Il rinnovo della Politica Agricola Comune potrebbe portare all’inserimento di nuove norme sul vino dealcolato, “anche attraverso l’aggiunta di acqua”, ma la proposta UE sta creando pareri discordi.
È in corso la trattativa tra Consiglio e Parlamento europeo sulla nuova PAC, la Politica Agricola Comune, che entrerà in vigore da gennaio 2023 e che apre ai vini parzialmente senza alcol anche tra quelli Dop e Igp.
Su proposta di alcuni Paesi UE, si sta discutendo, infatti, dell’estensione delle etichette di certificazione dell’origine anche al vino privato dell’alcol nel processo di produzione, pure attraverso l’aggiunta di acqua.
Il tema di sottrazione di alcol dal vino “con la possibilità di aggiungere acqua” ha creato un clima di reazioni più o meno acceso tra gli addetti ai lavori del nostro Paese.
Una levata di scudi a favore dell’identità e dell’alta qualità che i nostri vini hanno raggiunto in questi anni, nel mondo.
Vino è un concetto nobile, con una valenza storica e culturale ineguagliabili.
La vite è un concetto che viene dalla cultura della Grecia antica, per noi italiani. Fu proprio intorno al 1000 a.C., durante le campagne di colonizzazione, che i Greci ne diffusero la coltivazione nel bacino del Mediterraneo.
Tutto partì dalla Sicilia e dalla Calabria, da dove la preziosa pianta si diffuse rapidamente verso Nord, e lì trovò terreni e clima ideali in tutta la Penisola.
Già nel VII secolo a.C. gli Etruschi erano dediti alla viticoltura nella zona dell’odierna Toscana, e il loro vino era diventato prelibata merce di scambio.
Nel III secolo a.C., sulla via di Roma, Annibale attraversava un’Italia meridionale dove la vite cresceva ovunque.
Durante l’Impero romano la viticoltura e la cultura del vino erano radicate nell’Italia settentrionale e venivano diffuse oltralpe, verso la Francia e la Germania.
Dopo periodi di decadenza dovuti alle invasioni barbariche, prima, e alla dominazione spagnola e asburgica, poi, nell’Ottocento, la vite trovò nuovo impulso e si ebbero i primi tentativi di vinificazione ad alto livello, soprattutto in Piemonte.
Poi, la fillossera e le guerre mondiali portarono ad una nuova decadenza, ma dagli anni Settanta, noi stiamo assistendo ad una nuova grande rinascita, una vera e propria rivoluzione del panorama enologico italiano.
Generalmente, si assiste ad una linea di tendenza costante verso rese per ettaro più basse, che significa incremento del livello qualitativo medio.
Basta camminare tra i filari delle Langhe o della Maremma, ma anche tra le terre nere di Sicilia o sugli eroici pendii dell’Alto Adige, per vedere vecchie vigne disboscate e reimpiantate a nuovo: antichi metodi di coltura vengono sostituiti con altri per ottenere acini più ricchi e concentrati.
Non parliamo, poi, dei vitigni nobili che i viticoltori contemporanei hanno deciso di piantare negli ultimi anni, grazie, dobbiamo dirlo, agli esempi francesi e californiani: il vino di qualità paga.
Grazie alla diversità geografica, morfologica e climatica, l’Italia vanta il più alto numero di varietà autoctone al mondo, più ancora della Francia.
Sta ai nostri vinificatori tenere conto di questo prezioso patrimonio e il nostro Bel Paese vedrà ulteriore sviluppo di quel concetto di tipicità che sta alla base della grandezza del nostro vino.
E allora, cara UE, giù le mani dal vino! Giù le mani dalla storia e dalla cultura. Mettere acqua nel vino vuol dire “annacquare” millenni di sacrifici di uomini e di cultura. L’acqua serve per dare vita al tralcio, non per togliere identità al nettare.
Dietro ciascun sorso c’è la storia di donne e uomini e di territorio. Le colline, l’esposizione, il soffio del vento, il calore del sole: la Natura detta le leggi e l’uomo, politico se vuoi, non può permettersi di cancellare millenni di storia.
Il rischio di allontanarci dal concetto di vino legato al vitigno e al territorio, in ogni caso verrebbe snaturato: l’alcol è una componente fondamentale del vino stesso e la dealcolazione totale esce fuori da qualsiasi contesto legato al vino.
Esiste un rischio di omologazione e, se si sottrae alcol per più di un grado e mezzo, le caratteristiche organolettiche di un vino ne risulterebbero sicuramente alterate: solo l’idea di denominare “vino” un vino totalmente dealcolato significherebbe uscire dal mondo dell’enologia.
Certamente, da un punto di vista commerciale, se si guarda ai mercati arabi o dei Paesi mediorientali a maggioranza islamica o anche ai mercati occidentali sempre più attenti alla salute, la cosa potrebbe avere un suo sviluppo, anche in considerazione del global warming, il surriscaldamento del Pianeta che tende a dare prodotti piuttosto pesanti da un punto di vista alcolico.
Va bene tutto, però non permettetevi di chiamare “Vino” ciò che millenni di vita hanno tramandato fino ad oggi, ciò che la Natura e le mani degli uomini di buona fede hanno saputo, sapientemente, conservare integro.
Cara UE, rifletti e…”non chiamarlo vino, per favore!”. Non possiamo rinunciare alla nostra anima.
Dear EU: “don’t call it wine, please!”
Cher UE: ”n’appelez pas ça du vin, s’il vous plaît!”
Querida UE: “¡no lo llames vino, por favor!”
Querida UE: ”não chame isso de vinho, por favor!”
Liebe EU: “nennen Sie es bitte nicht Wein!”.