Una soave musica di violino mi abbraccia mentre varco la soglia di questa cantina che mi seduce da subito e che rispecchia l’anima, la sensibilità, la passione, il cuore, la personalità di Francesco Marchisio, enotecnico e produttore dell’azienda vitivinicola Tenimenti Marchisio d’Osasca.
Sono a Coazzolo (Asti), tra Langhe e Monferrato Astigiano, piccolo borgo di collina, immerso in uno dei Paesaggi Vitivinicoli più affascinanti dell’intero territorio UNESCO di Langhe Roero e Monferrato.
Un territorio che offre le migliori esposizioni per la produzioni dell’uva Moscato. Un paesaggio unico dove l’emozione gioca un ruolo fondamentale, tra antichi scorci che il tempo qui conserva intatti.
Mi accoglie Francesco e chiedo subito della “musica del vino” che mi sorprende!
“È una musica a 432 Hertz, cioè diffusa alla stessa frequenza delle cellule della natura. In questo modo si riequilibra il corpo e per effetto vibrazionale ne beneficia anche la natura circostante, quindi anche il vino che riposa nelle botti. Si riattiva il primordiale equilibrio di pace e di benessere, migliora sensibilmente le qualità organolettiche e il sapore delle colture e dei prodotti derivati tra cui il vino”
Chiedo a Francesco quali vini nascondono le sue botti e come si crea l’armonia attraverso la musica divina
“C’è la Barbera, il Nebbiolo, una parte di Dolcetto e tre barrique della nuova base Spumante del Dolcetto. I vini ascoltano la musica mattino e sera. Io devo trasmettere la mia identità a questi vini e lo faccio attraverso questa musica divina. Sono in contatto con un importante direttore d’orchestra, con cui sto iniziando una collaborazione. Oggi, però, non sono autorizzato, ancora, a svelarne il nome. Prima di proseguire con l’esperimento voglio vedere quale è, innanzitutto, il risultato tecnico conseguito, dopodiché si può partire”
In che modo ringrazi il vino che ascolta la musica: ti rivolgi al vino o alla musica o a entrambi?
“Io ringrazio, per prima, la Madre Terra che dà quest’uva, poi la mia famiglia che mi ha dato la possibilità di portare avanti un impegno e poi il mio territorio: il lavoro dell’Uomo in simbiosi con la Natura porta all’Infinito, tutto diventa Armonia, un rapporto d’Amore, un senso di rispetto reciproco”
Francesco, quale è l’obiettivo primario che vuoi raggiungere?
“Riconoscere nei miei vini il territorio e la mia identità. Cerco di esaltare quello che la natura mi dà, non stravolgo i miei vini con tecnologie aggressive, di sicuro”
Calpestando questa terra tra i filari, lassù, dove c’è quella casetta colorata tra i grappoli di Moscato, i tuoi pensieri viaggiano… dove vanno, da dove partono…
“Dobbiamo dire che grazie al Moscato, questo territorio è stato eletto a Patrimonio dell’UNESCO ed è conosciuto. Quello che sta a cuore a noi giovani vignaioli di Coazzolo e di questo territorio è dare un’altra identità al Moscato, meno industriale ma più artigianale. Io lo produco secco, non dolce, perché trovo che possa esaltare le sue sensazioni organolettiche, la sua importanza anche vinificato in questo modo. Lo produco lì vicino alle nuvole ma anche su una vigna a ridosso di questa collina assieme al Nebbiolo. Produco 7.5 ettari di Moscato”
A proposito di vini prodotti nella tua Tenuta, mi puoi raccontare…?
“Ho mezzo ettaro di Dolcetto che voglio utilizzare come base spumante per una commercializzazione futura. Sarà un Rosato, una prima esperienza; una piccola parte voglio riservarla nelle botti di invecchiamento. Poi, due vignette piccole per produrre una Barbera d’Asti e una Barbera d’Asti Superiore. E ancora, un Monferrato Nebbiolo, mezzo ettaro, cercando di sfruttare anche la tipologia diversa dei suoli di Langa e Monferrato; qui siamo nello spartiacque, un mix straordinario dal punto di vista geologico dei terreni. Infine, coltivo un Trebbiano, pochi filari esposti a Nord, perché lui non ama tanto il sole, una scoperta per questi luoghi. Sono state le mie esperienze lavorative pregresse che mi hanno portato a questo impianto-novità; ho visitato parecchi territori del vino qui in Italia e all’Estero, avendo, così, modo di assaggiare diversi prodotti grezzi e vedere la loro evoluzione, il loro percorso. Di questo vino mi sono innamorato. È una produzione un po’ fuori dal comune quì, perché ha una mineralità diversa dai nostri vini. È uscito, per la prima volta, a maggio 2024 con la Festa della Barbera di Castagnole delle Lanze, dopo un invecchiamento in bottiglia di sei anni: l’ho chiamato ‘Quota 291’ perché prodotto a 291 metri di altitudine”
Mi fermo in cantina, tra l’armonia della Musica Divina, le botti piccole e una serie di assaggi che accompagnano la degustazione che, devo dire, confermano quanto di buono avevo immaginato prima di salire su questo fantastico bric e conoscere questo meraviglioso produttore. Vere e proprie eccellenze, caratteri organolettici coinvolgenti e straordinari. Tutto è frutto della professionalità e della voglia di mettersi in gioco di Francesco. Ama sperimentare senza mai eccedere, vuole provare strade nuove, mettere a frutto le importanti esperienze lavorative precedenti.
