Convegno su “Cambiamento climatico e Sostenibilità economica del Settore Vitivinicolo”, promosso dal Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato. L’analisi del clima, le conseguenze e le strategie da intraprendere in viticoltura per analizzare come arginare i danni già evidenti
Banca d’Asti ha ospitato un interessantissimo convegno sui temi attualissimi del cambiamento climatico e gli impatti sul comparto vitivinicolo nazionale. Promosso dal Consorzio Barbera d’Asti e vini del Monferrato, il convegno ha visto la presenza del climatologo Luca Mercalli e dei professori accademici Mario Fregoni e Luigi Bavaresco.
Apre il Presidente del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato Vitaliano Maccario: “Il Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato è molto sensibile al condizionamento del cambiamento climatico sulla viticoltura. Stiamo attraversando un periodo difficile, sì, ma questo di oggi è solo un punto di partenza della questione. Questo non è solo un problema che investe il mondo dell’agricoltura, ma riguarda l’economia di tutto il territorio della provincia di Asti. La Banca d’Asti che ci ospita ci darà sicuramente una mano per venire incontro alle nostre esigenze, non avremo soluzioni immediate ma aprirà nuove prospettive per poter affrontare più serenamente un futuro complesso”.
L’ANALISI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI
Il Prof. Mercalli presidente della Società meteorologica Italiana interviene su “La crisi climatica: quali rischi e quali soluzioni per il futuro”
“La mia prima conferenza su cambiamenti climatici e viticoltura l’ho fatta a Mango, nelle Langhe – ricorda il professore -, era il 1990. Si sorrideva quando si ipotizzava un futuro problematico per l’agricoltura dovuto alla modificazione del clima. Abbiamo perso tempo, e non solo noi! Dobbiamo partire da un presupposto: il cambiamento climatico è tutto dovuto alle attività umane, è colpa dell’incremento dell’effetto serra, a causa dell’enorme emissione di anidride carbonica, la CO₂, che si libera dalla combustione del carbone, del petrolio e del gas che abbiamo iniziato ad utilizzare negli ultimi 200 anni. Siamo entrati in un clima nuovo per la prima volta nella nostra storia umana: la tendenza è che la temperatura media del Pianeta negli ultimi 30 anni è aumentata vertiginosamente come mai prima. Questa evidenza è supportata da dati scientifici. Il sistema satellitare Copernicus, gestito dall’UE, ci restituisce un dato impressionante: il 2022 è stato l’anno più caldo della storia europea, ma ci suggerisce anche che il 2023 sarà l’anno più caldo di sempre a livello mondiale”.
“A livello di siccità possiamo rilevare che a Torino, dove cominciano a misurare la pioggia a partire dal 1803, il livello di piovosità è il più basso di sempre, 300 mm. di acqua in un anno, un indice da Nordafrica, un terzo del valore medio ipotizzabile. Il fiume Po ha registrato a fine luglio 2022 la portata minima di 100 metri cubi di acqua al secondo, con conseguenze distruttive in Pianura Padana e sul Delta, in quanto non è riuscito a contrastare l’ingresso dell’acqua salata dell’Adriatico che si è propagata fino a 40 chilometri nell’entroterra veneto-romagnolo, con enormi conseguenze per l’agricoltura per la salinizzazione della falda. Negli ultimi decenni c’è stata un’accelerazione degli eventi estremi. Se continuiamo con questo trend a fine secolo avremo tra i 4 e i 5 gradi in più. Dobbiamo limitare l’emissione di CO₂ in atmosfera. Attualmente si emettono nel mondo 54 miliardi di tonnellate, l’Italia concorre per circa 1,5%”.
“I maggiori rischi ambientali a cui siamo sottoposti sono tre: l’inefficienza a contrastare le emergenze, gli eventi estremi, la perdita di biodiversità. Dobbiamo agire subito. Cosa possiamo fare? Sicuramente una grande rivoluzione tecnologica, ad esempio l’uso delle energie rinnovabili, poi dobbiamo tenere presente il principio dell’etica, prestare attenzione a non sperperare energia, ci vuole parsimonia; proteggere la natura, mobilità elettrica, agire sulle attività produttive inquinanti, rispettare la nostra Terra, non consumare suolo. Sono gli obiettivi di sostenibilità delle Nazioni Unite. Basta indifferenza! ‘O azione collettiva o suicidio collettivo’ sottolineava il segretario generale dell’ONU António Guterres. Le scelte sono tutte nelle nostre mani”.
Ma quale è l’impatto del cambio climatico sulla viticoltura, quali strategie agricole occorre mettere in atto per affrontare il problema, come si deve gestire il suolo?.
Quali possono essere gli effetti del climate change (aumento della temperatura) sulla qualità dell’uva e del vino?
ADATTAMENTO DELLA VITICOLTURA AL CAMBIO CLIMATICO
Interviene su questo punto Luigi Bavaresco, professore di Viticoltura – Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza – che spiega quali possano essere le strategie di “Adattamento della Viticoltura da vino al cambio climatico”.
