Capitale riconosciuta del buon vivere, Bologna per anni ha rappresentato il giusto connubio fra i servizi di una grande città e una dimensione ancora a misura d’uomo, una città-paese dove si può uscire a fare quattro passi in centro e, senza averlo programmato, incontrare amici e conoscenti anche loro a passeggio.
L’Università più antica del mondo, le sue torri, i suoi portici chilometrici, le sue chiese, le sue pietre sulle tonalità del rosso, la gente cordiale e affabile: il volto di Bologna si presenta subito come un mix di storia, cultura e amore per la vita e per il prossimo.
Una città ricca di angoli nascosti
Una città ricca di angoli nascosti, di tradizioni curiose, di aneddoti fuori del comune e anche di denaro sonante, con un tenore di vita a prova di recessione o quasi. I suoi muri, le sue opere d’arte, i negozi dai prezzi sostenuti e con articoli sempre alla moda, le auto sportive che molto spesso solcano le vie del centro, le signorili ville sui colli, le notti gaudenti in giro a fare bisboccia, stanno lì a testimoniare la ricchezza quasi sfrontata che si vive a Bologna: un aspetto della realtà felsinea che effettivamente può piacere o meno. Ma c’è una cosa sotto le Due Torri su cui non si discute e su cui non è possibile opinare: la buona cucina.
Bologna a tavola
Dietro questa facciata poliedrica infatti batte quello che è il vero cuore di Bologna, un cuore fatto di botteghe secolari ed eleganti ristoranti, di osterie che inducono alla baldoria e di caffè dalla grande tradizione, in un tripudio di specialità gastronomiche e di golosità assolutamente uniche al mondo.
Già cinquecento anni fa, quando nel resto d’Italia e d’Europa la cucina era più o meno tutta uguale, sulle tavole dei bolognesi – di quelli benestanti, certo, ma anche di quelli meno fortunati – si servivano piatti immaginifici e favolosi, esempio di quello che era la “nouvelle cusine” del XVI secolo: in occasione dell’incoronazione imperiale di Carlo V, avvenuta nella basilica di San Petronio nel 1530, le cronache dell’epoca, descrivendo le leccornie preparate per festeggiare l’evento, definirono Bologna come “il paese della cuccagna”, e tale rimane ancora oggi, nonostante il trascorrere dei secoli e l’avvento di nuovi comparti imprenditoriali – la congressistica, le fiere, i motori, le macchine automatiche – che all’ombra delle Due Torri hanno trovato in questi ultimi anni terreno fiorente.
E sontuosa la cucina bolognese lo è per davvero: insaccati e salumi unici al mondo come la leggendaria mortadella, il salame rosa, i ciccioli croccanti montanari e la coppa di testa, orribile a vedersi quanto deliziosa al palato, il tutto da gustare magari con delle fragranti crescentine fritte.
Ma è la pasta fresca la vera protagonista dell’eccellenza culinaria petroniana, specie quando esce dalle mani di qualche esperta sfoglina o, per dirla in dialetto, “arzdòra”.
Innanzitutto i mitici tortellini, da gustare rigorosamente in buon brodo di carne o al massimo in timballo, ma anche i tortelloni di ricotta, le tagliatelle al ragù o al prosciutto, le lasagne verdi, i cannelloni di ricotta, gli gnocchi di patate, la zuppa imperiale, la gramigna da condire col ragù di salsiccia, e proposte più povere, come i tagliolini finissimi alla cipolla, gli spaghetti con le vongole “poveracce” in rosso, gli “stricchetti” al pasticcio o la zuppa matta.
La bassa bolognese
Alcune di queste specialità arrivano dalla bassa bolognese, quel grande spiazzo di pianura fra la via Emilia e il confine provinciale, costellato di centri rurali importanti come San Giovanni in Persiceto, Minerbio o Medicina: qui le strade salgono sugli argini dei canali o del fiume Reno, si inoltrano nella nebbia perenne aggirandosi fra vecchi casolari e piccoli borghetti di cui spesso spunta solo la punta del campanile.
