PRIMA PARTE
Era una mattina dell’ultimo inverno, mi trovavo in Sicilia per le feste natalizie, avevo contattato i titolari della storica Pasticceria Russo di Santa Venerina (Catania), per un’intervista.
Ricordo da sempre quel luogo, sono entrato mille volte, ho assaggiato cento granite, ho assaporato a tutte le ore l’atmosfera d’un tempo, ma, stavolta, volevo parlare di storia di quel locale, di vecchie tradizioni dolciarie, di una famiglia che ha dedicato tutta la vita alle cose dolci da assaggiare, desideravo scoprire come questa bella famiglia portasse avanti la tradizione dei dolci siciliani da più di un secolo. Volevo leggere nelle parole dei miei interlocutori una parte di un lungo romanzo iniziato nell’Ottocento e che continua brillantemente fino ai giorni nostri.
Scorrete queste pagine e leggete cosa ci trasmettono Annina e Salvatore Russo, quali emozioni ci fanno rivivere, quanta passione c’è dietro quei banchi che profumano di frutta martorana, di biscotti alla mandorla, al pistacchio, alla nocciola, al mandarino. Senza parlare di granite e di gelati straordinari che fanno capolino sul bancone di servizio: sembra di trovarsi davanti a una tela della Provenza di Van Gogh, verde pistacchio, amarena e arancio, giallo limone e gelsi viola. Una tela profumata che riempie il banco. E poi quei dolci antichi (i quaresimali, le nzudde, i mustazzoli, i nucatuli …) che mi riportano all’adolescenza trascorsa tra il mare Jonio e il fumo di quella bellezza contraddittoria chiamata Etna.
Incontro Annina dietro un banco meraviglioso che mette in bella mostra spettacolari dolci di Sicilia della tradizione che tocca le corde dell’anima ma anche la gola, la voglia di assaggiare e la vista.
Annina, voglio partire dai ricordi, dal primo ricordo che le viene in mente che riguarda questa meraviglia del gusto che ci circonda, tra profumi, colori e sapori.
La prima risposta è deliziosa come tutto quello che mi circonda, ma anche sorprendente. È un ricordo spirituale che tocca le tonache di due suore, e non solo, che varcavano quella soglia della Pasticceria per servirsi di due granite, però dovevano farlo di nascosto, senza farsi vedere da qualcuno… poteva diventare peccato!.
“Mi torna il ricordo di quelle due suore dagli enormi copricapo inamidati, che venivano da noi per consumare la granita, ma non potevano farsi vedere in pubblico. Io e mia sorella, stranite a dir poco, nascondevamo le due religiose agli occhi dei clienti nel retrobottega e in più aggiungevamo un separè. Ci sembrava molto strano. Le consorelle venivano in estate dal convento di Catania, facevano le dame di compagnia della baronessa Nicolosi che risiedeva nella stagione estiva proprio qui alle pendici dell’Etna. È una cosa che mi è rimasta impressa e ricordo ancora con molto piacere”
Facciamo un salto in avanti e andiamo agli Anni Ottanta, quando la Pasticceria era un locale molto più piccolo…
“Si, non avevamo allargato ancora gli spazi interni come oggi. Tutto si svolgeva nel piccolo, in un solo locale, dove ci troviamo ora, ma la gente gradiva lo stesso, si accalcava, si mettevano anche tavolini fuori, sul marciapiede, sotto gli ombrelloni, bersagliati dal sole cocente e da un caldo soffocante. Dicevo a mio fratello ‘ ma comu fanu chisti a stari sutta stu caudu forti’ (’‘ma come fa questa gente a stare fuori con questo caldo asfissiante”
Questa è una Pasticceria storica, nata nell’Ottocento, ormai entrata nel mito della tradizione dolciaria siciliana. Quale è, secondo lei, la chiave di questo successo, il segreto dell’amore della gente che viene a trovarvi da sempre
“Senz’altro è la qualità superlativa delle nostre materie prime che richiamano i gusti del pubblico. I nostri fornitori sono tutti della zona; vogliamo che l’affidabilità dei prodotti debba essere massima. I fornitori sono ormai storici, fanno parte della nostra famiglia. Le mandorle, i pistacchi, le nocciole, il miele, ma anche le fragoline di bosco e la frutta provengono dalle nostre magnifiche terre siciliane, dalle falde del Vulcano. Sono innanzitutto appassionati delle loro produzioni e poi venditori. C’è ormai un rapporto di estrema fiducia, noi ci rechiamo spesso presso i luoghi di produzione per renderci conto personalmente della bontà del prodotto. È essenziale. Anche in laboratorio lo sanno, alcuni pasticcieri sono invecchiati assieme a noi”
A proposito di pasticcieri. Lei ha detto che molti sono entrati nei vostri laboratori assieme a voi, da sempre. C’è qualche nuova leva che si avvicina all’attività con buone intenzioni? Quanti sono i pasticcieri che prestano la loro opera dietro questi banchi?