“Sicuramente si verifica un aumento degli zuccheri nelle uve – spiega il professore –, spesso a scapito della maturità aromatica, le uve risultano povere di acidi, di aromi e composti fenolici, elementi essenziali per produrre vini di alta qualità; diminuzione dell’acidità, sicuramente quella malica, che ha, tra l’altro, un ruolo importante nel determinare le proprietà organolettiche del vino; diminuzione delle sostanze coloranti, gli antociani; i terpeni, cioè le sostanze presenti nelle bucce dell’uva responsabili degli aromi primari del vino tendono a calare. Aumentano i tannini, aggressivi e grossolani, che conferiscono ai vini scarsa finezza aromatica e gustativa; diminuzione del resveratrolo, sostanza nutriente, antiossidante, che ha scopo protettivo nei confronti di agenti patogeni come batteri o funghi; aumento degli enzimi ossidanti, con ripercussioni sul colore, sul corredo aromatico, sulla stabilità microbiologica e la filtrazione dei vini; aumento delle malattie nelle vigne; sfasamento tra la maturazione tecnologica, che riguarda il rapporto tra gli zuccheri e gli acidi, e la maturazione fenolica, che valuta l’accumulo di tannini e antociani e la loro solubilità, con ripercussioni sull’equilibrio fisiologico del vino”.
“Aumenta anche la temperatura del suolo – ribadisce Luigi Bavaresco – che genera un ulteriore aumento di emissione di metano, altro gas serra; aumenta il fabbisogno dell’acqua che procura stress idrico alle viti con conseguente calo produttivo e qualitativo. Inoltre se non c’è acqua gli elementi nutritivi della vite non vengono veicolati. Inoltre, effetti dannosi per colpa della presenza aumentata di funghi e insetti e malattie (flavescenza dorata, peronospora, etc.)”.
Cosa fare allora, come intervenire per adattare il vigneto alle nuove condizioni climatologiche in atto?
“Beh, suggerisco delle strategie, alcune drastiche – afferma il professore -. Delocalizzare i vigneti, con gravi ripercussioni sulla qualità delle uve (cambia il terroir, inadeguatezza di infrastrutture produttive e logistiche per supportare una produzione su larga scala, messa in discussione dell’equilibrio di un’industria globale); oppure, cambiare la varietà impiantando vitigni a maturazione tardiva o nuovi; sfruttamento della variabilità intravarietale (cloni più resilienti), una via che il Consorzio sta studiando; uso di portainnesti più resistenti allo stress idrico; ridurre la sfogliatura, che espone meno i grappoli al sole, permette alle bacche di rimanere più fresche; ritardare la potatura può contribuire a posticipare il germogliamento. Trattamenti fogliari antistress (biostimolanti, antitraspiranti); inoltre, l’uso di caolino, un’argilla bianca utilizzata anche nell’agricoltura biologica, che riflette i raggi del sole e riduce l’assorbimento di calore. Anche l’inerbimento tra i filari aiuta a mantenere temperature più basse per i grappoli, e le reti ombreggianti riducono l’esposizione diretta al sole”.
LA VITIS VINIFERA FRANCA DI PIEDE E LA SUA RESISTENZA AGLI STRESS IDRICI E TERMICI
Il Prof. Mario Fregoni, ordinario di Viticoltura all’Università Cattolica di Piacenza e già presidente onorario dell’OIV (Organizzazione internazionale della vigna e del vino) porta sul tavolo della discussione un argomento su cui punta da diverso tempo: la vite franca di piede.
“La viticoltura sta marciando verso Nord, sappiatelo – sostiene il prof. Fregoni -. Il caso della Gran Bretagna fa scalpore: la produzione di Champagne si sta spostando nel Sud dell’Inghilterra. Molte aree vitivinicole stanno cercando di adattarsi al cambiamento climatico. Un esperimento che sto portando avanti col prof. Lanati è a 1800 metri s.l.m., a Chamois, in Valle d’Aosta, per la produzione di spumanti. Però devo sottolineare che non sono favorevole allo spostamento dei vigneti perché il terroir non ve lo portate dietro. Potrebbe cambiare il clima, potreste portarvi via le varietà ma la terra non potete trasferirla. Per 8 mila anni abbiamo coltivato la Vitis Vinifera franca di piede, ovvero con radici proprie, senza irrigazione, senza innesti, più resistente alla siccità, soprattutto nelle zone sabbiose e adiacenti al mare; lì i problemi fillosserici sono assenti, la terra non consente la vita ai fastidiosi insetti di origine nordamericana. Quest’estate ho visto i bricchi delle vostre colline soffrire, il consiglio che do io è quello di sostituire le piante morte con le viti franche di piede, I vantaggi di questo tipo di coltivazione possono così riassumersi: maggiore lunghezza del ciclo vitale, assenza di virosi, sviluppo contenuto, maggiore resistenza alla siccità nei terreni sabbiosi, vini più ricchi di aromi varietali. Cominciamo a impiantare viti franche di piede, ma non tra qualche tempo, adesso. Non aspettatevi però grandi produzioni: massimo 70, 80 quintali per ettaro. Nella vita bisogna rischiare. In Italia gli esempi sono tanti, dalla Sardegna all’Etna, a Pantelleria, alla Valle d’Aosta, sul Delta del Po”.
Tutto questo, però, richiede alle aziende di riorganizzarsi strutturalmente ed economicamente. Necessitano nuove strategie di finanziamenti. “La Banca di Asti è pronta a fare la sua parte”, sottolinea Francesco Degiovanni, responsabile dell’Ufficio Commerciale Credito della Banca d’Asti.
Un plafond da 30 milioni di Euro è dedicato alle imprese con produzioni fortemente danneggiate da eventi estremi (siccità, grandinate, alluvioni o trombe d’aria). La misura, estesa al 2024, prevede un esborso massimo di 100 mila Euro per impresa, a tassi favorevoli e azzeramento delle spese di istruttoria. Banca di Asti ha inoltre messo in atto un fondo da 50 milioni di Euro per il risparmio idrico e un altro da 100 milioni di Euro per gli investimenti sulle fonti rinnovabili.