Conobbi per la prima volta Irina Steccanella nell’ormai lontano 2003: avevo da poco iniziato a collaborare con ABC, un inserto quindicinale di economia interno a Il Domani di Bologna, e assieme al direttore editoriale Nico Perrone avevamo trasformato le ultime due pagine di quell’inserto in una rubrica dedicata, in tempi ancora non sospetti, all’enogastronomia avvalendoci del contributo di firme di valore come Andrea Dal Cero, Umberto Faedi, Paolo Carati e il mai abbastanza compianto Piero Valdiserra.
Un concorso dell’Unione Cuochi Bolognesi nel 2003
E il buon Perrone mi aveva passato un invito-stampa per andare a fare il giurato a un concorso indetto dall’Unione Cuochi Bolognesi: il tema la pasta fresca ripiena, la location Villa Orsi a Funo (di cui sebbene io faccia Orsi di cognome specifico non essere il proprietario). E Irina era lì, a gareggiare, lei all’epoca chef dell’Albergo Ristorante Oasi di Sasso Marconi, nella categoria iuniores, mentre ricordo che tra i seniores era in lizza anche una certa Lucia Antonelli.
Non rammento tutto quanto di quella serata, ma una cosa mi rimase impressa: al termine dell’evento, mentre tutti smobilitavano, mi trovai all’esterno della villa a parlare con Irina, che si era classificata terza. Lei era incazzata a morte, non tanto per il comunque onorevole piazzamento, ma perché la vincitrice era palesemente meno meritevole di lei (e difatti a oggi non ne resta traccia negli annali della cucina), e la
seconda classificata addirittura era uscita fuori tema, proponendo dei tagliolini.
Una ragazza grintosa e di talento
Io, che lo confesso avevo votato per lei, le dissi che quel genere di concorsi lascia il tempo che trova e che il vero valore di uno chef si misura nel tempo, nella sua capacità di crescere e di reinventarsi, e la conversazione finì lì, ma ne ricavai l’impressione di una ragazza incredibilmente grintosa, pervasa dal sacro fuoco e dal desiderio di migliorarsi costantemente, in poche parole una chef di cui avremmo sicuramente sentito nuovamente parlare in futuro.
Il percorso professionale di Irina
Di acqua sotto i ponti da allora ne è passata assai, e le nostre due strade, quella di Irina e la mia, hanno avuto modo di incrociarsi spesso: dopo un periodo piuttosto lungo l’ho ritrovata all’Osteria Vini d’Italia a preparare un celebratissimo ragù per le tagliatelle, poi l’ho vista fare stage con Mario Ferrara, Massimiliano Poggi, Massimo Bottura, ho seguito il suo passaggio in quel di Modena alla “corte” di Giuseppe Palmieri per seguire il progetto di Lino – La Casa del Tortellino, poi ancora il suo stage da Niko Romito al Casadonna, e infine il suo approdo alla Tenuta Mastrosasso, splendido agriturismo sui colli sopra Savigno collegato all’omonima azienda vitivinicola.
Oggi Irina è cresciuta ed è sempre più brava
Oggi Irina Steccanella è una persona per certi versi completamente diversa da quando la conobbi: è cresciuta sia caratterialmente (non si incazza più se non vince un concorso) che professionalmente, e la sua cucina è giustamente osannata dagli addetti ai lavori. Le esperienze fatte con i grandi chef le hanno trasmesso, di volta in volta, rigore, tecniche di cottura, rispetto della materia prima e quella che lei stessa definisce “la quintessenza della cucina”.
La sua memoria invece la mantiene ancorata saldamente a un tipo di cucina tradizionale, nel senso positivo del termine, ancorché non priva di spunti innovativi, con la riproposizione di vecchie ricette quasi dimenticate accanto a slanci di creatività non trascurabili e mai fini a se stessi.
Ma la grinta, la voglia di migliorarsi, quel carattere restless di chi non si vuole sentire mai pienamente arrivato ed è sempre alla ricerca di una nuova sfida, una nuova montagna da
scalare, bè quelli rimangono sempre gli stessi di 16 anni fa, segno che il successo e il tempo possono cambiare una persona, ma solo fino a un certo punto.
A Savigno nasce Irina, la “sua” trattoria
E ora, dopo anni di gavetta e di esperienze alle dipendenze altrui, Irina ha finalmente aperto il “suo” ristorante, o meglio la sua trattoria: si chiama Irina, senza inutili fronzoli, ed è il concentrato di quella che oggi è la sua visione della cucina e di quella che, sempre oggi, è la sua idea di trattoria.
