In Campania la raccolta delle albicocche del Vesuvio è uno degli eventi più attesi e belli del periodo estivo.
Pur essendo un frutto originario della Cina, importato in Giappone da un imperatore della dinastia Ming, fu poi trasferito in Persia grazie a un samurai, per giungere ed estendersi in Europa.
Dopo il fico, l’albicocco è l’albero il più fruttifero e abbondante a Napoli, soprattutto nei dintorni del Vesuvio, dove i terreni sono prevalentemente sabbiosi, le piante sono coltivate in consociazione ad altri alberi da frutto e ortaggi e non si pratica il diserbo con sostanze chimiche, ma si concima solo con prodotti organici.
Un po’ di storia
Una delle prime testimonianze che riguardano l’albicocco in Campania è dovuta a Gian Battista Della Porta, scienziato napoletano che, nell’opera “Suae villae pomarium” del 1583, distingue due tipi di albicocche, le bericocche e le crisomele: da queste ultime deriverebbe il termine dialettale “crisommole” ancora oggi usato per indicare gli ecotipi dell’area vesuviana.
Testimonianza successiva risale al 1845, nel testo “Breve ragguaglio dell’agricoltura e pastorizia nel Regno di Napoli”, il quale riconosce l’albicocco come albero più diffuso nella zona: già da allora, è evidente, non poche erano le varietà di albicocca nella zona.
Infatti delle circa cento cultivar riportate nella letteratura ne sono state rintracciate ancora una settantina, ma la maggior parte è sopravvissuta e ospitata in campi di collezione varietale.
Ogni nuova varietà selezionata dai contadini, detta in vernacolo “pelese”, “razza verace”, “razza riuscita” o “razza nativa”, prendeva il cognome, il nome o il nomignolo dell’agricoltore che l’ha ottenuta, oppure veniva chiamata come la località o il podere di origine, o ancora definita da qualche spiccato carattere della pianta o del frutto.
La raccolta manuale
La raccolta inizia nella prima decade di giugno e termina nella terza decade del mese di luglio; dopo il raccolto, le albicocche sono portate subito al mercato per poterle gustare al punto giusto di maturazione, nel momento in cui la loro qualità è migliore, oppure per trasformarle in confetture e pasticceria.
A partire dal 1970, il processo di urbanizzazione nell’area vesuviana ha ridimensionato fortemente le attività agricole, confinando la coltivazione in frutteti minuscoli, spesso rinchiusi tra gli edifici abitativi e negli stessi anni sono nati nuovi mercati e nuove zone di produzione in altre regioni; si è puntato alla selezione e all’impianto di varietà moderne e alla coltivazione in frutteti ad alta densità e meccanizzabili, mentre sul Vesuvio questo tipo di agricoltura non è stata più praticata.
Negli anni ’80 la Campania copriva circa il 40% della produzione nazionale (il 70% della produzione totale del Sud Italia), mentre oggi tali valori sono scesi rispettivamente al 30% e al 40%. Il Presidio Slow Food vuole rilanciare questa realtà, salvaguardando la biodiversità varietale, tutelando i vecchi impianti, individuando le cultivar più diffuse tra quelle rimaste in coltivazione e migliorando i sistemi di raccolta e commercializzazione, per esaltarne al meglio la qualità organolettica e per evidenziare le peculiarità di ognuna.
Le varietà del Vesuvio
Quelle provenienti dai terreni vesuviani, varietà per la maggior parte a maturazione precoce e medio-precoce, sono apprezzate sul mercato per le loro caratteristiche, per sapidità e dolcezza e si distinguono per la presenza di un colore rosso sfumato o punteggiato sulla base aranciata della buccia.
Le varietà più note e apprezzate sono undici: Vitillo, San Castrese, Portici, Palummella, Monaco Bello, Fracasso, Ceccona, Boccuccia Spinosa, Boccuccia Liscia, Baracca, Pellecchiella.
La boccuccia può essere liscia o spinosa a seconda della ruvidità della buccia e avere un sapore agrodolce, la vitillo è grossa e tonda, apprezzata per la produzione dello sciroppato, la pellecchiella è considerata una delle migliori per il sapore particolarmente dolce e lo straordinario profumo.
In cucina
In cucina, il pensiero corre immediatamente alle crostate ricche di golosa confettura, ma è davvero un peccato relegare questo frutto soltanto ai dessert; è di uso comune abbinare le albicocche al carrè di maiale, alle tenere fettine di vitello, a tantissime varietà di formaggi, ai tranci di tonno rosso o baccalà, aggiungerle all’insalata, assaporarle sotto grappa o nell’impasto del panettone e guarnire deliziosamente anche la pizza, con pennellate di ricotta di bufala e prosciutto crudo, oppure ritrovarle in panini gourmet ricchi di frutta di stagione caramellata, esaltando i sentori di un succulento hamburger.