L’intera filiera del cacao è in crisi. Per via di alcune concause, di natura economica, ambientale e umana, la quantità è diminuita e il prezzo è raddoppiato. Con effetti sull’intera catena, che coinvolge tanto i piccoli contadini quanto le multinazionali
Il mese scorso, la Ghana Cocoa Board (Cocobod) aveva utilizzato parte del prestito da 200 milioni di dollari per rivitalizzare le piantagioni affette dal virus dal cacao che sta martoriando la produzione, dimezzata rispetto al record registrato due anni fa.
All’incirca 500mila ettari di terreno sono andati in fumo, distrutti dall’epidemia e da una serie di fattori che hanno ufficialmente aperto la crisi del secondo esportatore di cacao più grande al mondo. Con logici impatti a livello mondiale, a iniziare da un rincaro dei prezzi che sta martoriando il settore. Per trovare un deficit nel mercato lungo quattro anni, come sta accadendo, bisogna infatti scorrere indietro il calendario di oltre cinquant’anni.
Il peso del cambiamento climatico
Le altre concause che hanno portato a questa situazione sono di carattere ambientale e umano, molto spesso tutte e due insieme visto che la deforestazione comporta inevitabilmente eventi estremi. Come il fenomeno di El Niño, che ha comportato un innalzamento delle temperature con effetti sui raccolti.
A queste si aggiungono ragioni di natura economica. Già sei anni fa, la Cocobod aveva utilizzato un prestito da 600 milioni di dollari per risistemare le vecchie piantagioni o quelle affette dal virus. Secondo le stime, i primi risultati della nuova cura si vedranno in almeno cinque anni. I terreni dove sorgono le sue fattorie verranno riabilitati, tagliando o sradicando del tutto gli alberi infetti, e poi verranno riconsegnati agli agricoltori. Ma il problema è già emerso in tutta la sua potenza e coinvolge anche l’altro grande produttore di cacao.
Il caso ivoriano
La Costa d’Avorio, che garantisce circa la metà della produzione mondiale, naviga infatti nelle stesse cattive acque dell’altro paese dell’Africa occidentale. Una delle sue piantagioni principali, la Transcao, ha smesso di comprare semi di cacao per via del caro prezzi che ha raddoppiato i costi rispetto all’anno precedente. A febbraio, al mercato di New York, il prezzo del cacao ha raggiunto il livello più alto della sua storia, toccando quota 5,87 dollari a tonnellata.
Il che ha fatto crollare l’intera catena di montaggio. Se prima gli agricoltori vendevano i loro semi ai commercianti locali che li rivendevano alle grandi imprese internazionali, il tutto a prezzi prestabiliti, ora non funziona più così. Le multinazionali ora comprano a qualsiasi costo pur di venire incontro alle esigenze della domanda, che rischia di non venir soddisfatta. Dopo aver fatto i suoi calcoli, l’International Cocoa Organization (Icco) ha previsto un calo della produzione stagionale che sfiora l’11%, lasciando un buco tra richiesta e offerta pari a 374mila tonnellate – l’anno scorso erano 300mila in meno. Se non verrà invertita la marcia, la corsa al cacao potrebbe farsi ancora più serrata.
Senza semi non c’è cioccolato, va da sé. Né tantomeno burro o liquore. E non servono neanche le braccia per lavorare, con la ghanese Cocoa Processing Company che ha ridotto di un quinto il numero dei dipendenti. Non una buona notizia in vista della Pasqua, dove il cioccolato è solitamente il protagonista principale mentre ora l’intero comparto è entrato in una crisi da cui uscire sembra complicato.
di Lorenzo Santucci by Gambero Rosso