E’ questo il regno delle rane, da gustare fritte, o delle lumache, ottime in umido con aglio e prezzemolo o ancora di profumate cipolle.
Altre invenzioni invece arrivano dall’Appennino, terra prodiga non solo di carni, ma anche dei prodotti del bosco, di ortaggi preziosi, di pani e focacce lavorati ancora come una volta: sulle montagne bolognesi si incrociano vecchie rocche, paesetti sperduti in fondo a una valle o in cima a un cucuzzolo, osterie isolate, ma anche località termali come la celebre Porretta Terme.
Persino lo chef italo-americano Mario Batali, scelto per essere il cuoco della Casa Bianca dal presidente Obama, ha appreso i rudimenti della propria arte fra queste montagne da cui suo padre era partito per cercare fortuna in America. Qui dominano, oltre agli insaccati, sapidi formaggi, funghi e tartufi, sostanziose patate, selvaggina da pelo e da piuma, ma anche gamberi di fiume e salmerini che risalgono gli angusti torrenti.
Il safari culinario sotto le Due Torri
Il safari culinario fra le specialità bolognesi prosegue con il capitolo secondi: naturalmente, vista la grande cultura del brodo, non possono mancare i bolliti che sotto le Due Torri includono manzo, gallina o cappone, lingua, testina e cotechino, da accompagnare con salsa verde ai peperoni, cipolline agrodolci, fagioli e purea di patate.
In alternativa la mitica cotoletta alla petroniana, con prosciutto crudo, Parmigiano Reggiano e tartufo, i grandi arrosti di faraona, di coniglio o di vitello al latte, le specialità alla griglia come la salsiccia o le spuntature di maiale.
Fra i contorni caratteristici ne spiccano due meravigliosi per equilibrio e singolarità: il primo sono gli “striccapugni”con la pancetta, amarissimi radicchi passati in padella con guanciale croccante, mentre il secondo è il mitico “friggione”, infernale e saporitissimo intingolo di pomodoro e cipolla fatti sobbollire e sfumati con aceto, da gustare al meglio in compagnia di un sostanzioso gnocco fritto.
Tra i formaggi, oltre all’immancabile Parmigiano Reggiano, spicca il “Re Nero”, un grana cappato tipico delle alture appenniniche, mentre un condimento tipico è la salamoia, misto di sale grosso, aglio e rosmarino utilizzato per insaporire pressoché ogni portata di carne o di verdure.
A questo punto l’onere di parlare dei dolci è veramente una prova di resistenza all’acquolina: vere e proprie bombe caloriche i dessert petroniani si dividono fra asciutti e secchi. Nella prima categoria accanto a “casalinghe” e apparentemente innocue ciambelle come la “pinza”, la “brazadela” e le “raviole” alla mostarda, fanno bella mostra di sé il sostanzioso panone e l’ipercalorico certosino, o panspeziale, dolci di chiara ascendenza natalizia. Nella seconda sezione invece sono degni di nota il dolce al mascarpone, la zuppa inglese, che da queste parti di prepara bicolore ossia crema e cioccolato, la crème caramel e la mitica torta di riso, che un tempo si offriva solo in occasione degli “addobbi”, ovvero delle decennali eucaristiche delle parrocchie (non male per una città che tradizionalmente è sempre stata abitata da “mangiapreti”).
Per innaffiare il tutto la produzione enologica locale mette a disposizione buoni nettari fra cui spicca il Pignoletto, vitigno bianco autoctono, affiancato da altrettanto validi Barbera, Merlot, Cabernet e Sauvignon, mentre fra i digestivi, come tradizione emiliana vuole, niente di meglio di un saporito e corposo nocino fatto in casa con i malli delle noci raccolte il giorno di San Giovanni. Storia, calore umano, fascino, divertimento ma soprattutto buona cucina: questo sono Bologna e il suo territorio. E allora buon appetito a tutti!
di Gabriele Orsi