Risalendo la strada statale che da Rimini si inerpica lungo la Val Marecchia, si giunge dopo una trentina di km, a San Leo, entrata a far parte da pochi anni del territorio emiliano-romagnolo dopo un referendum popolare con alcuni altri comuni delle Marche.
Situata a metri 583 s.l.m., San Leo, l’antica Montefeltro, è raggiungibile praticamente per un’unica strada tagliata nella roccia, essendo costruita su un enorme ammasso roccioso.
La rocca di San Leo domina la vallata del Marecchia; dal castello lo sguardo si perde tra boschi, picchi rocciosi e calanchi da una parte, fino al mare dall’altra; un panorama rilassante fatto anche di piccoli abitati adagiati nelle colline sottostanti che digradano verso la riviera romagnola.
San Leo, una rocca a strapiombo sulla vallata
Il piccolo borgo, tutt’ora lastricato in pietra, era il capoluogo della contea di Montefeltro e per oltre duemila anni fu contesa dalle tante fazioni in lotta per il potere proprio per la sua posizione strategica; con Berengario II, alla fine del primo millennio, divenne addirittura Capitale d’ltalia.
Il masso calcareo di origine miocenica su cui sorge San Leo costituisce una fortezza naturale sulla quale i Romani per primi costruirono una fortificazione; nel periodo medioevale, la fortezza venne contesa da Bizantini, Goti, Franchi e Longobardi, sconfitti qui da Ottone I di Sassonia che, proprio dal forte di San Leo, continuò la sua campagna di conquista della penisola italiana.
Intorno al 1000 d.C., giunsero a San Leo i conti di Montecopiolo che si attribuirono il nome e il titolo di conti di Montefeltro, cui succedettero, nel Trecento, i Malatesta, sino alla metà del secolo successivo.
A metà del XV secolo, l’architetto senese Francesco di Giorgio Martini fu incaricato da Federico III di Montefeltro, che aveva riconquistato la fortezza, di rinforzarne le difese, soprattutto contro le nuove armi da guerra, i cannoni e le armi da fuoco; la fortezza divenne il culmine di un sistema di difesa che si estendeva a tutto il massiccio roccioso.
Nei secoli successivi la città ospitò Dante, che ricorda la visita anche nella sua Divina Commedia, e S. Francesco d’Assisi, che qui ricevette in dono il Monte della Verna dal Conte Orlando di Chiusi nel Casentino; c’è ancora la stanza ove avvenne il colloquio fra i due uomini.
Anche Cesare Borgia e la famiglia fiorentina dei Medici ebbero parte nella storia di San Leo, fino al definitivo avvento della corte papale, quando, a metà del XVII secolo, l’intero Ducato di Urbino finì sotto lo Stato Pontificio.
Durante il dominio pontificio, l’inespugnabile fortezza fu trasformata in prigione, in cui furono rinchiusi, tra gli altri, il palermitano Giuseppe Balsamo, noto come Conte di Cagliostro, che vi morì nel 1795, e l’insurrezionista risorgimentale originario di Meldola, nel forlivese, il carbonaro Felice Orsini.
Il borgo prende nome da San Leone che, giunto insieme a San Marino dalle coste della Dalmazia, avrebbe evangelizzato la zona diventandone il primo vescovo.
Il monte su cui poggia San Leo e che dà nome all’intero territorio, il Montefeltro, deriverebbe dal latino Mons Feretri, in quanto, secondo la tradizione, l’attuale luogo della cattedrale di San Leo sarebbe stato occupato da un tempio dedicato Giove Feretrio.
San Leo, borgo dei borghi, rinomata meta turistica
Notevole il patrimonio architettonico conservato: la Pieve preromanica, il Duomo del XII sec., il Forte; Il Museo di Arte Sacra recentemente allestito nel Palazzo Mediceo, i ruderi di diversi castelli, tra i quali quelli di Pietracuta, e di Piega, il convento domenicano di Monte di Pietracuta, la chiesa di Montemaggio, con un pregevole soffitto di legno a cassettoni.
Inoltre gli edifici civili, quali il Palazzo Della Rovere, residenza dei conti di Montefeltro e duchi di Urbino ora sede municipale, il Palazzo Nardini e il Palazzo Mediceo, costruito dai Della Rovere e rimodernato dai Medici.
Poco fuori dall’abitato c’è il duecentesco convento di Sant’Igne, la cui fondazione è attribuita a San Francesco che conserva, nella piccola chiesa, un affresco con la Madonna in trono con Bambino e Santi del 1535 e un pezzo del tronco dell’olmo sotto il quale il Santo predicò.
Ma i motivi che spingono i vacanzieri della vicina riviera adriatica verso San Leo, sono tanti; dalla visita alla fortezza, al bellissimo panorama che da questa si può godere, ma anche dalla tranquillità che, nonostante loro, si vive nel borgo, con le sue strette stradine lastricate, le poche auto e, non ultimo, le tante iniziative che vi vengono organizzate, tra le quali spiccano, proprio nel periodo estivo, “San Leo Giullari in Festival” e “San Leo Borgo Divino” e il “San Leo Festival”, il Festival della Musica.
La straordinaria cucina romagnola e marchigiana
San Leo, come un po’ tutto il Montefeltro, è terra di confine tra la Romagna e le Marche; terra di castelli, di pievi, di conventi e anche di una cucina ricca e di sapori forti.
Tante le possibilità di mangiare sia nel borgo che nei dintorni: ovunque, con semplicità e genuinità, vengono proposti piatti della tradizione gastronomica locale conditi anche con un po’ d’immaginazione.
A farla da padroni sono i primi piatti, come i tortelloni verdi di ricotta vaccina alla salvia e al tartufo bianco, i gnocchi di patate tradizionali all’Ambra di Talamello, gli strozzapreti alla Norcina, i Passatelli asciutti o in brodo, le Pappardelle al sugo di cinghiale o di lepre.
Ma anche i secondi di carne non sono da meno: dal carpaccio e filetto di Marchigiana al tartufo bianco marzolino al capretto al forno alle pere e aceto balsamico con misticanza primaverile; dalla polenta coi fagioli o in bianco coi funghi porcini al piccione guarnito con patate arrosto fino alla tagliata di cane su cascate di formaggio di fossa.
Accompagnati sempre dalla piadina tipica romagnola, anzi riminese, più sottile, o dalla crescia sfogliata, i sapidi formaggi tipici, di fossa, alle foglie di noce, la casciotta, il raviggiolo, e le ricotte, assieme ai funghi ed ai tartufi che abbondano in zona.
A San Leo il piatto del borgo è il Coniglio al finocchio selvatico, che è presente in tutti i menù, così come il “Balsamo di Cagliostro”, un digestivo a base di liquirizia che termina sempre il pranzo o la cena, dopo l’abbuffata di dolci come i “bostrenghi”, il tortino di ricotta e visciole o le immancabili crostate e ciambelloni, annaffiati dai vini del Montefeltro: il “Colli Pesaresi”, il “Bianchello del Metauro”.il “Visciole d’Urbino”, un vino dolce ma equilibrato all’aroma di Visciola, una ciliegia piccola e scura tipica delle Marche.