Nella pianura lodigiana, in riva all’Adda, c’è uno dei comuni meno popolati d’Italia, Maccastorna, una sessantina di anime appena, sorta attorno ad antico castello duecentesco che conserva ancora il suo severo aspetto difensivo.
Il passato più lontano e oscuro si riassume tutto nella rocca, in altri tempi temuta ed oggi ammirata, come fosse uscita da una favola coinvolgente, ma che in realtà cela tra le sue torri e le sue mura poderose un affastellarsi di intricate trame politiche e torbidi fatti di sangue.
Maccastorna, a cavallo dell’Adda
L’importanza del luogo derivava infatti dal guado dell’Adda, strategico per il controllo del territorio e lungamente conteso lungamente in epoca medioevale.
La primitiva roccaforte di Maccastorna, eretta intorno al 1250 dai ghibellini banditi da Cremona, fu espugnata negli anni successivi dai nemici guelfi che la misero a ferro e fuoco massacrandone i resistenti e distruggendola.
La sua posizione privilegiata impose comunque agli stessi guelfi cremonesi la ricostruzione del maniero nelle forme che in gran parte possiamo tuttora vedere, di cui mancano soprattutto cinque delle otto torri, ribassate al livello delle murature perimetrali.
Nei secoli successivi il piccolo borgo ed il suo castello passarono di mano in mano tra le diverse signorie feudali, anche attraverso cruenti fatti di sangue registrati e documentati dalla storia.
Un eccidio perpetrato infatti un’estate dal capitano di ventura Cabrino Fondulo ai danni dei fratelli Cavalcabò, che hanno alimentato fosche leggende e credenze tramandate per secoli fino ad oggi e che hanno dato all’antico maniero un’aura di mistero.
Sarà una leggenda, ma ogni anno, alla vigilia di ferragosto, coloro che risiedono nel castello, abbandonano la loro dimora per farvi ritorno solamente dopo la festa dell’Assunta: la tradizione vuole che i fantasmi di Cabrino Fondulo e Carlo Cavalcabò si fronteggino l’un l’altro a colpi di spada, “disturbando” i presenti con fastidiosi rumori.
Il castello ha attraversato i secoli quasi indenne, poco distante, sulla stessa piazzetta, c’è la piccola chiesa parrocchiale di San Giorgio, probabilmente di origine duecentesca, quattro case e una trattoria tranquilla dalla quale promanano invitanti profumi.
Maccastorna, agricoltura e allevamento
In un angolo della stessa piazzetta un vecchissimo e maestoso gelso fa da guardia e testimone delle vicende di questa tranquilla comunità dedita ad una fiorente agricoltura basata sulla produzione del latte.
Il piccolo borgo è situato al centro di terreni molto fertili, grazie anche a una serie di bonifiche fatte all’inizio del secolo scorso, che hanno consentito il notevole ampliamento della coltivazione dei campi.
Importanti sono le colture di mais e prati, soprattutto in funzione dell’allevamento, da quello dei tori da carne a quello dei bovini da latte; dei maiali ed anche di fagiani.
Gli attivi maccastornesi sanno rallegrare la quiete agreste del piccolo borgo con diverse iniziative culturali e ricreative, come i canti della merla a fine gennaio e il rogo della vecchia che esorcizzano l’inverno e la Sagra di San Giorgio, quando le funzioni religiose e la processione si alternano ai riti più ludici come i balli e le degustazione di piatti tipici a base di salamelle e rane.