Produrre anche delle chicche ma senza rischiare più di tanto, il Trebbiano è la prova lampante e riuscitissima. Francesco è ancora giovane ma ha le idee chiare, è saggio, sa dove vuole arrivare; ha un patrimonio da governare, in un luogo che fa battere forte il cuore, quando parla si emoziona ancora e questo mi piace un casino. Sa dare serenità all’interlocutore, sarà forse la Musica Divina che gira intorno.
LA DEGUSTAZIONE
Inizio la mia degustazione con il Trebbiano 2016 – Quota 291: in bocca è fresco, leggermente stanco, un tenore di acidità accentuato vista l’esposizione a Nord. L’ho voluto così, sottolinea, perché “penso che la vita di un vino sia la struttura ma anche l’acidità per mantenerlo fresco. Sentori floreali, poco fruttato, spiccata mineralità, si adatta bene a tutto pasto ma anche come aperitivo o da meditazione a fine pasto”.
Si passa ad una Barbera d’Asti 2018, allevata su terreni di medio impasto, fino a un metro e mezzo friabile e poi in profondità inizia il tufo. Una boccata di intensità olfattive, gustative…
Da qui è un susseguirsi di assaggi, di esperienze, di dialoghi che creano sensazioni spettacolari agli occhi, al naso, alla gola, alla mente: Barbera d’Asti Superiore 2019, Monferrato Nebbiolo 2020, il Moscato d’Asti Docg Terre Aride 2003, il Moscato Secco Osasca 13 (fantastico!), il Prete Rosso, blend di Barbera, Nebbiolo, Cabernet, dedicato al compositore e violinista Antonio Vivaldi, dai capelli rossi, sacerdote, pur non celebrando; infine, un Passito 2006, immenso: lo ricorderò per sempre!.
Attraversiamo, poi, il silenzio di una collina da sogno coltivata a Barbera per raggiungere la vigna del Nebbiolo e del Moscato. Sono le tre del pomeriggio, il sole picchia su questi bricchi profumati; mi accompagnano Francesco, ma anche il canto amoroso delle cicale e il lento passo del cane di famiglia che sa dove andare e ci dirige. È un momento meraviglioso. Francesco descrive il territorio.
“Siamo a Coazzolo, in frazione Osasca, nell’appezzamento di famiglia chiamato Campo Luisone, perché il vecchio proprietario si chiamava Luigi, siamo sulla collina dietro la cantina, esposizione Nord-Est. Davanti a noi, dove cominciano le nuvole, le colline diventano più alte perché lì inizia la Langa. Finisce la collina del Monferrato di Castagnole delle Lanze e cominciano i filari di Castiglione Tinella, dalla provincia di Asti a quella di Cuneo. Siamo nel bacino fantastico del Moscato da cui produco il Moscato Secco, un bianco sincero, di carattere, che rappresenta l’unicità di questo vitigno che ha un quadro aromatico molto particolare, unico.
Mi hai fatto assaggiare un Moscato Dolce 2003, molto longevo, una poesia nel calice. Me lo descrivi?
“Proviene da un’annata molto siccitosa, però ricca di accumulo di zuccheri nei grappoli in vendemmia. Ho voluto commercializzare una parte soltanto, tenendo per me una riserva, per constatarne l’evoluzione nel tempo. È stata una risposta per tutti quelli che affermano che il Moscato si beve solo nell’annata di produzione”
Mentre mi parli, Francesco, io sto continuando a sorseggiare un calice di Passito che mi sto portando dietro dalla cantina. Mi puoi raccontare un po’ la storia di questo spettacolo nel bicchiere?
“Era il 2006, frequentavo l’ultimo anno della scuola enologica di Alba, e, dovendo scegliere la tesina d’esame, ho scelto di parlare dell’appassimento delle uve Moscato. La cosa mi affascinava e ho voluto trattare questo argomento. È nato il mio Passito 2006!”
Tornando alla poesia del vino hai sottolineato il termine “dove cominciano le nuvole” nel tuo chiacchierare. Allarga il significato di quest’espressione da favola, per favore, osservando quelle lingue, lassù, di Castiglione Tinella. Dove corre il pensiero…
“Penso a questo grande territorio che, oltre a dare magnifici prodotti, possa portarci in alto, lassù, ci faccia volare su altre nuvole e trasportarci insieme sulle nuvole del mondo. Non per motivi economici ma in senso di riconoscenza verso gli antenati che ci hanno lasciato questa terra da lavorare e noi tutti, noi abbiamo l’obbligo di portare alla conoscenza del mondo queste colline di fatica ma di tanta bellezza”
Francesco mi conduce in cima ad una collina, sul vigneto del cugino, anche lui erede di tanta fatica e bellezza. Lui è Franco, un personaggio che strappa il cuore, e mi parla davanti ad un romantico, storico ciabòt tra le vigne
“Queste colline parlano di vigne e di vino. Qui si produce Barbera, Dolcetto e Moscato. Sono vigneti che sono passati di mano dal nonno a mio padre e a me. Il sudore di tre generazioni o forse più. Quel ciabòt è mio, l’ho ristrutturato io due anni fa. È testimone di tante vendemmie, di attrezzi, di piogge, di sole e di maltempo, ma anche di merende. Ci si riparava lì sotto. Un tempo, lì si consumava la ‘zuppa del vino moscato’: si preparava col moscato in una padella e acqua molto, molto fresca; poi si inzuppava il pane. Tutto fresco, serviva anche per dissetarsi. Una dolcezza infinita. L’ho mangiata tante volte e mi viene ancora la voglia di mangiarla adesso”.
Grazie Francesco, qui si è parlato di passato, di presente e anche di futuro: questa è una storia che accomuna la vita del vignaiolo, da queste parti. Continua a volare su quelle nuvole bianche, lontano, ma ogni tanto ricordati di tornare giù in cantina perché la musica divina ti aspetta: 432 Hz e il vino ringrazia.