In Basilicata, proprio al confine con la Calabria, in Val Sarmento, c’è il piccolissimo borgo di San Paolo Albanese, che conta appena 330 abitanti.
Come dice il nome, si tratta di una enclave arbëreshë, albanese, proveniente da Korone in Morea, più o meno cinque secoli fa per sfuggire all’invasione turco-ottomanna della loro terra e che da una generazione all’altra si sono tramandati usi, costumi, tradizioni e riti religiosi.
L’altitudine elevata del paese, 840 metri slm, sul fianco del monte Carnara, permette di godere di panorami incredibili della zona circostante, sovrastando la vallata del fiume Sarmento e i paesi vicini.
Da San Paolo Albanese si ha un’ampia visuale sui folti boschi, come il Bosco Capillo che circonda l’abitato e il Parco Nazionale del Pollino.
L’iniziale insediamento urbano, costituito essenzialmente di case contadine unifamiliari a schiera, si completò definitivamente nel XVIII secolo, aggiungendo costruzioni isolate di dimensione più grandi, e conserva ancora oggi conserva quasi intatti i caratteri architettonici ed il tessuto urbanistico originale.
La conformazione del paese è tale, con stradine e visoli strettissimi, che al suo interno le auto sono praticamente inesistenti e non è raro incontrare per strada anziane con i costumi tradizionali.
Una comunità molto viva e vivace
Gli abitanti di San Paolo sono molto orgogliosi del proprio passato, delle tradizioni antiche, della cultura atavica e della lingua originaria. L’orgoglio permette alle popolazioni Arbëreshë di salvaguardare la lingua e le tradizioni della patria e dei padri fondatori.
Vi sono occasioni particolarmente rilevanti nella vita della comunità, come le feste di nozze, in cui lo spettacolo degli abiti tradizionali è davvero suggestivo; le stesse cerimonie nuziali sono caratterizzate da antichi quanto suggestivi rituali.
Un’altra manifestazione speciale è quella del 16 di Agosto, giorno di San Rocco, quando a San Paolo Albanese si svolge un rituale antico: la statua del santo viene preceduta da un tronetto votivo composto da spighe e ornato di nastri e fiori.
Il rito simboleggia un culto che oltre a rappresentare la fine di un ciclo stagionale, è anche la riappropriazione di una conoscenza del mondo agricolo di una tecnica che garantisce la sopravvivenza della comunità stessa.
Il tronetto di spighe è preceduto da mietitori che mimano la mietitura in una danza che è allo stesso tempo rituale di esorcismo delle forze avverse della natura e rappresentazione didattica di movimento efficace per mietere il frutto.
Costumi che si rinnovano nei riti anche del periodo di Carnevale, quando, oltre alle maschere tradizionali, si aggiungono quelle locali; in quest’occasione si possono gustare le Pettulat, crèpe cotte su una lastra e gustate insieme a formaggio, salumi, prosciutto, mentre nel periodo pasquale troviamo la bambola realizzata, con pasta “di pane di Pasqua”, per i bambini, sulla quale un uovo funge da testa.
Una cucina semplice e saporita
Le pietanze della cucina sampaolese sono semplici, ma saporite e gli aromi aggiunti direttamente nei piatti. La dromesat è una pasta fatta con grumi di farina cucinata nei sughi; le shtridhelat sono delle tagliatelle cotte con ceci e fagioli; tra le carni il maiale, molto apprezzato, è accompagnato da contorni vegetali, come i veze petul. Tra i dolci delle feste spicca la nucia, singolare per la sua forma a fantoccio.