A Bologna arriva Slow Wine Fair, la fiera internazionale del vino buono, pulito e giusto, che avrà luogo nel quartiere fieristico della città dal 25 al 27 febbraio.
Una delle tappe di avvicinamento all’evento è costituita dai convegni online di approfondimento, come quello svoltosi il 17 gennaio scorso sul tema “Suolo, bene comune”.
Tantissimi gli espositori, sottoposti al vaglio di una commissione di esperti nazionali e internazionali, così come molto folta la rappresentanza di buyer, ristoratori e addetti ai lavori alla ricerca di vini che siano espressione del territorio e attenti dell’ambiente.
E poi, tra le numerose proposte che Slow Wine Fair 2024 ha in serbo, spiccano le Masterclass, degustazioni guidate rivolte agli appassionati e ai professionisti del settore e dedicate a esplorare il panorama vinicolo italiano e internazionale. Tra i temi di questa terza edizione, una particolare attenzione è riservata al grande patrimonio dei vitigni autoctoni.
Perché è importante parlare di vitigni autoctoni?
La straordinaria ricchezza ampelografica è un elemento distintivo della viticoltura italiana. Sono 750 le varietà di uva da vino registrate nel nostro Paese (e recensite dalla Guida ai vitigni d’Italia di Slow Food Editore): tra queste, ve ne sono alcune dimenticate e in seguito riscoperte, salvaguardate e valorizzate.
Ma qual è il significato di vitigno autoctono?
A rispondere è Maurizio Gily, agronomo e autore della prefazione a Vitigni d’Italia: «In senso letterale, dovremmo considerare autoctono solo un vitigno il cui il primo esemplare sia nato da un seme ospitato in quella che dovrebbe essere, appunto, la sua terra natale. In realtà, il concetto di vitigno autoctono è necessariamente più ampio, se non altro per l’impossibilità pratica di verificare la sussistenza di tale condizione. Pertanto, il metodo che ha ispirato la compilazione della lista delle varietà presenti nella Guida ha considerato come autoctoni i vitigni la cui presenza in un certo territorio è antica, vuoi per attestazioni scritte, vuoi per testimonianze orali».
Parlare di vini autoctoni significa, dunque, ripercorrere la storia, la tradizione e la biodiversità di un prodotto simbolo dell’italianità. Si tratta di varietà spesso presenti solo in determinate porzioni del nostro territorio, a dimostrazione che ogni regione ha una propria specifica identità enologica che merita di essere raccontata, divulgata e assaggiata. Proprio per valorizzare questo immenso capitale culturale e commerciale, Slow Wine Fair organizza incontri-degustazioni che aiutino gli appassionati e i professionisti del settore a districarsi tra le proposte e a scoprire vere e proprie gemme di territori precisi, non limitandosi ai vini più conosciuti.
Tra le tante Masterclass di Slow Wine Fair, il 25 febbraio, alle 15.00, si va “Alla scoperta delle vigne storiche ed eroiche dell’Emilia-Romagna”, per compiere un viaggio in tutta la regione, a iniziare dal Piacentino e dalle terre del Lambrusco, per arrivare alle colline bolognesi e alla Romagna.
Sempre il 25 febbraio, alle 17.00, riflettori accesi su “Outsider, piccoli grandi vini contro ogni pronostico”, per conoscere vitigni come Spergola, Timorasso, Granatza, Schiava, Magliocco e Perricone, che si sono affermati in situazioni marginali, magari anche in contesti geografici noti per uve e vini ben più celebri. Lunedì 26, alle 11.00, la Masterclass “Weingut Odinstal e l’illuminata direzione Schumann: la biodinamica in Pfalz” si sofferma sulla più grande zona di produzione di Riesling al mondo, nonché la regione viticola più estesa della Germania; a seguire (ore 13.00) “Il Modigliana bianco: la nuova stella dell’Appennino”, dove suoli difficili non hanno impedito a una piccola comunità di vignaioli di farne una sottozona della Doc Romagna sia per il Sangiovese che per vini bianchi a base Trebbiano, e alle 15.00 “Grappolo intero: confronto tra vecchio e nuovo mondo”, per verificare se il bicchiere contenga risultati tangibili di questo metodo produttivo. In chiusura, alle 11.00 di martedì 27, l’approfondimento sulla “Rifermentazione: quando l’acidità rock crea vini star”, che analizza come l’acidità dei mosti – uno dei pilastri della rifermentazione – sia, da un lato, tra i caratteri che i consumatori amano e ricercano maggiormente, e, dall’altro lato, un elemento sempre più difficile da conservare a causa del cambiamento climatico.