Il luogo scelto è sempre Savigno, accanto all’ex-municipio, nel cuore di quella food valley dove davvero non manca nulla, un luogo dove è possibile trovare carni, salumi e latticini di livello eccelso (per di più a prezzi concorrenziali rispetto ad altre zone), dove la frutta e la verdura hanno veramente sapore di frutta e verdura, dove la tradizione della pasta fresca è
viva e forte, dove, in stagione, non mancano funghi e tartufi, dove i vini hanno il gusto schietto dei Colli Bolognesi.
Un ristorante semplice e cucina della tradizione
Un locale essenziale, semplice che di più non si può, come si addice a una trattoria: un bar col classico bancone, una piccola sala da pranzo con una cinquantina di coperti, vecchie credenze piene di vecchie bottiglie impolverate, un grazioso dehor per quando arriverà la bella stagione.
E in questo locale di squisita semplicità troviamo una proposta culinaria altrettanto netta, semplice, essenziale, ma non per questo banale: al contrario il menu, improntato rigidamente sulla tradizione bolognese ma declinata secondo le esigenze della moderna
alimentazione, stuzzica e incuriosisce, con piatti che parevano dimenticati che occhieggiano seducenti accanto ai grandi classici della gastronomia petroniana.
Irina racconta il suo locale
“Ho voluto creare” ci racconta Irina “un locale dove prima di tutto il cliente potesse divertirsi, mangiando senza pensieri una buona cucina tradizionale. In definitiva quello che, secondo me, dovrebbe essere una vera trattoria ai giorni nostri. E in questo contesto il divertimento è sia dei clienti che mio perché qui posso essere veramente me stessa. Il secondo obiettivo è quello di riproporre i classici della cucina bolognese ma impiegando tecniche di cottura contemporanee, in maniera da alleggerirli senza per questo rinunciare al gusto”.
E infatti il brodo dei tortellini, fatto con manzo e cappone comme il faut, è cotto in forno a vapore a 85° per cinque-sei ore: saporito e gustoso come quello della nonna ma privo di ogni impurità, ai limiti del limpido.
La carta: poche proposte ben mirate. Dagli antipasti….
Carta dei cibi stringata, con massimo cinque proposte per ogni portata: al capitolo antipasti la verza con patate, piatto di antico retaggio, è di insospettabile delicatezza, le tigelle con la “conza”, ovvero il lardo pestato con rosmarino e pancetta e addizionato di Parmigiano, sono giustamente “maialose” e addentarle, mentre la farcitura sfugge da tutti i lati, è al limite dell’orgasmico. In alternativa ottimi salumi del territorio – il fornitore è Franceschini, una garanzia nel settore – un’ingegnosa patata gratinata e un piedino di maiale con salsa verde che rimanda ai sapori di un tempo.
…ai primi…
Tra i primi conoscevamo già le tagliatelle, benedette da un ragù di lunga cottura che sprizza sapidità da ogni parte, ma anche i tortellini, piccoli, perfetti, dal ripieno giustamente gustoso, galleggianti nel succitato brodo fanno la loro figura. Per chi desidera variare in carta ci sono anche pasta e fagioli, rosette al forno e degli spaghetti al torchio con friggione e Parmigiano che ci riconducono dritti alla tradizione contadina.
…dai secondi…
Ma è al momento dei secondi che si avvertono le cotture precise, puntuali, di grande tecnica, che Irina ha mutuato nelle sue esperienze: la cotoletta alla bolognese, perfetta nella sua opulenza, si taglia come burro, i fegatini in rete di maiale con alloro invece, nella loro semplicità, sono un’esplosione di gusto, i contorni, di stagione, sono semplici e stuzzicanti. Penso varrebbe la pena di testare anche gli altri piatti in lista, come il bollito misto, la trippa in umido e la bistecca.
…ai golosissimi dolci
Golosi, come da protocollo, i dolci, che includono una grande zuppa inglese, una crostata ricotta e pere – ricotta proveniente ancora calda dal caseificio dell’azienda La Forca – da sogno per equilibrio dei sapori, ma anche tiramisù, fiordilatte e torta di mele.
La lista dei vini: libertà di calice
Molto bella la carta dei vini, che presta molta attenzione al territorio – Colli Bolognesi e una sezione dedicata al Lambrusco – senza trascurare il resto d’Italia, con presenza forse un po’ ridondante di grandi riserve e di Champagne e il
grandissimo valore aggiunto di poter ordinare al calice qualsiasi bottiglia presente.
Un conto onesto e ben speso
Servizio giovane e cortese, che compensa qualche peccato di inesperienza con tantissimo entusiasmo, buon pane fatto in casa dalla chef – una vera sfida in quella che è la capitale del pane montanaro – e un onestissimo conto che, senza farsi mancare nulla, non supera i 40 euro, ottimamente spesi per godere di una cucina schietta come la sua autrice, che nel “suo” locale avrà l’occasione per dimostrare definitivamente il proprio valore e trovare finalmente
la sua dimensione.