi vignaioli albesi ci siano produttori, come Walter, che abbiano iniziato a credere, già qualche tempo fa, nella viticoltura autoctona e percorrere la strada della qualità, perché non è così scontato. Questo fa bene a tutti perché crea poli attrattivi, comunicazione, economia. Se Barolo e Barbaresco sono partiti per primi, grazie a produttori illuminati, dobbiamo pensare che le distanze, soprattutto quando si osservano dall’altra parte dell’Atlantico, diventano davvero piccole. Tengo quindi a sottolineare l’importanza di Grandi Langhe perché è l’intero Piemonte che si presente unito. Un grande vigneto dove tutti i filari si toccano, che si presenta al mondo, compatto, deciso, con le idee chiare, che crede in quello che fa, mettendo in vetrina, davvero, un insieme di qualità che tutti ci invidiano”.
“Tornando ai Colli Tortonesi e al Timorasso, voglio sottolineare che si tratta davvero di un territorio ad elevato potenziale di crescita dove tutti devono credere in quello che fanno e che ha fatto un percorso per nulla scontato. Loro hanno compreso le potenzialità di questo vitigno autoctono e questo vuol dire lungimiranza”.
ANCORA UNA BATTUTA CON WALTER: QUALE VINO TI PIACEREBBE FARE SE FOSSI IN LANGA?
“Quello che hanno fatto i nostri nonni, Barolo e Barbaresco. Esaltare, magari, la Barbera, facendo studi su nuovi impianti in terreni che sono destinati a produzioni di serie B, visti i vincoli per alcune varietà. Occorre lavorare sui dettagli per progredire..
Cosa non approvi che sia stato fatto nelle Langhe, invece…
“Ti porto un esempio: l’antenato Colla, scrittore della storia dell’enologia piemontese, patriarca delle Langhe, era un artista sopraffino che lavorava tantissimo col Nebbiolo spumantizzato. Oggi, non capisco perché, si deve lavorare con delle uve che già, a casa loro, hanno già pH 3,50 e da noi, in Piemonte, come in Oltrepò o in Franciacorta hanno pH 4,00: vuol dire prendere dei pallet di acido citrico, tartarico e malico (quelli illegali non li nomino) e aggiungerli. Dobbiamo operare come facevano i nostri nonni, dobbiamo usare le uve del territorio!”.
E SARA COSA DICE IN PROPOSITO?
“No, io non la penso così, mi piace avere una visione sempre aperta al cambiamento. Noi come cantina, abbiamo acquistato un appezzamento a Murazzano, a 700 metri s.l.m., per due ragioni: la prima è che nella spumantizzazione abbiamo la consapevolezza che possiamo fare delle cose grandi; la seconda è che c’è un territorio nuovo che è l’Alta Langa che può davvero aprirsi ad un grande futuro. E io ci credo”.
Walter Massa non perde l’occasione e ribatte
“…e io lo bevo!”.
A ciascuno la sua parte!.
Fantastici… ma lo sapevo già!.