“Si, tra i ranghi storici ce n’è uno molto giovane. È venuto da noi qualche tempo fa, ha fatto lo stage e si è fermato. La cosa che colpisce è la passione, l’amore che ha verso questo lavoro. Tutto questo ci rende felici. Si alternano 4, 5 pasticcieri, ciascuno segue una filiera, è specialista di una o più linee di prodotto. Qui, da noi, il mestiere si tramanda da generazioni”
Annina, mi piacerebbe conoscere la differenza tra l’arte della pasticceria di un tempo e quella attuale, tra la professionalità e la bravura di Mario Torrisi, il grande Maestro pasticciere che non c’è più e il nuovo corso
“Mario è indimenticabile; rimaneva in laboratorio fino a tardi, non abbandonava mai i suoi impasti prima di uscire la sera; lamentava ogni tanto la mancanza di alcuni macchinari che oggi ci sono. Era mosso da un grande senso del dovere, dal cuore che ci metteva nella preparazione dei dolci. Oggi forse non è più così. Certo l’arte della pasticceria è cambiata col tempo. Negli anni sono cambiate le condizioni climatiche, sono variati i tempi delle stagioni, quindi i processi di produzione e di lavorazione sono mutati. Lo stesso Mario già si lamentava negli ultimi tempi, ad esempio, che il latte di mandorla, non aveva più la stessa consistenza, la stessa ricchezza del gusto d’un tempo, pur aumentando la quantità di prodotto nella preparazione. Certo, l’ambiente e una svolta verso il consumismo hanno cambiato anche il sapore delle cose. Bisogna ammetterlo”
Vedo davanti a noi un’esplosione di dolci incredibile; vorrei fermarmi alla mostarda: sicuramente viene da una antica vostra ricetta
“Sono forme diverse: una è di mosto d’uva, di quest’anno, e si conserva ancora lucida; in seguito asciuga, cristallizza lo zucchero all’esterno; l’altra è di fichidindia. Entrambe non contengono zucchero aggiunto. La ricetta? Si mette a bollire il mosto appena spremuto, senza averlo fatto fermentare; si aggiunge la cenere dei tralci delle viti, i cosiddetti sarmenti, in infusione (operazione, questa, che compie personalmente mio fratello, per avere la sicurezza che fosse autentica della vite. Abbiamo un fornitore affidabile che ci fornisce i sarmenti, qui in un vigneto di Zafferana). Quindi si schiuma, si fa una riduzione (‘deve scendere di 4 dita’, suggeriva un’anziana massaia!) e si mette nelle forme apposite. È una nostra ricetta tradizionale”.
Ma adesso vorrei parlare di granita! Mi si avvicina Salvatore, è lui il cultore all’interno della pasticceria. Come iniziare una giornata estiva senza avere gustato una buona granita di mandorla o limone, caffè, pesca, cioccolato, fragola, gelsi o lampone? In Sicilia è un culto per chi la produce e un rito per chi la consuma.
Salvatore, mi interesserebbe raccontare il rito della granita
“Innanzitutto, bisogna dire che si gusta lentamente, si pasteggia quasi, si sorseggia, meglio se seduti; favorisce la convivialità, la discussione con gli amici e i commensali. Una volta, il mattino, in certe dolcerie si era soliti apparecchiare i tavoli sul marciapiede: era il segnale per i passanti che la granita era già pronta. Stiamo parlando di granita non di ghiaccio tritato e nemmeno “granitina”. Preparata in tanti gusti seguendo la stagionalità della frutta fresca. Quando? Dalla fine dell’inverno fino all’estate… di San Martino!”
Salvatore lei che è un vero Maestro, mi può descrivere la “granita della neve”?
“Discendente dal sorbetto (dall’arabo ‘sciurbat’), la granita era preparata con la neve, un tempo, soprattutto qui da noi, sull’Etna. Questa era conservata in cavità esposte a Nord, le ‘nivere’ (“la neve si seppellisce viva, perché viva si conservi e ingentilisca l’estate” scriveva il poeta greco Simonide). In estate era prelevata e trasportata con i muli. Si mescolava al succo di limone, al latte di mandorla, allo sciroppo di caffè. Nel ragusano i ragazzi, ai primi temporali d’agosto, dopo mesi di siccità, raccoglievano la grandine e vi aggiungevano succo di limone o mosto cotto. Poi arrivarono i refrigeratori e la musica cambiò… mi raccontavano che il primo banco frigo fu installato a Santa Venerina nel lontano 1951 e costò un’enormità, quasi come un palazzo a due piani. Il resto è storia di oggi anche se ancora qualcuno si ostina a chiedere “mezza granita”, come un tempo”.
Dialogare con Annina e Salvatore Russo è una cosa straordinaria e meravigliosa… appuntamento alla seconda parte dell’intervista, allora! Ne leggerete delle belle… sì belle storie affascinanti!.
Grazie.